New York 1951, qualche giorno prima di Natale. Holden Caulfield è in taxi e sta girovagando per New York. È alto, magro come un chiodo e ha un curioso ciuffo di capelli bianchi sul lato destro della testa che lo fa sembrare più grande rispetto ai suoi sedici anni. All’improvviso alza la voce e chiede al taxista: «Senta un po’, sa le anatre che stanno in quello stagno vicino a Central Park South? Mi saprebbe dire per caso dove vanno quando il lago gela? Lo sa, per caso?»
«E come diavolo faccio a saperlo? Come diavolo faccio a sapere una stupidaggine così?»
Holden Caulfield è il protagonista del romanzo The Catcher in the Rye (Il giovane Holden, traduzione di Matteo Colombo, Einaudi) di J. D. Salinger. Di questo libro, ogni anno, vengono vendute circa un milione di copie, con vendite totali che hanno superato sessantacinque milioni.
La trama del romanzo è estremamente semplice: un ragazzo gira per New York City cercando di ritardare più possibile il momento in cui arriverà davanti a suo padre e dirgli che è stato cacciato dall’ennesima scuola. La forza di questa storia però non è affatto la trama, ma lo sguardo di Holden sul mondo, su New York, sulla gente, le suore, il parco, il suicidio.
Alessandro Baricco ne è rimasto talmente affascinato da chiamare la sua scuola di scrittura proprio Scuola Holden. Nel programma televisivo Pickwick del 1994 (qui l’estratto) presenta un’interpretazione dello spirito del protagonista attraverso la teoria della quarta fila:
“A un certo punto Holden ricorda un giorno in cui sua madre gli ha regalato un paio di pattini a rotelle. Lo ricorda e poi dice: succede quasi sempre che quando qualcuno mi fa un regalo finisce che poi io divento triste. Ora voi pensate, se qualcuno vi fa un regalo, la prima reazione probabilmente è che voi siete contenti, la seconda è lo stupore, la terza è la curiosità… ce n’è una serie di banali, ovvie, normali. Ma se voi ci pensate bene, dietro, dietro, dietro, un po’ di tristezza c’è sempre. Uno vi fa un regalo e sotto, sotto tutto il resto, c’è una punta di tristezza. Chissà perché. Forse uno si sente debitore, forse uno sa che non se lo merita, l’imbarazzo di ricevere il regalo, non so. Ma è certo che dopo la prima fila di emozioni, la seconda, la terza… a un certo punto arrivi e c’è un grano di tristezza.
Allora vedete Holden cos’è che vede. Quello che sta dietro. Non la prima fila, la seconda o la terza: la quarta fila. La cosa che ti succede e sta un po’ nascosta. Tutto il mondo che sta in quarta fila, quello è il mondo di Holden. Sto ragazzino che non riesce a vivere il primo, il secondo, il terzo stadio, e infatti viene espulso dalle scuole, con la famiglia c’ha dei problemi … cioè non riesce a vivere le cose che tutti vivono, la prima che ti arriva addosso… però ha una sensibilità esasperata per quello che sta dietro. Lui vede e pensa tutto quello che sta dietro. È tutto così, Holden. È sempre così. A un certo punto lui passa una nottata infernale e dice: alla fine di quella notte mi sarei ucciso, mi sarei tirato giù dalla finestra, se non fosse… mi ha bloccato il terrore di rimanere là, spiaccicato, in mezzo al sangue, con tutta della gente strana, chissà che gente, che mi guarda. Se mi avessero promesso che arrivava qualcuno, mi metteva una coperta addosso, io mi sarei buttato dalla finestra. Ora, uno per non uccidersi ha molte ragioni, mille ragioni. Questa di Holden è una ragione da quarta fila, ce ne sono prima di più importanti. Poi però, è vero, c’è anche questa. Questa specie di pudore, di vergogna, di rimanere là spiaccicati e arriva gente… un ragioniere, ti guarda, non l’hai mai visto prima e lui ti guarda lì spiaccicato. Le ragioni di Holden sono così. Le persone vedono le anatre a Central Park, qualcuno le fa mangiare ma pochi si domandano cosa facciano in inverno. E lui vede, e in qualche modo riscatta, in questo mondo di quarta fila, riscatta tutto il mondo di prima fila che lui non riesce a vivere. La scuola da cui è espulso. Lui vede nel mondo solo quelle cose lì. In compenso, in quel quarto livello, in quella quarta fila, è un genio. Cioè là dove i sentimenti diventano piccolissimi, fragilissimi, Holden li inchioda uno ad uno.
