Un viaggio per ricordare a tutti una storia che è diventata uno dei simboli dell’Olocausto, ma anche e soprattutto una ricca e moderna rilettura per far riflettere i più giovani che quella tragedia la conoscono poco o nulla. Questa la ”Anne Frank Exhibition”, la mostra che sarà aperta al pubblico a partire da lunedì al Center for Jewish History di New York e che riproporrà al pubblico, con una ricostruzione accurata e coinvolgente, l’intera storia di Anna Frank.
Organizzata in soli dieci mesi dalla Anne Frank House di Amsterdam in collaborazione con il museo newyorkese, la mostra offre ai visitatori una riproduzione di quello che era stato l’angusto rifugio per otto ebrei olandesi da luglio del 1942 fino all’arrivo dei soldati nazisti ad agosto del 1944. A differenza del rifugio originale di Amsterdam, aperto al pubblico già dal 1964 e visitato ogni anno da oltre un milione di persone, ma lasciato volutamente spoglio per decisione di Otto Frank, l’esposizione newyorkese offre ai visitatori un percorso arricchito di oggetti originali finora mai visti e ampliato nel tempo.

I 700 metri quadrati della mostra partono dagli anni ’30, quando la famiglia Frank poteva vivere, serena e benestante, in una bella casa a Marbachweg, vicino a Francoforte. Tra gli oltre cento oggetti originali esposti per la prima volta alla mostra ci sono alcuni mobili e perfino il piccolo prezioso grammofono regalato ad Anna e a sua sorella Margot nel 1929. Quando l’aggravarsi della persecuzione in Germania convince la famiglia a trasferirsi in Olanda, tutto comincia a cambiare, la solidità economica diventa una faticosa ricostruzione, la sicurezza si trasforma in paura e tensione. Per quella bambina con gli occhi attenti, però, c’è ancora la serenità della scuola Montessori insieme a tanti piccoli compagni, ebrei e non, e la compagnia, andando a scuola, del vicino di casa e amico Levy Spanjer, che sarà poi vittima anche lui della furia nazista.

Durante la sua presentazione alla cerimonia di apertura della mostra, Ronald Leopold, direttore della Casa di Anna Frank ad Amsterdam, ha mostrato le due foto di Anna e Levy significativamente affiancate. E durante il percorso della mostra, la foto della classe alla scuola Montessori viene mostrata due volte, dapprima con tutti gli allievi, poi, in animazione, mentre dieci piccoli compagni, tutti ebrei, si trasformano l’uno dopo l’altro in ombre scure.
Ricostruite perfettamente nei dettagli più minuti, dalla tappezzeria alle persiane nere destinate a nasconderle, le stanze del rifugio prendono vita grazie agli oggetti della vita quotidiana, dalla piccola scrivania che Anna e il suo poco amato compagno di stanza, il dentista Fritz Pfeffer, si contendevano, dalla copia del diario originale fino alle foto attaccate alle pareti. Nella sala da pranzo e camera da letto di Hermann e Auguste van Pels ci sono i giochi di società che aiutavano a passare il tempo e il vestito da sera nero di Auguste mai mostrato prima. Nella piccola stanza di Peter van Pels, primo commovente amore di Anna, ci sono le riproduzioni della scala che portava all’attico dove i due adolescenti si erano scambiati il primo bacio e della sua bicicletta ripiegata.

Non meno interessante, poi, è la fine del percorso, che racconta attraverso molti documenti mai visti prima la lunga e difficile battaglia di Otto Frank per far pubblicare e conoscere al mondo intero quell’incredibile diario che sua figlia aveva scritto sulla piccola scrivania del suo soffocante rifugio e che la fedele e coraggiosa Miep Gies aveva conservato. Nelle bacheche, ci sono in mostra le 79 traduzioni che il libro ha avuto, insieme alla copia di un invito a evitare il ”virus del pregiudizio” che Otto Frank ha fatto nel 1973 rivolgendosi a un gruppo di scolari del Bronx.
Per testimoniare la continuità della storia, alla cerimonia di apertura dell’esposizione sono stati invitati e celebrati alcuni sopravvissuti all’Olocausto e Vittoria Gassman, figlia di Vittorio e di Shelley Winters, che in un film del 1959 aveva interpretato la parte di Petronella Van Daan, ossia Auguste van Pels, e poi donato il suo Oscar alla Anne Frank House di Amsterdam. Insieme a loro, una pronipote di Anne Frank e i discendenti di Miep Gies hanno raccontato in tono commosso l’influenza che quel piccolo diario ha avuto nella loro vita.
”Sappiamo tutti che il diario racconta due anni in cattività”, ha spiegato il curatore della mostra Tom Brick, ”ma la storia è molto più grande, comincia prima e finisce dopo”.

Nel mondo ebraico americano, già turbato dalla situazione in Medio Oriente e dalla crescita dell’antisemitismo, l’apertura della nuova e ambiziosa mostra, finanziata generosamente da molti benefattori, tra cui Barbra Streisand e la sua Fondazione e dalla Bank of America, ha suscitato anche qualche perplessità.
”Il mio istinto dice che quando Otto Frank ha voluto che il rifugio fosse vuoto nella Anne Frank House originale ad Amsterdam avesse paura di questo tipo di commercializzazione e universalizzazione della persona di Anne Frank”, ha spiegato al New York Times Agnes Mueller, insegnante di Studi ebraici all’Università della Sud Carolina.
Per gli organizzatori, che hanno spiegato più volte di volersi rivolgere soprattutto ai più giovani, il successo sembra però già assicurato. Ancora prima dell’apertura ufficiale, oltre 250 scuole si sono prenotate per una visita, che sarà gratuita. E molte altre sono in attesa.