Ad accogliere i partecipanti di tutto il mondo al Convegno Internazionale AATI 2017, quest’estate tenutosi all’Università degli Studi di Palermo, è stato uno dei simboli climatici della capitale sicula – lo scirocco. Ad aprire dei colloqui con il suo discorso altrettanto caloroso (tuttavia molto più gradevole), è stato uno studioso di simboli, il professor Massimo Vedovelli, che ha ricordato ai soci dell’American Association of Teachers of Italian il professor Tullio De Mauro, scomparso il 5 gennaio 2017. Nella sessione plenaria di Vedovelli, “La lingua italiana oggi, nella Scuola e nella Società. Riflessioni dedicate a Tullio De Mauro”, ha discusso il grande linguista, nume tutelare dell’italiano e delle lingue italiane, il punto di riferimento ineludibile per chiunque voglia confrontarsi con i modelli generali dell’attività simbolica o con le concrete vicende culturali e linguistiche italiane, e ancor più con le storie linguistiche delle italiane e degli italiani.

Il professor Vedovelli – il cui relatore di tesi è stato proprio Tullio De Mauro all’Università di Roma “La Sapienza” – è professore ordinario di Linguistica educativa e di Semiotica presso l’Università per Stranieri di Siena, della quale è stato anche Rettore dal 2004 al 2013. Tra le sue stimate pubblicazioni copiose e importanti troviamo Italiano 2000. I pubblici e le motivazioni dell’italiano diffuso tra gli stranieri (2000, con Tullio De Mauro), Guida all’italiano per stranieri. Dal Quadro comune europeo per le lingue alla Sfida salutare (2010), e Che cos’è la linguistica educativa (2016, con Simone Casini), e “L’italiano degli stranieri, l’italiano fuori d’Italia (dall’Unità)” (2016). Vedovelli ci ha concesso quest’intervista per capire meglio “un maestro, di scienza e di vita” e parlarci del futuro dell’insegnamento dell’italiano.
Qual è il Suo primo ricordo di Tullio De Mauro?
“È il ricordo di noi studenti della Facoltà di Lettere e Filosofia che, nell’estate del 1974, veniamo a sapere che De Mauro tornerà a insegnare a Roma: si era diffusa una attesa che ci elettrizzava; ci sentivamo fortunati a avere docenti di grandissima levatura. Oltre a De Mauro ricordo le lezioni di Emilio Garroni, professore di Estetica e suo amico. Sì, ci sentivamo e siamo stati fortunati”.
De Mauro è stato il suo relatore di tesi e in seguito anche una guida costante… insomma ha avuto delle occasioni uniche nella Sua formazione e carriera. C’è stata una lezione indimenticabile o un momento formativo che ha segnato la Sua vita?
“De Mauro non è stato solo un grande studioso, è stato anche un grande professore. Era chiaro, preciso, coinvolgente; di ogni nome che citava scriveva le date di riferimento alla lavagna; ma soprattutto amava i suoi studenti: noi sentivamo che ci amava. Dopo la laurea mi ha scelto per avermi al suo fianco, innanzitutto nel fare gli esami agli studenti: improvvisamente gli amici con i quali avevo parlato e studiato insieme fino al giorno prima me li ritrovavo al di là del tavolo degli esami (erano esami orali, come di tradizione in Italia). De Mauro coinvolgeva direttamente negli esami, nei seminari, nei progetti di ricerca, nei lavori con gli insegnanti.
Ho avuto l’onore di essere da lui chiamato allievo: è davvero un grande onore, che non credo di poter meritare. È stato un maestro, di scienza e di vita. La sua scuola erano i grandi progetti nei quali ci coinvolgeva. Appena laureato mi fece partecipare a un progetto di linguistica migratoria, come oggi si chiama: un progetto per la formazione linguistica e professionale degli emigrati italiani in Germania. Poi venne quello del primo Vocabolario di Base dell’italiano; poi il primo Lessico di Frequenza dell’Italiano parlato (LIP); poi la riscrittura della bolletta dell’ente nazionale per l’energia elettrica (un tentativo di sconfiggere concretamente quell’antilingua di cui parlava Calvino); e ancora, la progettazione del GRADIT – Grande dizionario italiano dell’uso. E infine, la grande indagine sull’italiano nel mondo, appunto Italiano 2000, che iniziò appena prima di essere nominato Ministro della Pubblica Istruzione.

