In libreria dal 24 febbraio, Delitto diplomatico è il resoconto di una inchiesta che i giornalisti Fausto Biloslavo, Antonella Napoli, Stefano Piazza e Matteo Giusti hanno realizzato in seguito alla morte dell’Ambasciatore Luca Attanasio e dell’agente Vittorio Iacovacci in Congo.
Grande come tutta l’Europa Occidentale, il Congo è una nazione da sempre al centro di grandi manovre da parte delle potenze per le sue materie prime. Indicato infatti come uno “scandalo geologico”, possiede il 33% dei giacimenti mondiali di cobalto, il 10% delle riserve mondiali di rame, un terzo delle riserve di diamanti, giacimenti di uranio, zinco, manganese e tre quarti delle risorse mondiali di coltan (colombo-tantalite) indispensabile per costruire cellulari e pc. In Congo sono presenti: Tesla, Apple, Panasonic, Volkswagen, Daimler, Huawei, Google, la nostra (per modo di dire) FCA ora parte di Stellantis e tante altre aziende a tutti noi note.
Frantz Fanon nel saggio I dannati della terra scrisse negli anni Sessanta: “se l’Africa fosse raffigurata come una pisola, il grilletto si troverebbe in Congo”. Quel grilletto ha colpito a morte due cittadini italiani: il giovane Ambasciatore Luca Attanasio e il suo agente di scorta Vittorio Iacovacci. Sulla loro morte, dopo un anno, non si è ancora fatta veramente luce nonostante, è notizia di qualche giorno fa, la Procura di Roma abbia chiuso l’indagine sostenendo che si è trattato di un rapimento a scopo di estorsione finito male.
Cito da Delitto diplomatico:
Il 18 gennaio 2022, quasi un anno dopo l’agguato, il generale Aba Van Ang Xavier, comandante della polizia del Nord Kivu, presenta a Goma in uno show mediatico sei banditi ammanettati. Due, BahatiKibobo e Balume Bakulu, avrebbero partecipato all’agguato mortale. Il generale spiega che le indagini sono in corso, ma conferma che l’obiettivo era proprio rapire l’ambasciatore italiano e chiedere un riscatto di un milione di dollari. Quando i Rangers sono intervenuti, il capo banda latitante, soprannominato Aspirant, avrebbe sparato agli ostaggi prima di darsi alla fuga. «Non sapevano che si trattasse di un diplomatico, cercavano solo dei bianchi» dichiara il generale.
Non è drammatico come il depistaggio messo in piedi dagli egiziani sul caso Giulio Regeni – che hanno fatto fuori in un blitz dei banditi accusandoli della terribile fine dello studente friulano – ma il padre dell’ambasciatore non ha peli sulla lingua: «Non è la prima volta che dal Congo arrivano notizie del genere che poi si rivelano essere una farsa» è l’opinione di Salvatore Attanasio. «Non vorrei fare alcun commento sugli arresti prima che le nostre autorità abbiano controllato e certificato l’operato della polizia congolese. Fino ad allora, per noi familiari questi arresti non contano assolutamente nulla».
Dopo aver letto l’inchiesta, qui l’intervista ad una delle autrici ,Antonella Napoli.
Quante possibilità ci sono che l’ambasciatore Attanasio e l’agente Iacovacci siano morti per interessi che vanno oltre i confini africani?

“Al momento le indagini non portano in questa direzione, ma conoscendo Luca non esito a credere che se fosse stato a conoscenza di fatti oscuri relativo a interessi che vanno oltre i confini africani non avrebbe esitato a denunciarlo”.
Perché in Italia a una settimana dall’attentato si è voluto dar credito alla tesi che Attanasio fosse stato giustiziato per aver scoperto fosse comuni di civili congolesi trucidati dai soldati ruandesi?
“Tra Congo e Uganda c’è una guerra di interessi contrapposti, questa vicenda è contornata da personaggi che fanno riferimento a varie fazioni che vogliono screditarsi a vicenda. Ma la ricerca della verità non può basarsi su illazioni”.
Quanto valeva il progetto del PAM (programma alimentare mondiale) che stava seguendo Attanasio insieme a Rocco Leone (direttore del World Food Program delle Nazioni Unite a Goma) e cosa ne è stato del progetto dopo l’attentato?
“Su questo non abbiamo informazioni aggiornate. Il Wfp da mesi si è trincerato dietro un mutismo esasperante. I progetti sono due, uno in corso l’altro ancora da avviare”.
La Procura di Roma ha aperto un fascicolo relativo al reato di omicidio colposo e omesse cautele, ed è legato alla tranche dell’inchiesta sulle negligenze e il mancato rispetto dei protocolli Onu da parte del Pam, in quanto organizzazione responsabile della missione nella zona del Parco del Virunga. Come ne è uscito Il WFP da questa cosa?
“Non ne è uscito. Due funzionari, che erano nel convoglio, sono indagati e presto potrebbero essere rinviati a giudizio. Sarà l’eventuale processo a fornire il quadro delle omissioni e delle responsabilità”.