Paolo Cognetti in Storie della letteratura, RAI fa notare come questo libro rappresentasse l’invenzione dell’adolescenza, un genere sociale e letterario che prima non esisteva. “Si passava dall’infanzia all’età adulta senza una via di mezzo. Improvvisamente fa irruzione, sulla scena letteraria, l’adolescente, incarnato perfettamente da Holden”.
Nicola Lagioia su Robinson sottolinea come all’età di unici anni Holden avesse perso suo fratello minore, Allie, morto di leucemia. “Quando pensiamo al Giovane Holden non dovremmo mai dimenticare Allie. Buona parte dell’opera di J.D. Salinger prende le mosse da questo: il tentativo di rielaborare un trauma in un mondo che finge di non vederlo”.
Le teorie del successo planetario di The Catcher in the Rye sono diverse, come sono diverse le traduzioni del titolo (El Cazador Oculto in Spagna, L’Attrape-cœurs in Francia, De kinderredder van New York nei Paesi Bassi), letteralmente la traduzione del titolo è “L’acchiappatore nella segale” ed è un riferimento a una vecchia canzone scozzese che Holden sente cantare da un bambino per la strada. Ma non ricordando bene il primo verso lo riporta modificato: “If a body catch a body coming through the rye”, dice. Cioè “se una persona afferra una persona che viene attraverso la segale” Ed è la risposta – decisamente nello stile del romanzo – di Holden alla sorella Phoebe quando gli chiede cosa voglia fare da grande, lui immagina una frotta di bambini che giocano in un campo di segale sull’orlo di un dirupo e lui vorrebbe salvarli, vorrebbe afferrarli un attimo prima che cadano dal burrone, mentre giocano in un campo di segale.
Dopo essere stato catapultato alla ribalta con la pubblicazione di The Catcher in the Rye nel 1951, immediatamente acclamato come un classico americano, Salinger ha iniziato a farsi vedere sempre meno in pubblico. Ha continuato a scrivere racconti per The New Yorker, che sono stati ristampati occasionalmente in vari libri nei successivi 15 anni: Nine Stories (1953; Nove storie, traduzione di Carlo Fruttero, Einaudi), Franny e Zooey (1961; Franny e Zooey, traduzione di Romano Carlo Cerrone e Ruggero Bianchi, Einaudi) e Raise High the Roof Beam, Carpenters and Seymour: An Introduction (1963; Alzate l’architrave, carpentieri e Seymour. Introduzione traduzione di Romano Carlo Cerrone, Einaudi, 1965).
L’attenzione di J.D. Salinger al dialogo e alla narrativa in terza persona è prevalente in molte delle sue opere. Attraverso questi due stili di scrittura, il lettore comprende le relazioni che i personaggi hanno tra loro. Non esiste un narratore imparziale e onnisciente e le motivazioni e le emozioni dei personaggi vengono rivelate solo attraverso le loro parole e azioni.
Eudora Welty, recensendo Nine Stories sul New York Times, ha scritto: “Ha l’equipaggiamento di uno scrittore nato per cominciare – il suo occhio sensibile, il suo orecchio incredibilmente buono, e qualcosa per cui non penso altro che grazia. Non c’è traccia di sentimentalismo nel suo lavoro, anche se è pieno di bambini che sono destinati a essere adorati. Questi racconti erano stati scritti e pubblicati quasi tutti prima del successo di The Catcher in the Rye. A Perfect Day for Bananafish venne proposto al New Yorker nel gennaio 1947 quando Salinger aveva vent’otto anni. L’autore ci lavorò per un anno con l’editore William Maxwell e dal suo staff modificando la storia (e anche il titolo) con una decisa avversione da parte di Salinger (si racconta che Maxwell gli disse che se non le piacevano le correzioni poteva anche non accettarle ma dopo averle lette Salinger ammise che miglioravano la storia). Il racconto è incentrato sulla figura di Seymour, primogenito talentuoso dei sette figli della famiglia Glass, veterano della Seconda guerra mondiale recentemente dimesso da un ospedale militare. La storia viene raccontata in terza persona attraverso una serie di conversazioni con brevi intervalli di descrizione tra i dialoghi.
Quando il 31 gennaio 1948 venne pubblicato, il racconto ottenne un’immediata acclamazione e secondo il biografo di Salinger Paul Alexander, fu “la storia che cambiò definitivamente il suo status all’interno della comunità letteraria”. La decisione di Salinger di collaborare con Maxwell e lo staff del New Yorker nello sviluppo della storia lo portò a entrare nella ristretta cerchia di coloro che scrivevano per il giornale.
