Questa volta parliamo di letteratura non attraverso una recensione ma per commentare la traccia di italiano, anzi di “analisi del testo” per l’esame di maturità degli studenti italiani del quinto anno di secondaria superiore (licei). La traccia era una poesia di Giorgio Caproni, a tema ecologico. “Non uccidete il mare, la libellula, il vento…” ammonisce il poeta di Livorno. Che conclude, amaramente: “Come potrebbe tornare ad essere bella, scomparso l’uomo, la terra”.
La traccia è stata un po’ contestata. Tutte le tracce all’esame di maturità lo sono, anno dopo anno, insegnanti, opinionisti e scrittori fanno sempre a gara a dichiarare che loro la traccia l’avrebbero pensata o fatta meglio. La critica più “basic” riguardava il fatto che, come noto, gli studenti italiani di solito non arrivano più in là di Montale e Ungaretti, è raro che si spingano fino al Secondo dopoguerra. Insomma, Caproni al di fuori della Toscana probabilmente lo conoscevano in pochi. Tuttavia c’è anche chi ha osservato che questo non è un problema insormontabile: allo studente che affronta l’esame di maturità non si chiede un saggio critico su Caproni e neanche una vera e propria analisi del testo, per la quale un seppur minimo patrimonio di conoscenze di background sarebbe pur sempre necessario. Si chiede di esporre una serie di impressioni, di riflessioni ”ispirate a…”, seguendo un filo logico decente e in maniera grammaticalmente corretta.
E qui siamo alla seconda critica, un po’ più sofisticata: la poesia di Caproni (una poesia pubblicata postuma, dopo la morte dell’autore) sarebbe stata scelta non per il suo intrinseco valore letterario ma perché consentiva di parlare di un argomento facile, di stretta attualità, specie ora che l’America di Trump ha disconosciuto gli accordi di Parigi sulla lotta al riscaldamento globale.
Riguardo alla prima critica, se lo studente non va troppo fuori tema, ha buone probabilità di riuscire ad aggirare l’ostacolo di non sapere nulla o quasi sull’autore. Per quanto, se un domani, dovesse ritrovarsi di nuovo in una situazione del genere, farebbe diversamente (nella vita reale, che non è un’aula d’esame, se devi scrivere di qualcosa che non conosci cominci come minimo con l’andare su Wikipedia, o nella più vicina biblioteca). L’importante direi è avere almeno un minimo di basi letterarie su cui poggiare le proprie argomentazioni. Al mio esame di maturità, sostenuto nel lontano 1984, partendo da una traccia molto generica sulla letteratura che raccontava “l’orrore della guerra”, dopo avere pagato il pegno d’obbligo a Ungaretti e ad altri autori della Grande Guerra (purtroppo all’epoca non avevo ancora letto Lussu), mi concessi un lungo e apprezzato excursus su autori non-italiani che avevo letto per conto mio, da Albert Camus a Norman Mailer. Maturità significa anche questo: saper uscire, con giudizio, dal seminato, saper proporre confronti appropriati. Il primo che mi è venuto in mente in questo caso è quello fra la poesia di Caproni e la poetica di Leopardi e Pascoli (autori che alle superiori si studiano). Ma uno studente che avesse masticato un po’ di letteratura americana avrebbe potuto tentare ad esempio un confronto fra lo slancio panico di un Withmann e il mesto approdo caproniano, passando magari per il pineto di D’Annunzio: tre modi diversi di confrontarsi con la natura, tre diversi approcci poetici ad uno dei temi più universali e più universalmente studiati.

Riguardo al problema della fragilità del testo, invece, penso ci sia del vero. La poesia era in effetti un po’ “facile”. Ovviamente questa è una opinione personale, e non sono un insegnante. Però: sarebbe stato diverso se invece di Caproni fosse stato scelto Luzi, che fu a lungo in odore di Nobel (fin quando non venne assegnato a Fo)? O magari Quasimodo? Io non credo. Il punto è che forse – sottolineo il forse – la poesia italiana della seconda metà del 900 non vale tanto quanto quella prodotta nella prima parte del 900, per non dire di quella ottocentesca. I due poeti italiani post-Seconda guerra mondiale più famosi e probabilmente ancora oggi più letti da quella ridottissima minoranza di lettori che ancora leggono la poesia sono in primis due narratori, Pasolini e Pavese, a cui potremmo aggiungere forse Alda Merini, che infatti era fra i nomi gettonati dal toto-test (nella prospettiva di un autore – finalmente – femminile). Per le generazioni del passato, come la mia, hanno contato anche poeti come Sanguineti, ad esempio, o Roversi, ma nessuno di loro, diciamolo, reggeva il confronto con gli americani, con Allen Ginsberg, o con Bob Dylan, che da Ginsberg (come pure da altri giganti della poesia anglosassone, come Dylan Thomas) è stato influenzato. Per non dire di Sylvia Plath. Caproni forse è passato nelle nostre vite per altro: in particolare per le sue traduzioni de I Fiori del Male di Baudelaire o de Il tempo ritrovato di Proust. Il che, anche questo va detto, non è poco.
Fosse per me, farei leggere di più gli stranieri. Mi rendo conto che l’esame di italiano ha a che fare appunto con la lingua e la letteratura italiana, ma da un lato ritengo che la padronanza della propria lingua madre possa passare benissimo anche attraverso la lettura di autori stranieri in traduzione, dall’altro sono sempre stato convinto che, specie se parliamo di contemporanei, ci siano innumerevoli autori stranieri che riescono a parlare al cuore, al cervello o al basso ventre dei lettori assai meglio dei nostri connazionali. Specie se ci rivolgiamo a lettori giovani, ai quali bisognerebbe insegnare innanzitutto ad amare la lettura per come potrà accompagnarti nel corso della vita piuttosto che ad approcciare i libri in maniera “filologicamente corretta”. Qualcosa si perderà se faremo leggere un po’ di più T.S. Eliot o Pound o Pessoa, in termini di programma di letteratura italiana? Forse sì, ma è anche possibile che quello che esce dalla porta rientra dalla finestra. Attraverso Eliot puoi arrivare a Dante, attraverso Pound a Catullo e così via. Dopotutto, c’è stato un tempo in cui si arrivava all’ermetismo attraverso le canzoni di De Gregori, e per fortuna.
Tutto ciò, senza nulla togliere a nessuno: ovviamente mi piacerebbe anche il contrario, che tanti giovani americani leggessero Caproni, anche in inglese. Perché l’amore per la lettura – e la letteratura – segue strade non sempre prevedibili, e facilmente tracciabili.