Hanno radici culturali diverse e parlano inglese con accenti diversi, ma nel discutere di “parole migranti” trovano una lingua comune. Amara Lakhous, scrittore pluripremiato e autore di cinque romanzi, Michael Reynolds, redattore capo di Europa Editions, e Ann Goldstein, redattrice al The New Yorker e traduttrice di letteratura italiana, hanno parlato a un pubblico di oltre 150 persone, fra studenti, professori e membri della comunità locale, alla Montclair State University (NJ) lo scorso 13 aprile. Presentata dall’Inserra Chair in Italian and Italian American Studies (Dipartimento di Spagnolo e Italiano) in collaborazione con i programmi di Arabo e Francese (Lingue e Letterature Moderne) e moderata dalla professoressa Teresa Fiore, la conversazione ha esplorato argomenti come competenze linguistiche multiple e traduzione letteraria e culturale, a partire dal tema della serata, “parole migranti”, appunto.
Amara Lakhous, che scrive in italiano e in arabo ed è lui stesso traduttore, è un caso unico nel panorama letterario contemporaneo. Nato e cresciuto in una famiglia di lingua berbera di Algeri, ha imparato sin da piccolo anche l'arabo e il francese. All’età di 25 anni si è trasferito in Italia come rifugiato politico. E in italiano ha raggiunto la maturità letteraria vivendo in Italia fino al trasferimento a New York, sei mesi fa. Ha pubblicato il suo primo romanzo, Un pirata piccolo piccolo (Bedbugs and the Pirate) nel 1999, seguito dal best-seller Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio (Clash of Civilizations Over an Elevator in Piazza Vittorio) nel 2006, un libro che ha vinto prestigiosi premi letterari quali il Flaiano e il Racalmare – Leonardo Sciascia. Tra gli altri romanzi ricordiamo Divorzio all'islamica a Viale Marconi (Divorce Islamic Style), del 2010, e Contesa per un maialino italianissimo a San Salvario (Dispute Over a Very Italian Piglet, 2013).
Grazie a queste esperienze, Lakhous ha acquisito non solo degli strumenti per trascendere le barriere linguistiche, ma anche una prospettiva unica sull’identità multiculturale che esplora attraverso le forme di discriminazione e i pregiudizi subiti e creati dai personaggi dei suoi libri. In effetti, la creatività di Lakhous, che si esprime in lingue diverse, si può definire “un gesto di ribellione”, e cioè un modo per sfuggire ai limiti imposti da barriere linguistiche e geografiche. Per Lakhous, una storia rimane la stessa in tutte le lingue, ma alcuni elementi si possono perdere nella traduzione; così Lakhous piuttosto riscrive le sue storie nelle lingue che conosce. “Il modo migliore per essere originale è mescolare molte lingue”, afferma. Questo approccio così originale alla composizione dei suoi romanzi – scrivere per creare quelle che lui chiama “storie gemelle ma non identiche” – gli permette di comunicare l'idea base dei romanzi adattandoli nel contempo ad un pubblico specifico. Gli studenti hanno sperimentato questo approccio in maniera diretta, quando due brani di uno dei romanzi di Lakhous sono stati letti ad alta voce sia in italiano che in arabo, un approccio bilingue che Lakhous ha fornito anche durante il suo seminario a Montclair State il 6 aprile, moderato dalla professoressa Gina Miele. La versione italiana del brano include riferimenti alla politica e alla cultura popolare italiane che si perdono nella versione araba e viceversa. In modo significativo però, Lakhous è stato in grado di italianizzare l'arabo e arabizzare l'italiano, il che gli ha permesso di incorporare entrambi i mondi in ciascuna versione dei suoi romanzi.
Il mondo italiano che Lakhous ha imparato a conoscere a Roma sin dal 1995 è stato quello della “carne”, il linguaggio della gente, in altre parole. Imparare l'italiano d'uso corrente ha permesso a Lakhous di ottenere una prospettiva diversa della cultura di cui voleva far parte. “La lingua è molto importante per definire un'identità – ha detto Lakhous – e per questa ragione posso dire di essere italiano”. Il punto di vista è perciò di eccezionale importanza nelle opere di Lakhous, che affrontano direttamente i conflitti e le differenze insiti in prospettive culturali diverse.
