
Sarà che mia nonna Anna era nata a Trastevere e mi raccontava sempre di quando da ragazzina giocava per strada con le sue amichette a vicolo del Cinque, che ho iniziato ad interessarmi a quel libro. Perché proprio da lì inizia la storia, da vicolo del Cinque. E’ la via in cui all’inizio degli anni trenta viene ad abitare Cesira, la protagonista, che si trasferisce a Roma dal suo paese della Ciociaria, dopo aver sposato il sor Vincenzo, proprietario di un negozio di alimentari del popolare quartiere romano.
“Quando la ciociara si marita, a chi tocca lo spago e a chi la ciocia”, canta Cesira, tutta felice di trasferirsi a vivere nella grande città. Ma la sua felicità dura poco. Dopo la nascita della figlia Rosetta, infatti, il marito prima inizia a tradirla con molte altre donne, poi si ammala e muore. Cesira non si abbatte più di tanto, si rimbocca le maniche e prende ad occuparsi al meglio del negozio e a crescere bene la figlia. Passano gli anni, prima arriva il fascismo di Mussolini, poi scoppia anche la guerra. Sono anni duri, difficili, la gente non ha soldi per comprare da mangiare, mentre in città iniziano anche le deportazioni degli ebrei nel ghetto. Dopo l’armistizio del ‘43 i tedeschi si preparano ad entrare a Roma, così Cesira decide di affidare momentaneamente il negozio al suo vecchio amico Giovanni e di partire con la figlia per tornare per un po’ al suo paese. Ma anche qui le cose non vanno bene. La famiglia che all’inizio le ospita, cambia all’improvviso atteggiamento, diventa ostile. Le due donne allora devono di nuovo andarsene e trovano rifugio in un’altra casa, dove Cesira si innamora di un giovane intellettuale comunista, Michele il quale, però, qualche tempo dopo viene arrestato e ucciso dai nazisti. Quando finalmente gli americani, dopo lo sbarco ad Anzio, prendono la via della capitale per andare a liberarla, Cesira decide anche lei di far ritorno a Roma per riprendere possesso della sua attività. Ma sulla strada si imbattono in un gruppo di soldati marocchini, alleati degli americani, che recano ad entrambe violenza all’interno di una chiesetta abbandonata. E’ questa una scena davvero terribile che mette i brividi a leggerla. Ricordo che facevo fatica ad andare avanti perché gli occhi mi si erano riempiti di lacrime, pensando a quella brava madre che vedeva violentare la propria figlia davanti a lei. Chi vorrebbe mai viverla una scena così?
Qualche anno dopo uscì il film tratto dal libro di Alberto Moravia, su regia di Vittorio De Sica e interpretato da una meravigliosa Sophia Loren che, sebbene avesse all’epoca soltanto venticinque anni, era stata invecchiata e imbruttita al punto da sembrare una donna molto più anziana, com’era in effetti la Cesira descritta da Moravia.
Credo che quello sia stato forse il più bel film interpretato dall’attrice napoletana, insieme a “Una giornata particolare” di Ettore Scola. E’ stata anche, a mio avviso, una delle rare volte in cui il prodotto cinematografico non ha tolto nulla al romanzo, anzi ne ha accentuato e delineato al meglio i lati più profondi e proprio con questo film De Sica ha vinto meritatamente il suo primo Oscar.
Moravia, originario lui stesso della Ciociaria e sfollato anche lui da quelle parti durante la guerra insieme alla moglie Elsa Morante, dipinge la storia con tono assai tragico. I personaggi, molti dei quali realmente esistiti e incontrati lungo la strada dallo scrittore stesso, sono quasi sempre sconvolti dagli eventi e non trovano mai la luce di un po’ di serenità. Nessuno riesce a salvarsi e tutti sono accomunati da destini allo stesso modo tristi e infelici. Nonostante tutto questo la protagonista Cesira rappresenta l’immagine forte di una donna che combatte sempre e cerca di non arrendersi mai. E’ un personaggio davvero all’avanguardia per i tempi in cui è stato scritto il romanzo stesso, antesignano delle lotte femministe compiute dalle donne negli anni più recenti. Si rimbocca di continuo le maniche, lavora da sola, cresce la figlia, resiste alle insidie dei tanti uomini che le si avvicinano. Cade, si rialza, riprende di nuovo a combattere, come un eroico e mai domo soldato che, nonostante le ferite, continua a difendersi, ad affrontare la vita, nonostante il dolore provato.
“Grazie al dolore eravamo alla fine uscite dalla guerra che ci chiudeva nella sua tomba di indifferenza e di malvagità ed avevamo ripreso a camminare nella nostra vita, la quale era forse una povera cosa piena di oscurità e di errore, ma pur tuttavia la sola che dovessimo vivere”, racconta la stessa Cesira nelle ultime righe.
Ho letto il libro molti anni fa, quando ero ancora un ragazzo. Non so se è stato per questo motivo ma da allora e per tutta la mia vita, ho considerato le donne come se fossero sempre un passetto avanti. Magari mi sbagliavo. Perché i passetti avanti erano forse molti più di uno.