Aprile 1959. New York, piena notte. Karen Blixen non riesce a dormire, un po’ per la sua insonnia e un po’ perché il letto di questo albergo newyorkese è troppo morbido. Meglio quello di casa sua a Rungsted in Danimarca, anzi meglio quello in Africa. Si tira su e cerca dei sonniferi dentro la borsa, accanto al letto. Ha settantaquattro anni ed è malata di sifilide dal 1915, e da allora è sottoposta a cure fortissime, in parte sbagliate. Alterna quotidianamente amfetamine e sonniferi, ha spesso problemi gastrici e le hanno asportato buona parte dello stomaco.
Durante questo tour americano la sua dieta già scarsa si è ridotta a qualche ostrica, uno o due asparagi e champagne. In questo momento pesa ventotto chili. Ufficialmente è arrivata negli Stati Uniti per fare una serie di documentari e presentazioni ma le sue vere intenzioni sono quelle di divertirsi e ci sta riuscendo: ha incrociato centinaia di lettori con la copia di Out of Africa da farsi autografare, John Steinbeck ha dato una festa in suo onore e Sidney Lumet l’ha portata in braccio sul suo attico per farle ammirare le mille luci di New York, si è emozionata assistendo a un’esibizione della Callas e, grazie all’amica scrittrice Carson McCullers, ha incontrato Marilyn Monroe insieme al marito Arthur Miller.
La Monroe l’ha fatta ridere raccontando di quando aveva preparato la pasta con le sue mani, seguendo la ricetta della suocera, ma, siccome era in ritardo e gli ospiti stavano arrivando, l’aveva fatta asciugare con il phon. La serata è finita quando sono salite su un tavolo di marmo per ballare. “Marilyn fa un’impressione quasi schiacciante sulle persone che la incontrano per la prima volta” – racconterà al ritorno in Danimarca “non perché sia bella, anche se lo è all’inverosimile, ma perché irradia contemporaneamente una vitalità infinita e un’incredibile innocenza. Avevo trovato le stesse caratteristiche in una leoncina che mi era stata portata dai miei servitori indigeni in Africa.”
Karen Blixen si infila la vestaglia e apre la finestra per prendere una boccata d’aria. La strada è piena di luci arancioni e rosse che brillano davanti ai suoi occhi come macchie solari. In Kenya la notte è nera, oscura e piena di presagi, qui non è così. Qui non è affatto così. Un vento caldo le sfiora il viso, nell’aria c’è odore di salsedine e smog. Karen Blixen si stringe nella vestaglia e alza lo sguardo al cielo e, senza motivo, le torna in mente il suo primo marito Bror von Blixen-Finecke. Quello stesso marito che si è dedicato alla caccia e alle giovani fanciulle Masai (da cui ha preso la sifilide e l’ha trasmessa a lei) lo stesso marito morto in un incidente d’auto più di dieci anni fa in Svezia. Quando ha letto The Short Happy Life of Francis Macomber (La breve vita felice di Francis Macomber) di Ernest Hemingway l’ha riconosciuto subito, è lui l’affascinante guida Robert Wilson che accompagna i due ricchi coniugi americani Francis e Margot Macomber al Safari. Quei due si conoscevano bene, oltre i Safari, l’ex marito ha anche trascorso il viaggio di nozze con la sua seconda moglie nella casa cubana dell’autore americano (Fonte Go.gale).
Lei ed Ernest Hemingway, invece, non si sono mai incontrati, ma si conoscevano bene. Dopo l’annuncio del Premio Nobel nel 1954, l’autore americano disse che sarebbe stato più giusto se il premio l’avesse vinto lei. In un’intervista a una televisione danese lei affermò che l’approvazione di Hemingway aveva significato per lei più di due premi Nobel, tranne che per i soldi.
Sopra la linea dell’orizzonte spigoloso di New York spunta una luna opaca. Karen Blixen ricorda quando gli indigeni in Kenya la chiamavano Luna Nuova. Bisogna vivere magicamente per essere magici, sosteneva. Secondo Sandra Petrignani in La scrittrice abita qui “La grande magia dell’età adulta di Karen Blixen è stata la letteratura.” Al ritorno in Danimarca, all’età di 46 anni, ha infatti iniziato a scrivere seriamente e costantemente. Il suo primo libro, Seven Gothic Tales ( Sette storie gotiche, trad. di Alessandra Scalero, Adelphi) ottenne un ampio riconoscimento prima negli Stati Uniti, poi nel Regno Unito e infine in Danimarca, suo paese di origine. Non riuscendo a trovare un traduttore che la soddisfacesse, la Blixen preparò da sola le versioni danesi, anche se non si tratta di traduzioni, ma piuttosto di versioni delle storie con dettagli diversi. Le sue ‘storie gotiche’ sono racconti lunghi, che spesso si svolgono in un tempo sospeso tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento, tra il fantastico e il nero. Il suo secondo libro Out of Africa (La mia Africa, 1937 trad. Lucia Drudi Demby, Feltrinelli) fu un successo planetario e racconta gli eventi dei diciassette anni in cui l’autrice ha vissuto in Kenya: le sue difficoltà nella piantagione di caffè, le atmosfere del safari, la storia dei Masai e si conclude con la vendita della fattoria e con la Blixen che guarda indietro le sue amate Ngong Hills che si riducono alle sue spalle.