Come traduttrice dei libri di Lakhous dall'italiano, Ann Goldstein ha condiviso un’altra idea sullo studio delle lingue. L'interesse della Goldstein per l'italiano si è formato sulla “carta”, attraverso la parola scritta: “A differenza di Amara, io non ho la lingua di carne, perché ho cominciato con Dante”. È stato il suo interesse per la letteratura, come per Lakhous è stato l'amore per il cinema quando era giovane, che l'ha spinta a studiare e imparare l'italiano. Le opere di Dante, insieme ad altri testi essenziali della letteratura classica italiana, hanno dato forma al suo approccio. Goldstein e Lakhous conoscono lo stesso italiano, tuttavia c'è una differenza nel modo in cui ognuno di loro si sintonizza con la lingua. Per Goldstein c'è una gran considerazione della lingua formale (che lei adatta agilmente ad autori quali Primo Levi ed Elena Ferrante). Lakhous, per contrasto, ha adottato la lingua delle persone comuni, che è in continua mutazione. Eppure, è nell'equilibrio fra questi due approcci che le traduzioni di Lakhous arrivano al lettore di lingua inglese. Col migrare delle parole, le traduzioni diventano ponti.
Michael Reynolds è un traduttore anche lui, ma il suo ruolo di Caronte delle parole da una sponda ad un’altra si concretizza soprattutto nel suo ruolo di editore che promuove la pubblicazione di letteratura straniera in traduzione, una fetta molto ridotta del mercato del libro negli USA, malgrado la ricchezza linguistica e culturale del paese. Mentre Lakhous e Goldstein si sono entrambi avvicinati alla lingua italiana per desiderio, Reynolds lo ha fatto per necessità, avendolo dovuto imparare una volta trasferitosi dalle parti di Roma. Per certi versi l’esperienza di Reynolds con l’italiano è un misto tra quella di Lakhous e Goldstein. Ha imparato la pronuncia della lingua attraverso la musica, in particolare, ha raccontato, “i cantautori italiani che scandiscono bene le parole”, e ha appreso a leggere con i giornali gratuiti distribuiti in metropolitana. Non è stata un’esperienza facile: Reynolds ha spiegato di sentirne l’eco ancora oggi, quando a volte non trova il registro appropriato. Ma ha aggiunto che imparare la lingua è stato un processo più semplice della traduzione che invece, sorridendo, ha definito una “tortura”, in quanto implica un sapere multiplo e un lavoro veramente intenso. Al lavoro di traduzione Reynolds ha detto di preferire il ruolo di curatore delle traduzioni in inglese. In effetti, la stessa Goldstein ha riconosciuto che tradurre spaventa, mentre per Lakhous si tratta di un lavoro affascinante e spesso divertente.
Il processo di traduzione che Lakhous, Goldstein e Reynolds hanno esplorato durante la conversazione non era solo incentrato sulla lingua: la traduzione abbraccia la cultura a tutti i livelli, inclusi aspetti apparentemente insignificanti. Con il suo inconfondibile caloroso umorismo, in chiusura Lakhous ha raccontato come ora stia imparando a conoscere la cultura americana andando a Central Park, un luogo dove, ha spiegato, si imbatte in situazioni piuttosto insolite, viste dalla prospettiva di un italiano di origini algerine. Un esempio per tutti: i cani con le scarpe. Al di là della sorpresa alla vista di canidi muniti di calzature, è nella scoperta dei meccanismi concreti di una cultura che Lakhous riesce a raggiungere un livello di coscienza diverso e a identificarsi come portatore di diversi punti di vista che esprime attraverso lingue diverse. Come Goldstein e Reynolds, Lakhous migra da una lingua all'altra lungo sentieri ambigui, mettendo in evidenza non la diversità ma i legami tra lingue, identità nazionali, e prospettive culturali che rendono possibile la comunicazione.
Girato e montato da Matteo Minasi, Cinemattic Underground.