Ma come farà?, si pensa di Glenn Cooper. Nato e cresciuto a New York, archeologo e medico con un passato nelle case farmaceutiche statunitensi, ha trovato il tempo di diventare un magnifico romanziere. L’Italia lo ama e Glenn lo sa. Infatti ogni anno promuove i suoi libri da nord a sud. Il ventidue giugno ha presentato a Este I figli di Dio, l’ultima fatica, circondato dai suoi lettori più fedeli. Tre giovani vergini, lontanissime tra loro eppure accomunate dal nome Maria, scoprono di essere incinte e il papa Celestino VI convoca l’esperto Cal Donovan per indagare; un romanzo imperdibile per gli amanti del genere. Ecco le sue parole.
Caro Glenn, i tuoi romanzi vanno per la maggiore in Italia. Sei archeologo e dottore, ma con una certa passione per la scrittura. Scrittori si nasce o si diventa?
“Una buona tecnica si può insegnare, ma solo fino a un certo punto. Con bravi maestri una persona può imparare a strutturare storie, romanzi e sceneggiature, ma ciò che non può essere trasmesso sono le idee. Sono convinto che ci sia qualcosa di innato nell’abilità di alcuni in determinati generi. A questo punto della carriera credo di essere discretamente bravo nel mistery e nel thriller, ma non saprei fare comedy se anche la mia vita dipendesse da questo”.
Hai proposto il manoscritto del tuo primo romanzo – La biblioteca dei morti – a sessantasei editori, sessantacinque lo hanno rifiutato prima che Steve Kasdin della Sandra Dijkstra Literary Agency decidesse di pubblicarlo. Cosa suggeriresti a un giovane aspirante scrittore che non riesce a trovare una casa editrice?
“La mia esperienza mi insegna che se credi davvero in ciò che scrivi, devi essere tenace. Se i rifiuti iniziali mi avessero scoraggiato o, peggio, mi avessero spinto a gettare la spugna, non sarei diventato quel che sono. E il tuo primo romanzo non ha troppe possibilità di essere pubblicato. A un certo punto, se il riscontro è negativo, metti il libro da parte e incominciane uno di nuovo. So bene che il self-publishing può essere un’opzione, ma è molto difficile farsi notare tra centinaia di migliaia di libri. Gli editori migliorano i romanzi e ti trovano un pubblico. Suggerisco dunque agli aspiranti scrittori di lavorare duramente per cercare una casa editrice”.
Ora la tua relazione con l’Italia. Cosa ami del Belpaese?
“L’Italia è diventata casa lontana da casa per me. Da storico e archeologo provo grande ammirazione per la storia ricchissima del paese e il ruolo determinante della Chiesa Cattolica nel plasmare l’Europa mi affascina. Fortunatamente l’Italia è diventata la mia piazza più importante, così le scuse per tornarci spesso certo non mancano”.
In un’intervista a Panorama hai detto di ammirare molto Umberto Eco e Andrea Camilleri, ma quali altri autori italiani apprezzi?
“Alla lista aggiungerei Antonio Baricco, Italo Calvino ed Elena Ferrante. E poi mi è stata data di recente una copia tradotta di un giovane autore che come me scrive di storia, Marcello Simoni. Mi pare bravissimo”.
A quale dei tuoi romanzi sei più affezionato?
“Per quanto il primo rimanga sempre il migliore per noi, nel mio caso dovrei scegliere La biblioteca dei morti, eppure La mappa del destino è il mio preferito. Tratta un argomento che ho studiato con impegno da archeologo, i graffiti delle caverne preistoriche in Francia”.
Philip Roth è scomparso di recente, lasciando un vuoto incolmabile. Credi che meritasse il Nobel?
“Il Premio Nobel per la letteratura è così bizzarro… non saprei cosa dire. Pare quasi che la commissione cerchi appositamente autori che nessuno legge e che nessuno conosce. La lista di celebri, grandissimi scrittori come Roth che non l’hanno mai vinto è piuttosto lunga”.
Un’ultima domanda, questa volta riguardo gli Stati Uniti. Dal suo punto di vista com’è stata la presidenza Trump finora?
“A f***ing disaster!”.
Non sembra necessaria una traduzione.