Tevere, il secondo romanzo di Luciana Capretti, è uscito per i tipi di Marsilio a marzo scorso e, nel frattempo, ha percorso molta strada: finalista ai prestigiosi premi Comisso e Dessì, ha sfiorato il Campiello, ma più che altro ha coinvolto i lettori con il passa-parola: il vero segnale del valore autentico di un libro. L'autrice, giornalista Rai che ha lavorato come corrispondente dagli USA, in questi giorni torna a New York: Tevere verrà presentato lunedì 24 novembre alla Casa Italiana Zerilli Marimò della New York University.

L’autrice Luciana Capretti
La protagonista di questa sofferta e autentica vicenda esistenziale, Clara Faiola, vissuta in Italia, fra Novara e Roma, dagli anni ’20 ai ’70 del secolo scorso, è entrata nel cuore e nel pensiero di chi l’ha incontrata fra le pagine di questo romanzo e non se n’è più andata. Si potrebbe dire che Capretti ha ottenuto quanto si era proposta nella nota finale a Tevere là dove afferma: “Questo romanzo è tratto da una storia vera. L’ho scritto per restituire alla protagonista qualcosa, del tanto che le è stato tolto”. E infatti l’empatia fra la scrittrice e la protagonista è davvero l’elemento che caratterizza il romanzo; Clara è al centro di tutta la storia, lei il suo abisso il suo nulla il suo perdersi e il ritrovarsi; tutti gli altri personaggi sono comprimari che la incontrano, la circondano, la abbracciano anche, lasciandola però sempre sola con la sua paura di vivere. Paura che non da subito ha caratterizzato la sua vita, ribelle anzi e spavalda negli anni giovanili, capace di decisioni ardite e senza ritorno, vita che poi va a sbattere contro il muro della ”Storia” e ne rimane schiacciata.
Quando nella mediocrità borghese dell’ambiente romano, Clara, con alle spalle la sua terra piemontese fatta di fabbriche e di campi da dissodare, si ritrova senza radici, quelle radici che lei stessa ha voluto estirpare, e vive senza passato (il passato è una zavorra… ), senza una storia da poter condividere con il marito distratto e i due figli adolescenti, allora si perde e si annulla. Quella storia di prima la conosceremo noi lettori, attraverso la trama lenta e ramificata che riporta indietro lo sguardo e lo fissa lontano sugli anni della povertà e della guerra, sulla violenza abituale di un padre manesco, sui soprusi di una società che non riconosce diritti alle donne e su tanto altro ancora.
Di Clara non conosceremo la fine, la potremo supporre, ma conosceremo il “male di vivere” che la avvolge, l’opacità del suo sguardo che si posa indifferente su ciò che la circonda, tranne che sui suoi figli, unica luce nel buio dell’esistere. Di quello sguardo si è accorto il commissario Jozzetti, quasi un alter ego della scrittrice, che indaga ostinatamente sulla scomparsa di Clara e non si rassegna all’oblio che avvolge la protagonista e impegna sé e noi lettori per primi, nella ricerca di una lontana verità.
Si potrebbe supporre che Tevere sia un romanzo triste e invece è un romanzo intenso, connotato da uno stile tagliente, immediato, che sorprende con immagini ardite e spiazzanti: quando Clara e Giuseppe, non ancora suo marito, si incontrano e si innamorano “lei lo prendeva sottobraccio e lo ascoltava. Ascoltava e la strada si allungava in vicoli infiniti, in traverse di complicità, in piazze e panchine di risate”; la mamma di Clara, Egle, ormai sfiorita stringe i capelli in una crocchia “sulla nuca arresa” (quanto dolore si concentra su quella “nuca”!); durante la guerra “la città la notte brillava, di stelle scaraventate al suolo, tutto il cosmo giù a illuminare la terra”.
Attraverso capitoli contraddistinti non da numeri, ma da colori, Bianco Giallo Nero, quasi una mappa degli stati d’animo e delle situazioni, Luciana Capretti racconta, oltre l'invenzione una realtà vera, documentata con rigore, frutto di lunghe e sofferte ricerche che ci restituiscono un mondo e un tempo che abbiamo in parte dimenticati.
Luciana Capretti Tevere ed. Marsilio 2014