C’è una risposta unica, sempre la stessa, sorprendente per chi non si sia interessato a questo tipo di storia, per una serie di domande che riguardano la storia della cultura occidentale, e non solo, da dove è stato pubblicato il primo Corano in arabo? Il primo Talmud? Il primo libro in armeno, in greco o in cirillico bosniaco? a dove sono stati venduti il primo tascabile e quali sono stati i primi bestseller? La risposta è Venezia. Venezia era una multinazionale del libro, con le più grandi tipografie del mondo, in grado di stampare in qualsiasi lingua la metà dei libri pubblicati nell’intera Europa. Committenti stranieri ordinavano volumi in inglese, tedesco, ceco, serbo. E le opere, appena pubblicate, venivano diffuse in tutto il mondo, non sempre con benaccolte dai poteri locali. Ogni pubblicazione ha spesso alle spalle una storia avventurosa, un desiderio di conoscenza, viaggi e mercanti, ma anche davanti anni spesso non facili, fuori dei confini di Venezia, tra persecuzioni e proibizioni per tanti libri che solo la liberalità della Repubblica permetteva venissero stampati, mentre nel resto d’Europa erano proibiti o circolavano ancora manoscritti. C’è una tradizione antica di stampatori editori in quella grande metropoli europea, visto che nel Cinquecento, con Venezia, solo Parigi e Napoli superavano i 150 mila abitanti, dove hanno visto la luce anche il primo libro di musica stampato con caratteri mobili, il primo trattato di architettura illustrato, il primo libro di giochi con ipertesto a icone, il primo libro pornografico, i primi trattati di cucina, medicina, arte militare, cosmetica e i trattati geografici che hanno permesso al mondo di conoscere le scoperte di spagnoli e portoghesi al di là dell’Atlantico.
Alessandro Marzo Magno, laureato in Storia veneta all’Università di Venezia e residente a Milano, dove è stato per dieci anni caposervizio esteri del settimanale ‘Diario’, ricostruisce in «L’alba dei libri – Quando Venezia ha fatto leggere il mondo» (pp. 224, Garzanti, Euro 22,00), un affascinante libro, la straordinaria avventura imprenditoriale e culturale della prima industria moderna, di cui Aldo Manuzio è il genio che a Venezia inventa la figura dell’editore moderno. Prima di lui gli stampatori erano solo artigiani attenti al guadagno immediato, che riempivano i testi di errori.
Manuzio si lancia con progetti a lungo termine e li cura con grande attenzione: pubblica tutti i maggiori classici in greco e in latino, ma usa l’italiano per stampare i libri a maggiore diffusione. Inventa un nuovo carattere a stampa, il corsivo. Importa dal greco al volgare la punteggiatura che utilizziamo ancora oggi: la virgola uncinata, il punto e virgola, gli apostrofi e gli accenti. Dalla sua tipografia escono il capolavoro assoluto della storia dell’editoria, il “Polìfilo” di Francesco Colonna (1499 – oggi rinvenibile nelle edizioni Adelphi), ma anche il bestseller del Cinquecento, "Il Cortegiano" di Baldassar Castiglione, libro culto della nobiltà europea.
A Venezia, del resto, nei primi magici decenni del XVI secolo si inventa quasi tutto ciò che noi conosciamo ancor oggi del libro e dell’editoria e che è necessario ripercorrere e studiare nel momento in cui si avvertono i primi scossoni di una rivoluzione tecnologica che potrebbe cambiare la faccia proprio dell’oggetto libro, rendendolo immateriale.
La Serenissima resterà la capitale dei libri finché la Chiesa, che considerava la libertà di stampa un pericolo, non riuscirà a imporre l’Inquisizione. Pietro Aretino, prima star dell’industria culturale e prototipo di molti intellettuali italiani, da idolo delle folle diventerà un personaggio emarginato. E la libertà di stampa cercherà nuovi rifugi nell’Europa del Nord, a cominciare dall’Olanda.