In foto il poeta Joseph Tusiani
Delicata, poetica, cordiale e sincera la parola dei «Saluti da New York», una mini-antologia narrativa e lirica insieme, che ci offre un’altra faccia – amica e familiare – di Joseph Tusiani.
Un gioiello prezioso con pagine descriventi Manhattan e i suoi dintorni oggi (col pensiero rivolto a un ieri che inizia più di un secolo fa), nonché versi in garganico, italiano, latino e inglese. Poeta quadrilingue, narratore finissimo, docente accademico, critico, traduttore, filologo, etc. etc., Tusiani conferma e consegna immagini ed atmosfere e storie (ci sono anche i suoi “quadri” scritti negli anni ’70 per la RAI, a presentare «I grandi Italiani d’America») che appartengono un po’ a tutti, sia ai discendenti di quanti approdarono, paurosi e speranzosi, ad Ellis Island, sia a quanti “scoprono l’America” scendendo da uno dei modernissimi jet.
Non è, questo del Nostro, un ripiegarsi della coscienza e del cuore, un rimpiangere o un rimembrare assorto e nostalgico del tempo che fu: è, semplicemente, la coscienza d’un essere “nostro”, qui e oggi, che non può né negare né fare a meno di quel passato di privazioni e quelle dure realtà che portavano (e portano) alla “spartenza” dai luoghi e dai volti cari alla nascita. Ritrovarsi perciò fra “streets” e piazze, fra “avenues” e teatri famosi nel mondo intero è anche un po’ un’occasione per riandare, in modo suadente e coinvolgente, a un’epopea che ci ha un po’ tutti coinvolti, pur se in maniere e tempi diversi. Ma è un canto, soprattutto, dettato da passione e sincerità, due delle ragioni che giustificano l’esistenza e che danno ad essa un significato intenso e innegabile.
Manhattan, non solo “è la mente e il cuore di tutta l’America”, ma è anche un vero e proprio universo in miniatura, ove “migliaia di persone che passando ti sfiorano, eppure esse vengono da ogni parte del mondo, parlano le lingue più belle e più strambe, vestono nelle fogge più complesse e più semplici…”; ma è anche il regno del mistero e dell’eccitazione, della scoperta, soprattutto a notte, con gli innumerevoli coriandoli di luci, che ti stordiscono e ti ammaliano a un tempo.
Tra un’opera al Met o un concerto alla Carnegie, fra una passeggiata in Central Park e una visita (“obbligata” da mille ragioni) a Ellis Island, “pensi… ai nostri poveri nonni analfabeti che, almeno una volta, dalle cupe miniere della Pennsylvania scendevano a New York per verificare il miracolo dell’im- mensa metropoli, capitale del mondo: restavano letteralmente a bocca aperta e il collo se lo torcevano davvero per arrivare a vedere gli ultimi piani di tutti quei grattacieli”.
Struggente nostalgia per la lontana terra natìa, ma anche piena accettazione e soddisfazione per ritrovarsi ora qui, in questa terra ove certo le strade non sono affatto lastricate d’oro, ma ancora le si può percorrere a testa alta, consci delle proprie origini e della realizzazione di molti dei sogni cullati traversando “il gran mare oceano”. Non si tratta, nelle pagine narrative o in quelle più squisitamente liriche, di un gioco fra le due tradizionali realtà e identità. Certo, il pensiero dell’emigrazione, voluta o alla quale si è stati costretti, latita sempre fra le righe o fra i versi, ma l’esistenza qui, più che necessità e/o fatalismo, si scopre come dovere e responsabilità precise, come scelta, il tutto condito da un senso d’eticità raffinata e schietta. Allo smarrimento si son sostituite infatti una nuova coscienza e nuove certezze, e le ansie-paure lontane sono state cancellate dall’adeguamento e dalla gioia d’essere in un mondo davvero “nuovo”.
Un po’ tutti questi temi si trovano anche nei medaglioni che con pochi ma precisi dettagli presentavano, una quarantina d’anni fa, i nostri “grandi” agli spettatori della RAI, allora usante l’indimenticato Canale 47. Figure illustri d’italoamericani “distintesi nei vari campi della vita sociale e culturale statuntense, oltre che personaggi storicamente legati alla terra americana”. Qualche nome?
E non ce ne vogliano quelli che qui,dominatore lo spazio, restano taciuti; eccoli: Colombo, Verrazzano, Mazzei, Meucci e Brumidi, accanto a Sacco e Vanzetti, Giannini, La Guardia, Caruso, Menotti, Fermi, Tresca, Lombardi e a tanti tanti altri. Su alcuni di questi quadri s’è depositata ovviamente un po’ di polvere, ma la forza e la chiarezza delle ricerche, nonché l’intensità del messaggio, sono tuttora esemplari e degne sia del ricordo sia della meditazione.