Dopo la pubblicazione di Out of Africa, la Blixen pubblicò cinque raccolte di racconti che seguirono uno stile narrativo tradizionale, intrecciando temi gotici e l’incantesimo come mezzo per esplorare l’identità, la morale e la filosofia. Per quanto riguarda il suo stile, la Blixen ha dichiarato in diverse interviste di voler esprimere uno spirito che non esiste più nei tempi moderni, uno spirito dell’essere piuttosto che del fare. Ne è un esempio Babette’s Feast (Il pranzo di Babette all’interno della raccolta Capricci del destino) in cui racconta di un pranzo che cambia gli equilibri delle persone di un piccolo villaggio della Norvegia. Da questa storia verrà tratto un film danese che nel 1988 vinse l’Oscar al miglior film straniero.
Karen Blixen ascolta la voce di due uomini che parlano in tedesco mentre passano sotto il suo balcone. Le torna in mente quando nell’inverno 1943 – durante l’occupazione nazista – lei trattenne sulla porta di casa gli uomini della Gestapo, venuti a perquisire la villa. Li ha provocati con frasi sarcastiche, com’era nel suo stile da gran dama – racconta Sandra Petrignani in La scrittrice abita qui – un po’ offesa un po’ seduttiva. Quello era il punto della casa più lontano dalla cucina dove due suoi amici, militanti nella Resistenza, avevano nascosto un gruppo di ebrei in attesa di trovare una barca per farli fuggire nella neutrale Svezia. Lei andava a dormire sempre vestita per essere pronta a qualsiasi evenienza.
Karen Blixen scrolla il capo. Si volta, rientra nella camera d’albergo, toglie la vestaglia e si distende sul letto newyorkese troppo morbido. Chiude gli occhi e si sforza di pensare a qualcosa di bello e, come al solito, le torna in mente l’Africa. Sandra Petrignani in La scrittrice abita qui afferma che “Karen Blixen sentiva che per chiudere il cerchio della sua vita avrebbe dovuto tornare in Africa. Nel 1919 aveva scritto alla madre: credo che in futuro, ovunque mi trovi nel mondo, mi chiederò se a Ngong piove, perché le piogge laggiù decidevano sul serio della vita o della morte delle persone, volevano dire sopravvivenza o perdita, raccolto o carestia. Ma quella frase esprime anche la prefigurazione di una futura, costante nostalgia. Per questo, malgrado il medico glielo vieti drasticamente assicurandole che morirebbe durante il viaggio, lei sogna di accettare una proposta di «Life» che vorrebbe mandarla in Kenya per raccontare il paese moderno e quello dei suoi tempi. Voleva tornare in Africa. L’aveva sempre voluto. Non sono d’accordo con Tore Dinesen quando dice che l’Africa è stata solo una parentesi. L’Africa è stata la forza che ha spinto la freccia del suo destino, nella sua vita l’Africa è stata tutto.”
Dopo il tour negli Stati Uniti, la Blixen tornerà a Rungsted in Danimarca dove terminerà con fatica nel 1960 Shadows on the Grass, (Ombre sull’erba, trad. di Silvia Gariglio, Adelphi) breve compendio di ulteriori ricordi sui suoi giorni in Africa. Si lamenterà con Erling Schroeder, uno degli scrittori che frequentava la sua casa, di non essere amata in Danimarca quanto lo era in America e lui non le farà mancare una rosa nuova al giorno fino alla morte, tre anni dopo.
La sua residenza a Rungsted (24 chilometri a nord di Copenaghen) è diventata, prima, un laboratorio di scrittura poi un museo nel 1991. Sydney Pollack, nel 1985, ha diretto e prodotto Out of Africa interpretato da Meryl Streep e Robert Redford, la pellicola è stata un successo di critica e pubblico ed è stata candidata a undici premi Oscar, vincendone sette. Dopo il successo del film la fattoria di Karen Blixen in Kenya è diventata il Karen Blixen Museum.
Tutte le guide finiscono la loro visita ricordando che per Karen Blixen le cose più importanti nella vita erano il coraggio, la capacità d’amare e senso dell’umorismo. E augurano a tutti i visitatori di averne sempre un po’ con loro.