New York accoglie Chiara Marchelli con il suo nuovo romanzo La memoria della cenere, (296 pagine, 18 euro), pubblicato da NN Editore.
L’ultimo libro della scrittrice valdostana, da anni residente a New York e insegnante alla New York University, ha percorso numerosi chilometri in giro per le librerie di tutta Italia per un tour promozionale.
E non poteva mancare la tappa nella sua città “acquisita”. Il 10 maggio si è infatti svolta la presentazione alla Casa Italiana Zerilli-Marimò della NYU.
Un libro che conferma la capacità narrativa della scrittrice, che si divide tra l’America e l’Italia, New York e la Val d’Aosta. Il suo romanzo è incentrato sulla forza della natura, i limiti e i miracoli che essa ha su tutto ciò che circonda, come il corpo umano, con la sua reazione alla malattia, ad una condizione psicofisica che muta come cambia il suo ambiente intorno.
La protagonista, Elena, viene colpita da un aneurisma si trova nella sua casa di New York. Sopravvive e, insieme al fidanzato Patrick, decide di trasferirsi in Francia, in un paesino ai piedi del vulcano Puy de Lúg. Durante la convalescenza, Elena è immersa nei pensieri che si surriscaldano dentro la sua mente, nei ricordi di sentimenti riscoperti e delle incertezze, come il magna che ribolle sottoterra, a pochi chilometri da lei. Tutto si svolge in questi pochi giorni in cui i nodi familiari, ma anche quelli della coppia, vengono al pettine. Situazioni che rischiano di esplodere un po’ come il vulcano che è tornato in attività.

Chiara, racconta questa tua ultima fatica.
“La memoria della cenere” è un romanzo intimo, rafforzato dalla scrittura in prima persona, che ha come protagonista una donna che deve ripartire, ricominciare, ri-nascere. Ma è anche un romanzo corale, perché Elena è circondata, e a volte assediata, dalle voci della sua famiglia, e da altre voci che incontra piano piano, e che diventano parte della sua riscoperta graduale della quotidianità. La rinascita di Elena inizia dai luoghi, da un importante trasferimento da una parte all’altra dell’oceano Atlantico, da una metropoli ad un paesino delle montagne francesi che affaccia su un vulcano. E prosegue nella ricostruzione di rapporti personali, familiari, nel riappropriarsi di semplici gesti e di capacità basilari che all’improvviso le sono state precluse. Dietro a questo libro, c’è un lavoro molto serio, un grande lavoro di ricerca, non c’è solo ispirazione ma… una coerenza di vita costruita anche attraverso la scrittura”.
Perché la scelta di immedesimarsi nei panni di una donna in convalescenza? Fisica ed emotiva?
“Sono uno di quegli scrittori che vive col filtro della scrittura davanti. Vivo in maniera intensa le emozioni, in modo onesto e sincero, ma penso anche ‘questo potrei usarlo per una storia’ nel senso migliore del termine: usarlo nel senso di trascriverlo, riportarlo, perché quella dopotutto è la mia voce e ho bisogno della penna per esprimerla pienamente. Cerco di raccontare I personaggi per quello che mi trasmettono.Voglio trasmettere agli altri ciò che mi ha colpito. In questo caso, l’aneurisma, che va raccontato seguendo certe regole. E su questo mi sono documentata molto.
Cos’è per te la scrittura?”
“Scrivo da tanto tempo, il primo romanzo che ho spedito a un editore l’ho finito a diciassette anni e quest’anno ne compio quarantasette. Sono tanti anni che scrivo e che provo a essere pubblicata. Scrivevo e mandavo, poi ho pubblicato il primo a trent’anni, ne ho scritti altri due ma ho avuto un vuoto di sette anni, così che molti sono convinti che Le notti blu sia il mio primo libro. In quei sette anni ho avuto molti rifiuti, per cui ho acquisito un vivissimo senso del concreto, anche se ovviamente sarei disonesta se dicessi che non m’interessa che il libro vada bene , scrivo da sempre, è il mio modo di processare gli eventi e di distillare quello che mi arriva dall’esterno, è la mia voce, il mio ponte verso gli altri. Tra chi scrive c’è chi distingue chi fa lo scrittore e chi è uno scrittore, io credo di appartenere alla seconda categoria. Non credo che potrei essere senza scrivere”.
Che legame c’è tra la forza della natura e la forza di reagire ad un trauma fisico?
“È un parallelo fra interno ed esterno. Io vivo molto in armonia con la natura, mi interessava accostare le due dimensioni: quella personale interiore della protagonista e quella esterna naturale, laddove la natura è così importante e preponderante, tanto che agisce direttamente sui destini di queste persone. All’inizio non è stato intenzionale. Ho pensato all’aneurisma perché mi interessava quella rottura per, partire da una ricostruzione, da una sopravvivenza. Da lì ho immaginato in luogo con un vulcano. Si è creata una armonia tra un ritorno alla vita e il ritorno alla quiete del vulcano”.
La descrizione delle sensazioni legate alla malattia della protagonista, un parallelismo interessante tra aneurisma e vulcano.
“Per l’aneurisma ho fatto moltissima ricerca. M’interessava una malattia che colpisse il cervello e la mente, fondamentale per la protagonista che da lì genera il proprio mestiere. Parto da Internet e vado a leggere articoli in modo sempre più specifico, fino a trovare qualche specialista (in questo caso la neurologa che ringrazio alla fine del libro) che poi bombardo di domande. Immagino poi il resto, come fa qualsiasi scrittore che parli di qualcosa che non lo riguarda direttamente. Penso che sia compito dello scrittore non parlare solo di se stesso, ma entrare in uno stato di ascolto/osservazione/empatia dell’altro fino a diventare un po’ l’altro. Si rischia di diventare camaleontici facendo questo mestiere, ma penso che sia fondamentale riuscire a porsi dentro la vita di un altro.
questo collegamento che lei ha notato ma che è venuto dopo. M’interessava l’idea del magma, tanto che per me in partenza Magma era il titolo. Avevo più o meno idea di dove sarebbe finita la storia, ma certe cose e certi rapporti si delineano solo mentre scrivi. Le due esplosioni hanno iniziato ad assomigliarsi sempre più da un certo punto in avanti, perché all’inizio non avevo pensato a questo rapporto diretto tra le due cose. Mi piace pensare di scrivere in un modo organico, per cui mettere un vulcano a qualcosa deve servire: qui serve a riunire queste persone in una casa e farle parlare, discutere e lottare, ma anche a creare un parallelo tra la natura e noi”.
Anche a te è capitato di ritrovare te stessa, viaggiando?
“Per quanto mi riguarda, da un certo momento della mia vita, ho cercato i luoghi o il luogo che potesse riaccogliermi, darmi radici, identità, un senso di casa e l’ho cercato in vari posti, partendo appena possibile, studiando in altre città, spostandomi anche un po’ in Italia e poi all’estero. Ma nel frattempo si andava costruendo la mia personalità come donna e come scrittrice e credo di avere costruito una coerenza proprio nella scrittura. Ho cominciato molto presto a scrivere, ho sempre saputo di volerlo fare, anche se non come, perché il come viene facendo, però forse è l’unica parte di me che non è mai stata messa in discussione”.