Compirebbe novant’anni il 5 gennaio di quest’anno e sembrano decenni gli appena sei anni dalla sua scomparsa il 19 febbraio 2016. Tanto lo spazio che ha occupato da protagonista, talvolta scomodo, nella cultura italiana. Ero ventenne quando mi ammaliò la sua verve e la sua affabulazione nella conferenza sulla semeiotica greca, tenuta all’Ateneo di Palermo. Mi aspettavo la lectio cattedratica per specialisti sulla questione del “semeion” in Sesto Empirico e i testi distribuiti che conservo scoraggiavano ogni facile approccio. Eppure il discorso aleggiò leggero tra il sorriso sornione, esemplificato con le battute a sorpresa del suo satirico preferito, il regista e attore Woody Allen. Era l’alone fascinoso delle battute dei primi film, che tanto ci avevano preso, What’s Up, Tiger Lily? (Che fai rubi?, 1966), Take the Money and Run (Prendi i soldi e scappa, 1969), Bananas (Il dittatore dello stato libero di Bananas, 1971). Erano gli anni della revisione della cultura con la sua frequentazione dell’avanguardia del Gruppo 63 (Balestrini, “sigla di comodo”) negli incontri di Palermo e della spiaggia di Solanto. Appassionato di Dylan Dog, sarebbe stato lui a sdoganare il fumetto come genere letterario.
Di statura immensa ed ingombrante, semiologo, nella sfera ampia del filosofo, ma anche medievista, per dire cattedratico e accademico, ma aperto a tutte le malie culturali e perciò anche traduttore, più ampiamente bibliofilo. Fu sconvolgente il salto dai circoli accademici allo star system mondiale dei bestseller, quando varcò il fossato degli addetti ai lavori e da specialista di saggistica e interprete del pensiero degli altri, fra cui greci e medioevali, si mise alla prova come narratore e autore in proprio. Il miracolo avvenne con quel Il nome della rosa (Bompiani 1980), ambientato in quel fantastico monastero castello del 1327, Premio Strega nel 1981, tradotto in oltre quaranta lingue. E fu pure il film nel 1986, diretto da Jacques Annaud con Sean Connery, che vidi a Parigi in una strana mistione fonica di latino medioevale. Conferma travolgente con la miniserie del 2019, diretta da Giacomo Battiato con John Turturro e Rupert Everett. Sarebbero seguiti a coronare la sua genialità di narratore Il pendolo di Foucault (1988), Baudolino (1994), Il cimitero di Praga (2010) e quel canto del cigno che metteva un punto su tutto, Numero zero del 2015, forse il più attuale e perciò da rileggere, in quanto preparava ed alludeva alle fake news, con il tema travolgente della manipolazione e distorsione della verità e la moltiplicazione delle verità, della macchina del fango.
Nell’immenso scenario della sua attività e delle sue opere alle quali si deve per necessità rimandare semplicemente, in onore dei lettori statunitensi e in margine all’amato Colombo, che comunque si voglia legiferare, sempre lui resta ad avere scoperto quel cordone teso tra Europa e Asia ed averlo reso alla conquista di Albione e compagni, riserviamo un piccolo angolo al suo amore per l’America e al tema a lui caro, La scoperta dell’America. Ebbe occasione di occuparsene più volte, in tono sarcastico e faceto, sfottente e irriverente.
Nell’edizione Oscar Mondadori del 1975 di Diario minimo (1963), era inserito il saggio La scoperta dell’America (1968, pp. 130-137). Dire saggi è frastornante in questa raccolta di pseudo-saggi, fulminanti e brevi usciti sulle riviste Il Verri, Il Caffè, L’Espresso, Pirelli. Il titolo riprendeva la sua rubrica su Il Verri avviata nel 1959 ove uscirono una serie di riflessioni e parodie sul costume e fatti attuali, quasi un personale diario di fatti, minimi forse per la portata e certo anche per la loro natura snella ed epigrafica, divenuto a poco a poco piccoli saggi, quasi esercizi di “falsificazione letteraria”, che del progetto stimolatore accolsero solo il tema della provocazione e della ripresa dell’attualità. Leggeri ed emblematici da divenire spunti scolastici (“Cuore”) e analisi rivoluzionarie come quella Fenomenologia di Mike Bongiorno, paradigma dell’intrattenitore della RAI nazionalpopolare.