Era un maestro non solo di scienza: nel coinvolgerci da pari a pari nei suoi progetti ci dava un modello di come comportarci in quelle che erano davvero grandi imprese, ma anche nella quotidianità della vita universitaria (e non solo). Imparavamo a discutere liberamente e criticamente, senza paura delle gerarchie; capivamo il senso dell’impegno per promuovere i livelli delle competenze linguistiche e comunicative della popolazione italiana; ci faceva misurare con i problemi degli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, cioè con coloro che hanno il compito primario di promuovere concretamente tali competenze con il loro faticoso lavoro quotidiano. Le iniziative con le insegnanti delle scuole per l’infanzia di Scandicci, le tesi Giscel, il lavoro con il CIDI e con le altre associazioni delle insegnanti hanno avuto su di me e su tanti altri miei colleghi un ruolo importantissimo come modello e come strumento: una bussola per navigare nella ricerca scientifica e nell’impegno civile. Per me Tullio sarà sempre un modello irraggiungibile; ma, al di là di questo e della indubbia diversità delle personalità, dei caratteri, mi sembra che ci unisse la voglia di fare, il non avere paura nell’affrontare le questioni, i nuovi problemi linguistici e culturali. Penso che ci fosse una grande sintonia fra noi due su questo atteggiamento sempre positivo, sempre scevro di preconcetti, sempre aperto al nuovo”.
De Mauro ha pubblicato tantissimo in impressionanti campi molteplici, e i suoi libri sono stati tradotti in tante lingue straniere, però le sue proposte non hanno avuto quel successo internazionale che ci si poteva aspettare. Come si spiega questo? C’è qualcosa che all’estero non hanno capito?
“Se consideriamo la dimensione della moda, del prestigio che deriva dalle mode, forse De Mauro ha avuto meno successo di altri, più rinomati e soprattutto più legati ai sistemi di ricerca che sono dominanti nel mondo contemporaneo. Se consideriamo, però, i contenuti, i risultati delle ricerche, De Mauro è un punto di riferimento ineludibile per quanti in Italia e nel mondo si occupano di lingua italiana. I suoi due Vocabolari di Base; il suo Lessico di Frequenza dell’italiano parlato; il suo dizionario GRADIT sono strumenti indispensabili per chiunque voglia lavorare sulla lingua italiana. Le sue finissime analisi filologiche e strutturali sono riferimenti ugualmente importanti. La sua edizione del Corso di linguistica generale di Ferdinand de Saussure è stata tradotta in francese. Il problema non è, allora, ciò che De Mauro ha fatto, ma il modello di scienza del linguaggio e dei sistemi simbolici che lui ha proposto e che ha rappresentato: troppo distante dai modelli ‘neonaturalistici’ o formalizzanti che ancora oggi segnano approcci internazionalmente più potenti.
Fa dispiacere, allora, vedere come in certi Paesi – anche negli USA – si continui a parlare di Saussure come se non ci sia stato De Mauro e il suo lavoro critico: che valore ha questa scienza, che si permette di ignorare contributi fondamentali semplicemente perché ha scelto una strada che mira solo alla citazione nelle banche dati bibliografiche? De Mauro ha pubblicato in sedi prestigiosissime a livello internazionale, ma ha scritto cose importantissime anche su giornali divulgativi, riviste didattiche, quotidiani e settimanali: tutti generi testuali che non verrebbero presi in considerazione dai processi di valutazione della ricerca universitaria oggi in Italia!”.
De Mauro era entusiasta della linguistica migratoria. Questo fenomeno in che modo ricade nel quadro degli studi linguistici?

“Sin nella sua fondamentale Storia linguistica dell’Italia unita, del 1963, De Mauro considera centrale l’esperienza delle migrazioni nei processi di italianizzazione o comunque nelle dinamiche linguistiche dello Stato italiano unitario. Perché questo? Sia per una innegabile necessità di rendere conto di quanto effettivamente successo alle persone e ai loro usi linguistici, sia perché il suo modello teorico generale di lingua e di linguaggio è fondato sulla centralità – per la lingua e per gli usi linguistici – dei fattori di apertura, variazione, sensibilità ai contesti: tutti temi che sono diventati centrali per la sociolinguistica e per la linguistica migratoria. Negli ultimi anni De Mauro è stato anche molto attento alle conseguenze linguistiche che l’immigrazione straniera in Italia avrà sul nostro spazio linguistico”.
