New York. Oggi. David Leavitt e Mark Mitchell entrano nel loro piccolo appartamento newyorkese che usano solo per soggiorni brevi. David lascia che il marito sistemi le valige in camera da letto e apre le finestre. Il panorama è sempre lo stesso, eppure, oggi, c’è qualcosa di diverso. Aggrotta la fronte pensosa e si toglie i piccoli occhiali. “Ecco” – pensa –, “è la luce”. Aveva dimenticato che nelle giornate limpide il sole invade New York come qualcosa di vivo.
I raggi colano la strada come sciroppo e sembra che cancellino la stanchezza dai volti delle persone, rivelandoli come dovevano essere stati al momento di fare il loro ingresso in città, quando erano giovani e l’America sembrava ancora una terra di conquista. Ecco che la luce pulisce le rughe dalle loro fronti, tinge d’oro i capelli ingrigiti, trasforma il luccichio aggressivo dei vestiti dei giovani in qualcosa di luminoso ed elegante, spalline imbottite e abiti giallo evidenziatore, fucsia, verde e arancio come nell’estate del 1984.
Si appoggia lungo la ringhiera. Socchiude gli occhi. David Leavitt sta cercando qualcuno. Sta cercando un ventiquattrenne magro con occhi entusiasti e spaventati che ha messo piede a New York per la prima volta. Qualcuno che si è appena laureato all’Università di Yale, ha pubblicato ben due racconti sul New Yorker, “Territory” e “Out Here“, ed è in contatto con una casa editrice per la pubblicazione del suo primo libro: Family Dancing (Ballo di famiglia).
David Leavitt sta cercando sé stesso. Vorrebbe trovarlo e raccontargli tutto. Dirgli che diventerà uno scrittore di successo, che pubblicherà nove libri e quattro raccolte. Che i racconti di Ballo di famiglia saranno definiti dal New York Times “sorprendenti, divertenti, eloquenti e saggi”. Il Washington Post dirà che “a soli ventitré anni, David Leavitt è una sorta di prodigio” e addirittura USA Today scriverà che ha “una conoscenza della vita degli altri. . . pari a uno scrittore con il doppio della sua età”.
Vorrebbe tanto parlargli della rivista letteraria Subtropics, che ha fondato nel 2006, dei suoi cani; vorrebbe dirgli che si affermerà nel panorama letterario scrivendo della classe media americana in tutta la sua umana imperfezione. Nei suoi romanzi cercherà di mostrare quello che si nasconde dietro l’apparente bellezza e sobrietà delle famiglie borghesi, i loro segreti, le sessualità nascoste, matrimoni e divorzi che si ripercuotono su figli e figliastri.
Ma soprattutto lui sarà uno dei primi scrittori a rappresentare personaggi omosessuali fuori dai contesti sociali borderline cui venivano relegati, per calarli nella normalità borghese.
Sposta lo sguardo tra la folla colorata. Vorrebbe trovarlo e dirgli che nel 1992 conoscerà suo marito, Mark Mitchell, e che nel 1993 partiranno per l’Italia, con l’intenzione di fermarsi un anno e alla fine rimarranno fino al 2000. Fin quando non accetterà un posto di insegnante nel programma MFA di scrittura creativa dell’Università della Florida e i suoi soggiorni si alterneranno tra Gainesville, New York e l’Italia (che rimarrà una nazione importante per lui sia per i ricordi e che per i tanti amici.)
Recentemente poi la casa editrice Sem ha deciso di ripubblicare tutti i suoi romanzi. Hanno iniziato con The Indian Clerk (Il matematico indiano, Sem, traduzione di Delfina Vezzoli), che racconta la relazione tra il genio matematico Srinivasa Ramanujan, proveniente dall’India, e il suo mentore, Godfrey Harold Hardy, docente a Cambridge. Poi hanno pubblicato Egual Affections (Eguali amori, Sem, traduzione di Delfina Vezzoli), che è il ritratto di una famiglia americana che viene scossa dalla lunga malattia della madre che riporterà alla luce sentimenti nascosti.
David Leavitt alza la mano e inizia a contare sulle dita gli altri romanzi pubblicati. Sem ha riproposto la raccolta A Place I’ve Never Been (Un luogo dove non sono mai stato, traduzione di Anna Maria Cossiga), dove tornano due personaggi già protagonisti di Ballo di famiglia. Poi Shelter in Place (Il decoro, Sem, tradotto da Fabio Cremonesi), che è il suo ultimo romanzo, che racconta di alcuni amici newyorkesi dell’alta borghesia intellettuale qualche giorno dopo l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. Ballo di famiglia e il suo primo romanzo The Lost Language of Cranes (La lingua perduta delle gru), entrambi con una nuova traduzione di Fabio Cremonesi.
La casa editrice Sem gli ha fatto fare un vero e proprio tour, portandolo in tutta Italia. Adesso gli viene in mentre una serata alla libreria Gogol&Company organizzata da un certo Michele Crescenzo, che aveva selezionato alcune sue citazioni e le aveva fatte leggere al pubblico. Alcune le ricorda ancora: “L’amore sboccia tra persone, non tra sessi. Perché porsi dei limiti? Tratto da Mentre l’Inghilterra dorme.” “Nessuna lingua più dell’italiano ha tanti modi per non dire niente. Tratto da Il Voltapagine.”
Questo certo Michele Crescenzo gli ha anche detto che scriverà un pezzo su di lui per La voce di New York, chissà se lo farà davvero…
Affina lo sguardo, eccoli gli anni Ottanta: i sintetizzatori elettronici, la scoperta dell’AIDS, i letti ad acqua, il disastro di Chernobyl, i primi compact discs, la musica elettronica, i quadri di Keith Haring, Basquiat, l’ultimo Warhol e lui che stava per scoprire il mondo. Vorrebbe trovarlo e dirgli di non aver paura, che andrà tutto bene, anche se in modo completamente diverso da quello che crede.
Sente una voce da dentro l’appartamento, suo marito Mark Mitchell gli si avvicina: «È mezz’ora che ti chiamo, cosa sta facendo qui?» David Leavitt si mette gli occhiali. «Ehm… sto cercando me stesso.» Mark Mitchell scuote la testa sorridendo: «Cosa ne dici di cercarlo dopo, e intanto mi aiuti con le valige?» David annuisce divertito, lancia un ultimo sguardo verso la strada e poi segue suo marito.