Dopo la calata dei tifosi olandesi del Feyenoord – novelli Vandali – a Roma, dove hanno anche danneggiato la fontana del Bernini in piazza di Spagna, il pensiero corre a quando l'Italia era meta di ben altri tour, ed in particolare del Grand Tour, il viaggio che i giovani dell'aristocrazia europea e gli intellettuali compivano nel 7-800 per completare la loro formazione, e che aveva quasi sempre per meta il Belpaese.
Protagonisti erano soprattutto inglesi e tedeschi: il percorso in genere prevedeva l'attraversamento delle Alpi, la visita ad alcune mete d'obbligo dell'Italia del Nord, come Venezia (resa popolarissima da lord Byron, che ci visse a lungo prima di imbarcarsi nel suo fatale viaggio in Grecia), ma anche il resto del Veneto con le ville del Palladio e il Lago di Garda, dove i nordici avevano spesso il primo impatto con il clima e la vegetazione mediterranea (ulivi, limoni). Quindi si procedeva verso Roma, passando per Firenze, e poi, naturalmente, il golfo di Napoli. Il tour di solito si concludeva in Sicilia, con il suo barocco, i meravigliosi resti della civiltà greca, l'Etna. Rari coloro che si spingevano in Puglia o addirittura in Sardegna (tra quelli che ci hanno lasciato testimonianze del loro passaggio sull'isola dei Nuraghi, in epoca recente D.H. Lawrence, uno degli ultimi veri grandi viaggiatori-letterati inglesi prima dell'autostop, dell'apertura delle rotte per l'Oriente e dell'avvento del turismo di massa).

Goethe nella campagna romana (Goethe in der Campagna) di Johann Heinrich Wilhelm Tischbein
Il Grand Tour ci ha lasciato splendidi diari di viaggio – pensiamo all'Italienische Reise di Goethe, o al Reisebilder di Heine – e ha aperto la strada ad un nuovo fenomeno editoriale, quello delle guide, che dura ancora oggi, in particolare con le celebri Lonely Planet, pensate appunto per viaggiatori "fai da te" e ricche di riferimenti culturali oltre che di consigli su come muoversi, dove mangiare, dove dormire. La nostalgia per quel modo aristocratico ma anche in un certo senso avventuroso di viaggiare non è mai morta: film come Camera con vista di James Ivory, ispirato al romanzo di Forster del 1908 (pubblicato in Italia per la prima volta nel 1954), ne hanno rinverdito la fama. E del resto, anche ai giorni nostri è molto comune per i giovani di alcuni paesi (USA, Australia, Israele, ma la moda si è diffusa anche in Europa) che hanno completato un ciclo di studi superiore o universitario, prendersi un anno sabbatico o gap year per girare il mondo, o perlomeno per fare una lunga esperienza all'estero.
L'ultimo romanzo in ordine di tempo che rilegge, in maniera dolcemente ironica, il mito del Gran Tour è Noi, dell'inglese David Nicholls, già autore del fortunato, e un po' ruffiano, Un giorno, da cui è stato tratto anche un film.
Il romanzo di Nicholls è un perfetto esempio di bel romanzo popolare contemporaneo. Popolare perché racconta una storia facile e accattivante ad un tempo, alla portata di ogni lettore, bello perché ben scritto, scorrevole, avvincente, sulla scia dei lavori di un altro inglese, Nick Hornby, che rifugge i toni drammatici preferendo una visione agrodolce, piena di comprensione nei confronti del genere umano e delle sue debolezze.
Il romanzo di Nicholls si apre con un annuncio: Connie, una notte come tante di inizio estate, dice di punto in bianco al marito Douglas, scienziato che ha messo le sue conoscenze al servizio di una multinazionale, che lo vuole lasciare. Non c'è un motivo preciso, o meglio, non c'è una vera e propria ragione scatenante, come ad esempio un altro uomo. È che il loro unico figlio ormai è cresciuto, e sta per lasciarli, e Connie non si rassegna all'idea di invecchiare con Douglas, condividendo un'esistenza ormai piatta, logorata. Connie e Douglas forse non sono una coppia perfettamente assortita: il racconto di come si sono conosciuti, ad una cena-droga party organizzata dalla sorella di Doug, che lo ha trascinato lì contro la sua volontà, è abbastanza eloquente (oltre che spiritosa). Connie è un'"alternativa", come del resto gli altri commensali, compreso l'arrogante trapezzista che fa di tutto per sedurla. Douglas Timothy Petersen, un ricercatore impegnato a studiare le mutazioni genetiche indotte in laboratorio sul moscerino della frutta, è il classico pesce fuor d'acqua. Eppure, la scintilla scocca; e come a volte capita nella vita, due anime tanto diverse iniziano un percorso comune, che procede fra alti e bassi (quasi sempre alti per l'innamoratissimo marito) per 25 anni. Adesso, in una qualunque sera di inizio estate, questo percorso sembra arrivato al capolinea.
Ma – ed è qui che entra in scena il Grand Tour – la famiglia nel frattempo aveva anche pianificato di fare un lungo viaggio in Europa e in Italia, probabilmente l'ultimo assieme prima dell'inizio dell'università del figlio. Dunque, che fare? "Annulliamolo", propone Douglas, sconsolato. Ma Connie è più possibilista. E così il viaggio ha inizio. E non sarà un viaggio come gli altri, perché un marito si impegnerà anima e corpo a riconquistare sua moglie, di stazione in stazione, di città in città, confrontandosi anche con un figlio che non ha per lui una smisurata ammirazione. Il tutto sempre senza perdere il controllo, usando l'ironia come scudo, come si conviene ad un buon inglese. Il quale, come ogni buon inglese – eccetto le rockstar – è terrorizzato prima di ogni altra cosa dagli eccessi del sentimento.
Il libro ha ricevuto in Inghilterra nel novembre 2014 il National Book Award.
David Nicholls, Noi, Neri Pozza, 2014.
In edizione originale: David Nicholls, Us, Harper, 2014.