A prima vista, la storia che Roberto Matatia racconta nel suo libro I vicini scomodi, edito da Giuntina, sembra simile a quelle raccontate, purtroppo, già molte volte. C'è una famiglia felice, quella di Nissim Matatia, pellicciaio ebreo arrivato dalla Grecia e che in Italia sembra aver trovato accettazione e benessere. C'è la sua villetta sul mare a Riccione, proprio vicina alla villa di Mussolini, ci sono i figli del duce, soprattutto Romano, giovane e timido, che giocano sulla spiaggia con Beniamino, Roberto e Camelia, i tre figli di Nissim. Poi, cominciano i problemi, le angherie fasciste, le umiliazioni, le fughe, i nascondigli, fino a quel tragico treno blindato che porta a Auschwitz. Ci sono anche, raccontate con pochi tratti, le reazioni che furono purtroppo comuni a tanti ebrei italiani, l'incredulità di un padre di famiglia che sostiene convinto che ''i tempi difficili passeranno'' e che ''il Duce ha varato le leggi razziali perché è alleato di Hitler, ma non è veramente antisemita'' , il suo rifiuto di seguire i fratelli Leone e Eliezer che avevano visto più lontano e avevano deciso di fuggire in America Latina.
A rendere il libro particolarmente affascinante, però, è la sua origine. Trent'anni fa Roberto Matatia è nel suo negozio di pellicceria a Faenza quando entra un anziano signore sconosciuto e gli mette in mano una cartella di cartone. ''Io sono Mario'', gli dice,''Lei non sa nulla di me. Ma io potrei raccontarle tante cose di Camelia e della sua famiglia che lei non può conoscere. Le lettere che le consegno mi furono scritte da Camelia''. ''Io sto invecchiando e voglio che le conservi un Matatia'' aggiunge poi prima di accomiatarsi,''sono una testimonianza unica di quella che è stata la terribile storia di quei tempi''. In effetti, Matatia, che è nipote di Eliezer, sa poco della storia della sua famiglia, né il padre né il nonno gli hanno mai detto molto, ma la lettura di quelle carte ingiallite lo lascia sconvolto e lo spinge a iniziare una lunga ricerca negli archivi.
''Il focolare della mia casa è ormai spento'' scrive frettolosamente la diciassettenne Camelia a Mario, il ragazzo cattolico a cui è legata da un tenero amore adolescienziale, Però non ho paura, sai? So di non avere nulla da rimproverarmi se non di essere nata con un marchio disgraziato. E di questo non ho colpa''. La lettera è solo l'ultima di molte e la sua data è l dicembre del 1943. I miliziani repubblichini hanno appena fatto irruzione nella abitazione di Savigno, un paesino a poche miglia da Marzabotto dove la moglie di Nissim, Matilda, ha trovato un nascondiglio insieme ai figli Camelia e Beniamino. Nissim e l'altro figlio, Roberto, sono già stati arrestati a Bologna. L'unico a ritornare sarà Beniamino, ma la tubercolosi contratta a Auschwitz lo ucciderà poco dopo la liberazione.
Da quel terso e consapevole messaggio gettato dal treno e fortunosamente consegnato a Mario, Matatia risale poco a poco all'intera storia, che racconta attraverso le voce contrapposte di Nissim e della giovane Camelia. Da un lato, così, c'è il ritratto del commerciante orgoglioso del suo successo e fiducioso nelle sue amicizie vicine al duce, che rifiuta con ostinazione le pressioni perché venda quella villetta di mattoni rossi troppo vicina alla villa del duce e imbarazzante per chi ha appena firmato le leggi razziali. Ci sono il dramma del carcere e dell'esilio forzato per chi è solo colpevole di essere un ebreo nato all'estero, la nostalgia per la famiglia, l'umiliante rientro da clandestino, ci sono gli aiuti inaspettati di tanta gente semplice e di un prete comprensivo, ma anche le sferzate antisemite di chi un tempo era un amico. Dall'altro, c'é invece l'immagine solare di una ragazza più matura dei suoi anni, che trova nell'amore inaspettato di un ragazzo conosciuto in autobus la forza di sostenere la mamma prostrata dalle difficoltà e i fratelli più fragili di lei. Camelia, da sola, ha già capito che ''il focolare di casa è spento'' e che al di là di ''un passato così breve'' c'è solo l'ignoto.