Uscito in occasione dell’anniversario dei vent’anni dal G8 Rincorrere il vento. Genova 2001 è un colpo al cuore, un ricordo che trafigge le coscienze, una memoria implicita dell’uccisione del giovane Carlo Giuliani, un rievocare lo squallore delle atrocità perpetrate dall’essere umano occidentale, in un clima ormai consolidato di globalizzazione e di un sistema economico liberista sfrenato.
L’autore Gianluca Peciola classe 1970, una vita dedicata all’attivismo dopo la laurea in Lettere e Filosofia, ha conseguito il titolo di Educatore professionale. Ha lavorato nei servizi aggregativi rivolti alle ragazze e ai ragazzi delle periferie romane. Inoltre, è stato molto impegnato in movimenti sociali contro la globalizzazione economica e dei diritti, come si evince dalla narrazione della sua opera “Rincorrere il vento”, dato che molti degli eventi descritti sono collegati alla sua esperienza personale.

Contemporaneamente al suo attivismo, milita nei movimenti per il reddito di cittadinanza per lo sviluppo di luoghi autonomi di produzione culturale giovanile, per i diritti dei migranti e per il diritto all’abitare. Ha partecipato alla battaglia per la Casa del Rifugiato in favore dei rifugiati Kurdi e Kosovari ed è stato presente in tutte le mobilitazioni contro la guerra in Kosovo, Iraq, Palestina, Kurdistan, dimostrando un interesse reale e profondo nei confronti delle guerre e lotte per l’autodeterminazione dei popoli.
Rincorrere il vento. Genova 2001 ci riporta a un mondo di violenza mai abbastanza citata e documentata, attraverso gli occhi di un giovane uomo alle prese con un universo di ideali che parrebbe andare in frantumi. A distanza di tanti anni, quell’universo resiste ancora seppur provato da un’esistenza fitta di ingiustizie sociali.
L’autore permette al lettore di immergersi in una serie di vicende in cui i giovani protagonisti si ritrovano ad essere coinvolti in veri e propri atti di guerriglia da parte delle forze dell’ordine, alle quali rispondono con coraggio e sgomento. Tutto appare come la fine della giovinezza e l’iniziazione all’età del male, all’epoca delle multinazionali, del liberismo più sfrenato e all’economia che avrebbe schiacciato l’essere umano al suo livello più misero.
Gianluca Peciola è maestro di un linguaggio realistico e semi giornalistico a tratti attraversato da neologismi classici e da figure simboliche come il cavallo: “nel sogno cavalca nella nebbia verso di me che sono a terra sdraiato. È luminoso tanto da irradiare con il proprio biancore la foschia che lo avvolge. È imponente. Alla sua vista faccio il gesto di buon augurio, come avrebbe fatto mio padre, come ho fatto centinaia di volte”.
Il giovane combattente batte il pugno sull’asfalto come faceva da bambino, ogni qualvolta un protagonista buono, in sella al proprio cavallo bianco, sconfiggeva un cattivo dei film leoniani o corbucciani. È l’iniziazione alla lotta, che per il protagonista diventa un vessillo della propria esistenza, consistente in buoni propositi e in azioni civilissime, ma mai subordinate a un sistema di annullamento dei diritti. Quindi la “guerra” si trasforma nell’unico linguaggio adatto a un mondo in cui il “dialogo” civili tra parti non è più riconosciuto come viatico aristotelico per la risoluzione dei conflitti sociali.
Cogliamo l’occasione per intervistare Gianluca Peciola, che ci ha concesso uno spazio generoso e prezioso in merito alla sua biografia e al suo libro “Rincorrere il vento”.

Come nasce l’idea di questo libro?
“In molti della generazione di Genova portano ancora dentro, profondamente, il vissuto di quei giorni. La preparazione del controvertice, le decine di assemblee, il sentirsi parte di un tutto così aperto, globale; le tre giornate di luglio, la meraviglia, la sensazione di avanzare, di essere dentro ad un movimento che avrebbe fatto la storia e, insieme, lo sprofondamento, la morte, il sangue: tutto è stato a portata di mano, tutto si è svolto in pochi giorni, in poche ore. Chi non lo ha vissuto non può immaginare cosa sia stato: passioni vivide, dolore e gioia, lo scontro, la paura di non tornare. Tutto questo segna e insegna. Il libro nasce da questo grumo emotivo che è ancora caldo. Gli spari contro la manifestazione, l’uccisione di Carlo, l’aver lasciato lì a terra un ragazzo, senza poter fare niente. Tutto questo brucia. Non c’è stata giustizia: brucerà per sempre. Grazie alla collaborazione con la splendida rivista on line “L’intersezionale” (che ha dato spazio al mio racconto diventato, poi, libro) e alle illustrazioni veramente forti ed evocative di Arcangela Dicesare, è nato un progetto di cui vado orgoglioso”.
Perché un titolo così simbolico?
“Il riferimento alla canzone di De Andrè è nato lentamente, è cresciuto insieme al racconto. Una nota nostalgica, la potenza del ricordo, la certezza che la passione politica, come l’amore, è una corsa piena di illusione e di rischio. Il ricordo di quei tre giorni è immerso nella città, i vicoli dove trovare rifugio, i portoni che spesso sono diventati luoghi di accoglienza per chi fuggiva, poi il lungo mare dove si è svolta parte della manifestazione del 21 luglio, proprio dove De Andrè ha trovato ispirazione. Un cantautore che ha cantato le marginalità e le fragilità e ha, al tempo stesso, creato una poetica in grado di far sognare, pensare la possibilità di una umanità capace di fraternità; un’alleanza di amori sensi tra gli ultimi della terra. E poi questa tensione rabbiosa verso le ingiustizie e gli ingiusti. Poi c’è che quella generazione è stata trasportata dal vento del movimento contro la globalizzazione economica, dal clima che si respirava in tante parti del mondo, dal Chiapas, al Brasile, in Europa con il ritorno dei movimenti sociali. Infine, e per questo la forma del “romanzo”, molti di quei protagonisti avevano, per citare un classico meraviglioso, “una questione privata” a cui rispondere”.