Negli ultimi mesi di vita, De Mauro ha dato avvio a una nuova indagine sulla condizione dell’italiano nel mondo: questa ricerca continua? Qual è la posizione dell’italiano nel ‘mercato globale delle lingue’?
“Sì, per fortuna, la nuova indagine proseguirà, grazie all’Istituto di Studi Politici San Pio V di Roma, che ha creato un comitato scientifico (del quale sono onorato di far parte insieme a valenti colleghi) e un gruppo di giovani ricercatori. Entro pochi mesi dovremmo concludere il lavoro. De Mauro diceva che i dati quantitativi sono facilmente reperibili e disponibili, e che ora è necessario passare a una analisi qualitativa delle forme della presenza dell’italiano nel mondo. Sottolineava anche il ruolo che il latino ha, come lingua delle classi dirigenti di diversi Paesi, nel sostenere tale diffusione. Tullio non amava gli slogan, era molto critico e molto cauto anche su questa materia: le roboanti affermazioni dei politici o di certi giornali lo infastidivano. Preferiva l’analisi precisa, consapevole della complessità e della multiformità della materia. Sapeva benissimo che l’Italia repubblicana non ha avuto una vera politica linguistica intesa come un progetto delle classi dirigenti per un reale sviluppo espressivo, linguistico, comunicativo dell’intera società; anche su questa materia il progresso è avvenuto dal basso. Fece parte della primissima commissione ministeriale per la promozione della lingua e cultura italiana nel mondo, scaturita a seguito del primo grande convegno delle nostre Istituzioni all’inizio degli anni Ottanta: ne uscì subito quando vide che il Ministro non partecipava alle riunioni della commissione… Fu coinvolto da Mauro Barni nel riordino della allora Scuola di lingua e cultura italiana per stranieri di Siena (della quale quest’anno si festeggia il Centenario) e nella sua trasformazione in Università per Stranieri di Siena: altre consorterie accademiche, però, impedirono che Tullio facesse parte del comitato istitutore. Piccole storie italiane…”.
A proposito dell’italiano che rimane sempre una delle lingue straniere più studiate: il 25% di chi studia l’italiano lo fa per motivi di lavoro (un notevole aumento dal 7%). In un’intervista Annamaria Testa ci dice “La seconda cosa certa è che non è di sicuro studiato per fare affari”. Stanno cambiando le cose per quanto riguarda il business?
“Tullio e io avevamo e abbiamo una visione più ottimistica perché più realistica e più basata sui dati. In India o in Vietnam lo studio dell’italiano avviene quasi esclusivamente per motivi di lavoro: a Hanoi ogni anno ci sono 200 laureati in italiano, e questo solo perché in Vietnam c’è la Piaggio, una nostra importante azienda motociclistica. L’italiano ha una presenza multiforme nel mondo: è la lingua di una plurisecolare tradizione di cultura intellettuale, ma anche di una ricca e varia cultura materiale che oggi è un punto di riferimento nel mondo. De Mauro sapeva che gli stranieri e le comunità di origine italiana nel mondo sanno riannodare i fili fra la tradizione e la modernità: un vestito della moda italiana è acquistato perché è bello in modo paradigmatico, cioè perché incarna nell’oggi i valori estetici della nostra storia artistica. Lingua del buon gusto e del gusto è oggi l’italiano: dalla moda all’alimentazione alla meccatronica alla filiera del legno, sono moltissimi i settori in cui la lingua italiana è il marchio simbolico di un sistema di valori positivi. Valori non alternativi, ma complementari e integrativi a quelli omologati del mondo globale”.
Il futuro dell’insegnamento dell’italiano?
“Solo dal 2000 in Italia ci sono percorsi universitari che formano gli insegnanti e le altre figure professionali specializzate nell’italiano L2: pochi anni, ma importanti per iniziative che ritengo rilevanti. Le certificazioni di competenza; i sillabi modellati sul Quadro Comune Europeo per le lingue; le sperimentazioni digitali (cito il MOOC di italiano L2 dell’Università per Stranieri di Siena, che in quattro mesi ha avuto 70.000 iscritti!): ebbene, tutto questo si integra sempre di più nei nuovi profili dei docenti. Ora è necessario uno stretto dialogo fra i percorsi formativi dei docenti in Italia e le esperienze straniere nel settore. A tale proposito l’annuale congresso dell’AATI ha una importanza primaria: occasione di dialogo, di confronto, di crescita comune. Non mi sembra poco, e anche questi valori li sento come profondamente demauriani”.
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