In molti paesi (non in Italia però) la traduzione del titolo Nine Stories è For Esmé — with Love and Squalor omaggiando un racconto presente nell’antologia che racconta l’incontro di un sergente con una giovane ragazza prima di essere mandato in combattimento nella Seconda guerra mondiale. Questa storia è un tributo a quei veterani della Seconda Guerra Mondiale che nella vita civile del dopoguerra soffrivano del disturbo da stress post-traumatico. Pubblicato originariamente su The New Yorker l’8 aprile 1950 il racconto è stato subito apprezzato dai lettori; meno di due settimane dopo la sua pubblicazione, il 20 aprile, Salinger aveva già ricevuto più lettere per questo racconto di quante ne avesse per qualsiasi altro.
Nel romanzo Zooey, la madre del personaggio del titolo dice di lui e di suo fratello: “Né tu né Buddy sapete come parlare con le persone che non vi piacciono”, aggiungendo: “Non puoi vivere nel mondo con simpatie e antipatie così forti”. Una frase che sembra rivelatrice perché Salinger smette all’improvviso di pubblicare (la sua ultima storia apparsa sulla stampa, Hapworth 16, 1924, è uscita nel numero del 19 giugno 1965 del New Yorker) e decide di abbandonare New York e di ritirarsi in Cornovaglia, N.H., una piccola città dove visse in isolamento per più di mezzo secolo.
La sua alienazione dal mondo e la sua mania per la privacy divennero parte del mito che venne lentamente costruito intorno alla sua persona, un mito che David Shields e Shane Salerno hanno tentato di penetrare nel loro libro e documentario “Salinger”. Un’opera imponente in cui intervistano amici, conoscenti, personaggi famosi, in cui il ritratto di Salinger è quello di un uomo che non si è mai ripreso dagli orrori dei combattimenti in tempo di guerra (l’autore partecipò allo sbarco in Normandia, fu tra i primi soldati ad entrare in un campo di concentramento liberato dagli alleati e lavorò per anni nel controspionaggio.)
Durante la guerra, Salinger vive anche un trauma amoroso, come racconta Marco Missiroli in minimaetmoralia l’autore americano scopre dalla rivista LIFE che la sua fidanzata Oona O’Neill (nipote del premio nobel O’Neill, appena diciottenne) ha sposato l’attore più amato d’America Charlie Chaplin (cinquantotto anni).
“Se non ci fosse stata la Seconda guerra mondiale” afferma David Shields “Salinger non sarebbe diventato Salinger. La guerra ha trasformato un giovane scrittore ambizioso e arrogante in un uomo profondamente solitario che ha provato ad affrontare il suo disturbo da stress post-traumatico prima con l’arte e poi con la religione (diventò un induista nella versione Advaita Vedānta)”.
L’unico momento piacevole in quel periodo sembrerebbe l’incontro con Ernest Hemingway, allora corrispondente di guerra da Parigi, che dopo aver letto i suoi scritti commentò: “Gesù ! Ha un talento straordinario!”
La cultura della celebrità detesta il silenzio: gli spazi vuoti delle celebrità possono riempirsi di nient’altro che di misticismo. Tale è stato il destino ironico che è toccato a JD Salinger quando ha cercato di ritirarsi dalla fama. Il suo silenzio divenne risonante come lo era stata una volta la sua scrittura. Nelle campagne del New Hampshire, Salinger ha vissuto una vita sempre più solitaria fino alla sua morte il 27 gennaio 2010. Negli anni sono emersi pettegolezzi su varie forme di religione orientale, così come su un debole per le donne molto più giovani di lui e sul fatto che abbia continuato a scrivere, ogni giorno: semplicemente non pubblicava. Notizia confermata dal figlio Matt che, durante la primavera del 2019, fece un tour letterario europeo fermandosi a Torino (ovviamente presso la Scuola Holden) e a Milano alla Gogol&Company confermando che il padre ha scritto diversi romanzi sulla famiglia Glass (il protagonista dei Un giorno ideale per i pescebanana) e altre storie sulla vita di Holden Caulfield. E lui, e lui soltanto, ha il compito di riordinarli e indicarne la pubblicazione.
Durante la presentazione milanese ha anche raccontato che alcuni amici, letterati e presentatori gli hanno chiesto se il padre avesse poi scoperto che fine fanno le anatre di Central Park in inverno e che significato gli dava. Matt Salinger ha detto – sorridendo – che è rimasto colpito dalle tantissime analisi e opinioni su questo argomento (rappresentazione del carattere puro del protagonista, identificazione di un disagio o il desiderio di migrare): “Il giovane Holden ha venduto circa 10 milioni di copie, forse in questo momento qualcuno lo sta leggendo e – ignorando tutte le teorie psicologiche- sta socchiudendo il libro e pensando: ma davvero, dove saranno le anatre in inverno? Non so cosa ne pensasse mio padre, ma io sarei contento che succedesse semplicemente questo”.