Ne parla in questi giorni la stampa australiana, perché il suo My Brilliant friend (L'amica geniale) è sbarcato in traduzione anche nell'isola dei canguri. Elena Ferrante è il perfetto esempio di ciò che funziona, in un autore italiano, quando viene portato oltre i confini del Belpaese: il radicamento alla terra di origine, in questo caso Napoli, e al tempo stesso la capacità di toccare temi universali. Dopo la pubblicazione negli USA con Europa Editions, casa editrice legata alla romana E/O, tradotta da Ann Goldstein, l'opera di Elena Ferrante continua dunque la sua marcia vittoriosa nei paesi di lingua inglese. L'affetto che l'autrice riceve all'estero è testimoniato anche da un altro piccolo evento recente, fra i tanti: la scelta di una band indie newyorchese, The Pains of Being Pure at Hearts, di intitolare il suo nuovo album Days of abandon (I giorni dell'abbandono, dal titolo del secondo romanzo della Ferrante, del 2002).
Elena Ferrante, di cui quest'anno si attende un nuovo libro, rimane a tutti gli effetti un mistero. In un panorama editoriale dominato da guide, biografie, o da libri di autori la cui popolarità è dovuta a ragioni extraletterarie (calciatori, cantanti, presentatori, capitani d'industria), una scrittrice che continua a scegliere l'anonimato e a tenersi alla larga dai salotti televisivi, è davvero l'eccezione.
Di lei si sa che è del 1943, che ha vissuto o forse vive a Napoli, dove ambienta la maggioranza delle sue opere, dopo un periodo trascorso in Grecia. Ne I giorni dell'abbandono l'azione si svolge a Torino, anche se la protagonista, Olga, è di origini partenopee. Solo in La frantumaglia, sorta di zibaldone dove ha infilato molte cose non altrimenti utilizzabili nei romanzi, qualche sguardo nei suoi cassetti di narratrice ce lo ha lasciato dare. E il punto è proprio questo: come altri grandi prima di lei, Ferrante teorizza il passo indietro dell'autore rispetto alla sua opera. Non per timidezza, nemmeno per una sorta di rancoroso "prendere le distanze" (quello di Salinger?). Ma proprio perché la narrazione – distillato, come sempre, di esperienze in qualche modo reali – dia il meglio di sé, senza contaminarsi con cose che non la riguardano. Anche se, ha dichiarato una volta la scrittrice, "più che mettere distanza fra il vissuto e la narrazione, il problema dello scrittore è spesso di colmare la distanza".
Al centro delle sue opere – che hanno offerto spunto per più di una produzione cinematografica – ci sono i rapporti umani, i sentimenti, le passioni che rischiano a volte di finire in tragedia. Ne I giorni dell'abbandono tutta la tensione di una separazione – una moglie lasciata per una donna più giovane, collega di lavoro del marito, con due figli e un cane – deflagra nello spazio di un pomeriggio, quando ogni cosa precipita, anche le più piccole (il cane si ammala, la porta di casa non si apre, il cellulare non funziona…).
Nella trilogia, in realtà probabilmente una quadrilogia, de L'amica geniale, di cui nel 2013 in Italia è uscito il terzo volume, Storia di chi fugge e di chi resta, la protagonista è in primo luogo Napoli, come nel romanzo d'esordio del 1992, L'amore molesto. La Napoli dei bassi, del dialetto, di un lavoro spesso abbruttente, di un modo di incontrarsi, di annusarsi, di amarsi, che è forte, fisico, feroce. Ma anche la Napoli di chi parte, per la Toscana, per Milano, per l'Europa, magari per ritrovare gli stessi mali profondi, le stesse tare della propria città natale, ma anche per restituirle qualcosa, forse un po' di benessere, di quel riscatto insieme esistenziale e sociale che sempre, nell'epopea dell'emigrazione, si accompagna alle famose rimesse.
Quest'anno, come dicevamo, è atteso un nuovo capitolo – quindi il quarto – della vicenda che vede per protagoniste le due amiche Elena e Lina. Diamogli il tempo di maturare. "Una storia – ha ammonito l'autrice in una delle tante interviste rilasciate attraverso la mediazione dell'editore – per prendere forma, ha bisogno di superare moltissimi filtri. Spesso cominciamo a scriverla troppo presto e le pagine vengono fredde. Solo quando la storia ce la sentiamo addosso in ogni suo momento o angolo, e a volte ci vogliono anni, essa si lascia scrivere bene".