Rocco Leone è stato l’unico a rimanere illeso nell’agguato, la sua testimonianza avrebbe dovuto essere risolutiva, stiamo parlando del direttore del WFP! Eppure, si è rivelato un testimone molto poco affidabile, come scrivete nella vostra inchiesta:
“Ha fornito tre differenti versioni a interlocutori diversi. La prima: subito dopo l’esplosione dei primi colpi è scappato e si è nascosto dietro l’erba alta. La seconda: fingendo di essere ferito a una gamba, è rimasto indietro rispetto ad Attanasio e Iacovacci, portati via dai rapitori, riuscendo a fuggire e rifugiandosi in una delle abitazioni vicine alla strada. La terza: durante la sparatoria ha cercato di aiutare Iacovacci, intervenuto per tentate di portare via l’ambasciatore dalla linea di fuoco tra sequestratori e Rangers, senza però riuscirci”.
Essendosi avvalso dell’immunità diplomatica non è stato più possibile interrogarlo. Ci dite in breve chi è quest’uomo?
“Un funzionario Onu impegnato prima nella sede del World Food Programme di Roma e poi inviato su vari terreni in Africa. A detta di operatori del settore della cooperazione una persona valida. Per quanto riguarda la vicenda Attanasio, il suo comportamento è stato ed è tuttora ambiguo”.

Alfredo Bruno Russo era il console presso l’Ambasciata d’Italia in Kinshasa (oggi è distaccato in Congo Brazzaville), persona vicinissima ad Attanasio e alla sua famiglia. Avrebbe dovuto accompagnare l’Ambasciatore in quel viaggio ma improvvisamente si defilò senza spiegazioni. C’è chi dice fosse stato informato di un’allerta diramata in quell’area proprio ventiquattro ore prima dell’agguato. Come è possibile che sia rimasto fuori da ogni indagine?
“A questo possono – e devono – rispondere i magistrati”.
L’Italia in Congo deve “difendere” gli interessi di diverse aziende (poche rispetto ad altri paesi), penso ad ENI ma anche a Inalcadel gruppo Cremonini, colosso dell’industria alimentare. Non è un mistero la vendita di armi italiane al governo congolese. Toni Capuozzo nell’introduzione scrive: “Luca Attanasio interpretava la diplomazia come una speranza”, io vi domando quanto invece fosse secondario il lato umanitario dell’azione della nostra diplomazia in Congo e cosa è cambiato in quest’anno, se qualcosa è cambiato dopo il sacrificio di Attanasio e Iacovacci. La storia di Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci è destinata ad essere archiviata? Voi continuerete a scriverne e a fare ricerche?
“Prima ancora di contribuire alla stesura di questo libro con la testata che dirigo, Focus in Africa, sin dal primo momento non ci siamo limitati al racconto dei fatti, ma abbiamo avviato, grazie ai nostri collaboratori sul posto e le nostre fonti, una vera e propria inchiesta giornalistica investigativa. In questi mesi siamo arrivati a informazioni che poi abbiamo ritrovato nell’ordinanza della Procura. Evidentemente abbiamo lavorato sugli stessi “temi”. Dal primo marzo all’impegno giornalistico si è affiancata anche una campagna, #veritaperlucavittorioemustapha. Personalmente non recederò mai da questo impegno. Con me tutta la redazione di Focus in Africa e le oltre 15 mila persone che hanno sottoscritto la nostra campagna”.

Antonella Napoli, visto che conosceva l’ambasciatore, vuole lasciarci con un ricordo personale?
“Luca era una persona solare, divertente e generoso. L’ho conosciuto nel 2004, aveva vinto il concorso da poco ed era alla Farnesina, alla direzione generale per l’Africa subsahariana, settore che cura le questioni di tutti quei Paesi di cui mi sono sempre occupata come giornalista. Per me era il «non-ambasciatore»: aveva un modo di essere e di fare che ti conquistava e anche nella sua grandissima professionalità aveva un approccio sempre molto umano. Non c’era, insomma, un tipico distacco diplomatico, anzi! Capitava che rimanesse a dormire per terra, si accontentava di stare in tuguri, senza temere disagio, senza mettere distanza con le persone. Gli volevo bene, gliene vorrò sempre. E manca. Tanto”.