Il Presidente Trump taglia corto: “I’ll just end up with another bad book. What can I tell you? [..] Let me tell you what matters: the economy is the best it’s been in many, many decades.” Peccato che, dall’altra parte della cornetta, in questa conversazione, ci sia Bob Woodward, firma di punta del Washington Post e già vincitore di due Premi Pulitzer, premiato la prima volta per l’inchiesta sullo scandalo Watergate scritta insieme a Carl Bernstein. Il suo non è soltanto un “another bad book”: Fear: Trump in the White House, in uscita il prossimo 11 Settembre, si prefigura come una lente di ingrandimento sullo staff del Presidente Trump e la sua West Wing nella Casa Bianca con centinaia di ore di interviste raccolte, annotazioni da documenti ufficiali e diari personali.
Da qualche giorno il lavoro di Woodward è sulla bocca di tutti per le scottanti rivelazioni pubblicate in esclusiva sul Washington Post. Il giornalista, che ha lavorato con lo staff di tutti i Presidenti da Nixon ad oggi, scrivendo libri sul loro operato, ha trovato le porte chiuse nella Casa Bianca dell’era Trump ed è stato costretto ad intervistare i collaboratori del Presidente in separate sedi. Ciò che viene fuori da Fear: Trump in the White House edito da Simon&Shuster è l’immagine della West Wing trumpiana già descritta da Omarosa Manigault Newman come un posto in cui “tutti mentono”. Per Woodward mentono tutti i collaboratori del Presidente alle prese con un “crollo di nervi” dell’esecutivo e costretti a lavorare nell’ombra per stemperare il carattere lunatico di Trump come in un “colpo di stato amministrativo”. A prova di questo, l’ex consigliere economico Gary Cohn sarebbe stato costretto a rubare delle lettere dalla scrivania del Presidente per prevenire che questo prendesse decisioni avventate in materia di commercio con la Corea del Sud e Nafta, in modo da salvaguardare l’interesse nazionale. Ma il caso più grave si sarebbe registrato dopo l’attacco chimico lanciato da Assad su alcuni civili nell’Aprile 2017. In quella occasione, Trump avrebbe detto a James Mattis, segretario alla Difesa, di assassinare il Presidente Siriano: “Let’s fucking kill him!”. A quel punto Mattis, dopo aver chiuso la chiamata, avrebbe deciso per un più moderato strike aereo.
Alcuni funzionari intervistati avrebbero riportato una conversazione avuta fra il Trump e Mattis sulla crisi Coreana in cui quest’ultimo, esasperato dal comportamento del Presidente, avrebbe commentato con un suo collaboratore il comportamento del tycoon definendolo come “un bambino delle elementari”. Ed ancora, secondo le fonti di Woodward, John Kelly in un incontro ristretto avrebbe chiamato Trump “un idiota” ammettendo amareggiato come la Casa Bianca fosse ormai una “Crazytown”. Ma il clima di tensione che, secondo Woodward, si respira negli uffici della West Wing sarebbe dovuta ai continui insulti che Trump rivolge ai suoi collaboratori. Secondo alcuni intervistati, il Presidente si sarebbe preso gioco di H.R. McMaster, allora il suo consigliere per la sicurezza nazionale, imitandolo e chiamandolo “venditore di birra” mentre Jeff Sessions, l’attuale Attorney General (ministro della giustizia), sarebbe stato descritto come un “traditore” e “ritardato, stupido uomo del Sud”.
Gli estratti dal libro non si fermano qui. Il Washington Post riporta di alcune discussioni fra i membri dello staff presidenziale ed Ivanka Trump sul suo coinvolgimento nelle faccende della Casa Bianca. Più importante, però, è ciò che traspare della figura del Presidente: un uomo ansioso, megalomane e costantemente impaurito e sospettoso. “Fear”, il titolo del libro, non è un caso. E’ la paura di Donald Trump di non essere all’altezza, di non riuscire a scrivere la storia e di essere costantemente pugnalato alle spalle, soprattutto sul Russiagate.
Donald Trump è uno dei pochi non intervistati da Woodward. Il Presidente se ne rammarica nella conversazione telefonica fra i due, dando la colpa a problemi di comunicazione con lo staff e sfoderando scuse poco credibili quando il giornalista rivela di averne parlato anche con Kellyanne Conway, Raj Shah e alcuni dei senatori repubblicani più vicini al tycoon.
Puntuale come un orologio svizzero, Donald Trump da ieri ha iniziato la sua personale crociata contro il libro di Woodward, prima riportando una dichiarazione di Sarah Sanders in cui le rivelazioni del giornalista vengono tacciate come menzogne costruite ad arte per diffamare una altrimenti-imbattibile presidenza, poi con le dichiarazioni di Mattis e Kelly che negano le parole attribuitegli dal due-volte premio Pulitzer. Il Presidente, sempre su twitter, ha continuato insinuando che Woodward sia al soldo dei Democratici e che abbia scelto una data vicina alle midterm per screditarlo ed ha successivamente invitato i membri del Congresso a cambiare la legge sulla diffamazione.
Sembra chiara la strategia dell’inquilino della Casa Bianca. Come in altri scandali scoppiati durante il suo mandato, Trump sta cercando di schivare anche questo proiettile spacciandolo per una fake news commissionata dai democratici così da avere anche solo una chance di battere un Presidente che – secondo lui – ha fatto solo del bene alla propria nazione. Ma Fear: Trump in the White House non è l’ennesimo libro scandalistico sulla vita delirante nella Casa Bianca trumpiana, è il lavoro meticoloso di una delle firme di punta del giornalismo statunitense che, nel suo curriculum, può vantare l’inchiesta sul Watergate ed almeno un libro su tutti i Presidenti da Nixon ad oggi. E’ chiaro che, se queste sono le premesse, almeno fino a martedì prossimo Trump non dormirà sonni tranquilli.