Che tipo di rapporto hai con la scrittura, intesa come mezzo di diffusione di idee e testimonianze?
“È il momento della verità e della ricomposizione del caos. Scrivere è come far emergere all’improvviso un mediatore nell’assemblea interna, quella della nostra mente, con cui ognuno di noi fa i conti, e fargli dire shhhhhhh mettiamoci d’accordo. La scrittura dà forma lineare alla volontà di un pensiero utile, internamente ed esternamente, per gli altri intendo”.
Se tornassi indietro e potessi cambiare qualcosa del tuo percorso politico o di attivista, quali sono gli eventi o scelte che vorresti modificare?
“Domanda difficile, vediamo… penso che mi dedicherei di più ad esperienze internazionali. Per comprendere profondamente una realtà, devo entrare nei fatti: anche sui social, non parlo mai di cose che non conosco o che non ho vissuto direttamente, non sono un tuttologo. La parola ha presa diretta col vissuto, quando è così la sento più autentica e solo allora mi appartiene.
Vorrei avere una parola più internazionale. Ho viaggiato molto, sì, ma avrei voluto farlo di più e più intensamente. Questo avrebbe favorito in me uno sguardo diverso e concretamente più ampio sulla realtà e sulla politica. Non so se ho risposto…”.
Genova ha cambiato un po’ la tua vita?
“Sì, perché Genova ha inciso un segno permanente. È come una cicatrice o una invalidità, sta lì a ricordarti una possibilità mancata di cambiare il mondo, ti parla di morti e feriti senza giustizia. Per chi, come me, è cresciuto con un senso profondo della giustizia è insopportabile che uomini incappucciati abbiano torturato, umiliato, percosso, sequestrato, segnato per sempre centinaia di persone, nel corpo e nella psiche, senza pagare.
In Italia, sono ancora a piede libero torturatori, sequestratori che ancora hanno la divisa e che hanno persino fatto carriera. Questo, per una democrazia che voglia definirsi realmente, tale è insostenibile. Mi chiedo come la politica riesca a convivere con un lutto del genere bene in vista, sul braccio della Costituzione”.
Quali sono i progetti politici e culturali che stai seguendo e coordinando durante questo periodo?
“Politicamente continuo a impegnarmi su diversi fronti. Dai diritti umani, con le campagne per la verità e la giustizia per Stefano Cucchi, fino a tante vertenze sociali e ambientali. Sono attivo nel movimento Liberare Roma, una forma politica che parte del civismo cittadino si è data e che ha obiettivi ambiziosi: cambiare la città, rimettere al centro del governo la questione sociale, ambientale e la soggettività delle donne sulle questioni fondamentali della vita politica ed economica. Con una serie di seminari, insieme al collettivo di Casetta Rossa e a media partner importanti come Collettiva (il sito della Cgil), Comune-info e Left, sto provando ad offrire un contributo alla discussione sulle priorità che la Sinistra dovrebbe darsi per essere più credibile e cambiare il corso della storia, che, come vediamo, punta dritta verso la catastrofe ambientale e l’aumento delle ingiustizie sociali”.

Quali dei personaggi della tua narrazione sono un’emanazione della tua esperienza o del tuo sentire?
“Tutti. La forma del romanzo aiuta a distribuire le parti, a mescolare le carte, ad assegnare funzioni letterarie ai personaggi o a parte di essi”.
Dove stai presentando il libro in questo periodo e dove saranno le prossime date per la presentazione di “Rincorrere il vento”?
“In questi giorni sto parlando del libro e dell’esperienza di Genova 2001 in alcune scuole occupate. È un’esperienza commovente e importante per me: il racconto prende vita nei loro occhi attenti. In fondo il libro ha come protagonisti ragazzi e ragazze, che si trovano di fronte ad uno scenario più grande di loro e con il quale devono fare i conti. Uno scenario in cui emergono le loro paure e dove mostrano il loro coraggio. La lettura agile, non pedante, la descrizione dettagliata dell’azione, il contesto da guerra civile, le storie personali dei protagonisti, accennate con una forma di pudore penso caro agli adolescenti, lo rendono adatto ad un lettore giovane. A gennaio lo presenterò a Tor Bella Monaca. Mi piacerebbe che il viaggio trovasse il suo compimento con una presentazione molto significativa: vorrei che a dialogare con me fossero i genitori di Carlo Giuliani”.