Si immagini una stordente radiocronaca del viaggio verso l’ignoto, movimentata da una sorprendente sfilata dei più noti radiocronisti dei nostri anni ‘60. Basta l’apertura del celebre mezzobusto Sergio Telmon:
«Buonasera. Sono le ore 19 dell’11 ottobre 1492 e iniziamo il nostro collegamento in diretta con la nave ammiraglia della spedizione Colombo che entro le ore sette di domattina, 12 ottobre 1492 dovrebbe portare il primo talattonauta europeo a porre il piede su una terra nuova, un nuovo pianeta, se mi è permessa la metafora, quella Terra incognita vagheggiata da tanti astronomi, geografi, cartografi e viaggiatori, che alcuni dicono essere le Indie, raggiunte da Ponente, anziché da levante, e altri suggeriscono essere addirittura un nuovo continente, enorme ed inesplorato. Da questo momento la Radiotelevisione si manterrà in collegamento permanente per 25 ore consecutive. Saremo collegati con la telecamera posta sulla ammiraglia, la Santa Maria, sia con la stazione delle Canarie, nonché con il centro televisivo sforzesco di Milano, l’università di Salamanca, l’università di Wittemberg. Al mio fianco il professor Leonardo da Vinci, un eminente scienziato e futurologo, che ci fornirà via via le spiegazioni necessarie per comprendere i particolari tecnici di questa straordinaria Impresa. A te Stagno».
Sì, proprio quel Tito Stagno che gridò in diretta il 20 luglio 1969, «Ha toccato, ha toccato, ha toccato il suolo lunare», commentando minuto per minuto la missione Apollo 11 assieme a Ruggero Orlando da Houston, pure partecipe assieme a. Mike Bongiorno, Pippo Baudo e perché no, anche Lutero, che ricorda che non ci sono solo le “rivoluzioni tecnologiche: «Ci sono le riforme interiori che possono avere esiti ben più grandi, e drammatici, ed esaltanti».
Il Leonardo-Eco, interrogato “sulle caravelle dal punto di vista della propulsione”, dopo un disturbo e un controllo da via Teulada dato che «il prof. Vinci ha la strana abitudine di parlare da destra a sinistra» e una inversione di ampex, davanti a venti milioni di telespettatori, Leonardo pontifica che «la caravella sfrutta il sistema di propulsione detto “wind and veil” e si mantiene a galla secondo il principio di Archimede». A Ruggero Orlando la panoramica finale: «Lo spettacolo che ci invia la telecamera è veramente grandioso! I marinai si stanno lanciando verso gli indigeni con ampi balzi, balzi enormi, i primi balzi dell’uomo nel Nuovo Mondo… Stanno raccogliendo dal collo degli indigeni i campioni del minerale del Nuovo Mondo e li mettono in grandi sacchi di plastica».
Altrettanto esilarante il suo intervento nel 2011 a Viva Radio 2 ove, partendo dalla scoperta della cultura si volge con ironia alla “scoperta” per antonomasia, “del tutto casuale”, il “pestaggio” di Colombo dai marinai ammutinati, da cui “pesto”, e il grido di “terra” da cui “terroni”, l’uomo del “commercio violento” e della Borsa, che per la sua mancanza di bravura diventò il “nullatenente Colombo”.
Eppure in questa visione parodica della scoperta fa talvolta da pendant la critica feroce della società americana, come nell’anomalo e straniante saggio Travels in Hyperreality (1975), nel girovagare negli Usa, che si risolve nella forma di romanzo postmoderno in una fantascientifica profezia in chiave filosofica, la visione di un compilatore di depliant turistico dal quale tutto il paesaggio ne esce ricreato in forma di fake: dallo stregonesco Studio ovale di Lyndon Johnson alle tante mistificazioni dei Musei con opere ricreate di pezzi mancanti, una specie di “città giocattolo” con edifici in cartapesta e scontri da Far West per i visitatori.
Il viaggio diviene così un allucinante pellegrinaggio nell’iperrealtà, nel falso assoluto, tra città integralmente e totalmente false, prototipi universali Disneyland e Disney World, in cui si va da un assalto di Pirati alla Casa degli Spiriti, ove “la tecnologia ci può dare più realtà di quanto la natura possa mai dare”, ove “all’interno del suo involucro magico è la fantasia quella che viene effettivamente riprodotta.“, in “un’allegoria della società dei consumi, un posto di assoluto iconismo, Disneyland è anche luogo di totale passività. I visitatori devono accettare di comportarsi come dei robot.“. Si va perciò dalla fake natura fino alla fake reality, con cavalieri medievali, la ricreazione di edifici cinesi e tanto di King Kong animatronico (Traveling Trought Hyperreality With Umberto Eco, in Transparency, com, 1990, in saggio Dalla periferia dell’Impero. Cronache da un nuovo medioevo, La nave di Teseo, 2018).
Eppure nell’aura attuale della modaiola Serendipity, coniata da Horace Walpole nel 1754 e resa celebre nel 2001 dal film di Peter Chelson, questo fu la scoperta di Colombo, un equivoco.