Ciascuno ha nel cuore una sua Route 66, quella che John Steinbeck chiamava ‘mother road’. Per noi italiani del Centro-Nord, la mother road è la Via Emilia. Strada statale numero 9, secondo la classificazione ufficiale. Non è lunga 2.300 miglia come la mitica highway che dal 1926 corre da Chicago alla spiaggia di Santa Monica. Non arriva nemmeno a 200 miglia. In compenso esiste da oltre duemila anni. Nacque da un’idea di un console romano, Marco Emilio Lepido, che voleva collegare Rimini a Piacenza (e successivamente anche a Milano).

Quella strada quasi priva di curve è la spina dorsale di una regione che nei secoli ha coltivato e insegnato letteratura e arte, cinema e politica, bel canto e buon cibo. Un ottimo ed esperto giornalista, Carlo Donati, racconta la storia e le storie di quella strada, in un libro appena uscito che somiglia a un appassionante romanzo, con mille trame che si intrecciano in un grande affresco di culture e di umanità. Strada Nove è un’opera ampia e intensa, pubblicata in due volumi da Cattedrale editori.

Donati ha impiegato molti anni per completare un lavoro meticoloso e di sorprendente respiro. Il suo metodo ricorda quello dei grandi reportage da Berlino, da Varsavia o da Odessa, che Georges Simenon firmò negli anni Trenta per alcuni prestigiosi settimanali francesi. Quel suo metodo, il grande scrittore belga lo descriveva così: “Non busso alle porte dei ministeri e dei parlamenti, ma a quelli delle fattorie, delle case operaie e delle botteghe”. Scarpe, cervello e cultura sono sempre stati i ferri del mestiere del buon giornalismo e della buona narrazione. Donati li usa tutti e tre con efficacia e freschezza, senza risparmio e senza lungaggini, in quasi settecento pagine. Come Simenon cerca e trova gente normale ma speciale, annota, osserva e non giudica. Come un navigato studioso inquadra grandi pezzi di vita e di umanità in accurati contesti di storia e cultura, senza pedanteria, senza perdersi in noiose lezioni.

Il suo viaggio comincia dal ponte di Tiberio a Rimini, cinque arcate in pietra d’Istria, un miracolo dell’architettura romana che quest’anno compie duemila anni di vita. È solido e magnifico da sempre, con un intenso traffico di auto, camion e bus, che non ha ancora smesso di calcarlo da una sponda all’altra di un piccolo fiume.
L’incontro casuale con due vigili urbani sul ponte di Tiberio è l’inizio del lungo percorso di Donati verso Cesena, Forlì, Imola, Bologna, Modena, fino alla sua Parma e a Piacenza, di città in città, di storia in storia. Viaggio sontuoso e raffinato, coltissimo e popolare, fatto di incontri sorprendenti. Camionisti e balordi, scrittori e intellettuali, politici e splendidi sconosciuti si alternano a preziosi brandelli di storia, ritrovata in pietre antiche, in vite celebri o apparentemente banali. È un modo originale per capire e raccontare l’Emilia, quella autentica, madre naturale o adottiva di talenti come Giuseppe Verdi e Ludovico Ariosto, Federico Fellini e Tonino Guerra, Carducci e Pascoli, Pier Paolo Pasolini e Umberto Eco, Luciano Pavarotti, ma anche di formidabili menti inquiete e meno note, come il fumettista-illustratore Andrea Pazienza e tanti altri. Una gigantesca sedia, montata sul tetto di una palazzina di Castel San Pietro, racconta la storia di un imprenditore intelligente e coraggioso, uno dei tanti in questa terra in cui l’impresa e il lavoro sono valori vivi, in fabbrica o in campagna. Spuntano spesso la grande tradizione del cibo (dell’aceto balsamico, del parmigiano-reggiano e dei suoi meravigliosi e sconosciuti artefici) e l’epopea dei motori che non ha solo il volto ruvido e indimenticabile di Enzo Ferrari. C’è anche molta politica. Giovanni Spadolini, Romano Prodi e, molto prima di loro, Mussolini. Ci sono tanti comunisti strani, molto emiliani: ottimi sindaci e amministratori che non espropriavano terreni ma creavano asili e servizi pubblici, non amavano Stalin e Breznev ma adoravano lo champagne e i buoni ristoranti.

Ci sono pagine surreali e curiose. A Bologna, per esempio, Donati ispeziona palmo a palmo l’interno del grande Palazzo D’Accursio, la medievale sede del Comune nel cuore della città, e si mette a contare le centinaia di finestre che si affacciano sulla piazza, sui cortili interni, sulle belle strade del centro cittadino. Non si dà pace quando scopre che il totale di quelle finestre, viste dall’interno, è diverso dal numero di quelle che si possono contare dall’esterno. È un mistero buffo che non toglierebbe certo il sonno a storici e architetti, ma per Donati diventa il pretesto di un racconto ironico, leggero e divertente.
Da una lunga e ottima lettura esce il ritratto di una regione profondamente italiana, lontana però dalle caricature che sbeffeggiano un Paese avvilito da furbetti, mafie, corrotti, nullafacenti, profittatori, miliardari puttanieri.

L’Emilia Romagna è una regione che sa ancora godere. Gli indici della qualità della vita sono buoni. Sa anche creare, lavorare, convivere, accogliere. Da sempre nelle sue università arrivano migliaia di studenti da ogni parte del Paese e dall’estero. Con Parigi, Oxford e Salamanca, la quasi millenaria università di Bologna è tra le più antiche d’Europa. Mantiene prestigio. Sono tanti gli studenti che, una volta laureati, non tornano nella loro terra d’origine. Preferiscono l’Emilia, anche senza avere letto il bel libro di Carlo Donati.
Strada nove. La via Emilia e le sue curve
di Carlo Donati
Due volumi, pagine 333 più 365
Prezzo 16 euro a volume
Cattedrale editori