MAURIZIO Molinari corrispondente de “La Stampa” dagli Stati Uniti e tra i maggiori esperti italiani di politica americana, dopo aver intervistato diversi “global leaders” – da Ghedddafi a George W. Bush a Hillary Clinton a Condoleza Rice e pubblicato vari saggi sulla politica inter-nazionale (gli ultimi due sull’America di Obama) questa volta si è cimentato con un argomento “nuovo” per corrispondenti esteri italiani, in particolar modo negli States. Molinari ha compiuto un lungo e variegato viaggio tra la multiforme comunità italiana di New York (2.7 milioni di italiani e discendenti di italiani nella grande area metropolitana di New York). Il risultato è un pregevole volume: «Gli Italiani di New York» (Laterza, 2011). Un volume che sfata tanti luoghi comuni e pregiudizi sugli Italiani d’America ed apre una riflessione che se già non sfugge a diverse multinazionali e centri di ricerca non potrà non toccare i vari centri decisionali italiani: dalle università, alle regioni allo stesso governo centrale. Un volume di 240 pagine diviso per argomenti: il popolo, la fede, l’Italia, la politica, il business, le arti ed infine un accurato indice dei luoghi visitati e degli italiani e non incontrati. Un volume nuovo nella composizione, che si pone nella lunga scia degli studi sugli italo americani già avviati da Emilio Cecchi e da Giuseppe Prezzolini. Molinari questa volta mette a confronto le due comunità e ne svela il profondo affetto verso l’Italia. Gli Italiani che sono arrivati qui negli ultimi venti anni, non solo scienziati e top manager ma anche tanti clandestini che hanno cercato nella Grande Mela un’oasi per realizzare le loro ambizioni e gli Italiani che qui vi vivo-no da due o più generazioni e occupano incarichi di potere e responsabilità. In tutti gli intervi-stati emerge una consapevolezza che diviene man mano certezza: gli Italiani lavorano sodo ed in questa città è possible realizzare le proprio ambizioni, i propri sogni. Il pregio di Molinari (raro tra i corrispondenti esteri) è stato quello di visitare i luoghi italiani della Grande Mela, parlare con i protagonisti e riportarne i loro umori a volte anche le amarezze provate verso l’Italia. Il risultato è un volume di una grande umanità e di un forte sentimento di legame verso il Bel Paese che va oltre ogni aspettativa, quando si considerano gli Italiani all’estero dall’Italia. Ecco alcune domande poste a Maurizio Molinari.
Perché la decisione di scrivere un libro sugli Italiani di New York?
«Per contribuire ad una migliore comprensione reciproca fra gli Italiani d’Italia e quelli di New York. Hanno molto in comune ma ignorano anche molto gli uni degli altri. Credo sia il risultato di una ferita secolare perché l’Italia si è curata poco e male dei connazionali che dalla fine dell’Ottocento agli anni Sessanta hanno scelto di emigrare in America, causando una lacerazione che oggi può essere sanata dalle nuove generazioni. A patto però che riescano a conoscerci meglio l’un l’altra».
Qual è il rapporto con l’Italia di questa constistente comunità all’estero?
«Nel caso degli italiani di New York dipende da quale gruppo, o tribù, prendiamo in considerazione. Figli e nipoti degli ultimi emigranti sono oramai in gran parte americani, conservano con la patria d’origine solo un legame emotivo o culinario. Gli italiani giunti invece negli ultimi 20 anni sono in tutto e per tutto identici a quelli che vivono in Italia. C’è però anche un terzo tassello, composto da isole etniche come quella di Arthur Avenue nel Bronx, dove le identità italiane restano congelate al momento in cui l’emigrazione avvenne. Visitare questi luoghi può dare emozioni molto forti. Nel complesso dunque gli italiani di New York riflettono, rispetto all’Italia, tre approcci diversi, frutto dei differenti tempi storici in cui vivono».
Esiste a tuo parere un collante tra le diverse comunità italiane di New York?
«Certo, l’amore per l’Italia. Anche se ognuno lo vive in maniera differente, a modo proprio. Proprio come fanno i newyorkesi a proposito di ogni altra cosa. New York è una città che esalta caratteristiche, valori e sogni individuali. Mettendoli spesso in competizione fra loro. E gli italiani non fanno eccezione».
Come è visto il nostro Paese dagli italiani di New York, e cosa pensano della politica italiana?
«Una domenica sono entrato in un club di Brooklyn dove si ritrovano gli originari di Partanna, in Sicilia. Uno di loro mi ha detto "vediamo sempre la Rai e ci dispiace molto ascoltare i leader politici italiani che bisticciano fra loro, vorremmo più concordia, vorremmo vederli interpretare l’amore per l’Italia che abbiamo noi". Ecco, credo che gli italiani di New York vorrebbero vedere un’Italia più coesa su valori comuni e interesse nazionale».
Quali riflessioni hai maturato alla luce di questo viaggio studio tra la comunità italiana di NY?
«Ho maturato la convinzione che ogni italiano d’America ha cognizioni, competenze e voglia di fare che potrebbero trasformarsi un un grande motore di crescita per il nostro Paese».
Il libro si apre con una riflessione sull’11 Settembre e sulle vittime di origine italiana.
Perchè l’11 Settembre può essere considerata anche una ricorrenza da commemorare in Italia?
«Perché fra i 343 pompieri caduti a Ground Zero quasi il 10 per cento era italiano. L’11 Settembre è un giorno di lutto per gli italiani di New York perché così tanti fra loro caddero per salvare il prossimo ed aiutare la città a risollevarsi dall’attacco subito. Peter Ganci, il capo dei pompieri, è solo il nome più noto: nei mesi dopo l’attacco vi furono dozzine dilutti e funerali tutti italiani. Noi italiani d’Italia non dobbiamo mai dimenticarlo».
A New York esistono diverse migliaia di italiani clandestini. Perché vengono a N.Y. e cosa potrebbe fare il nostro Paese per costoro?
«Sono in gran parte giovani, vengono in cerca di lavoro e affrontano innumerevoli rischi e sacrifici. L’Italia dovrebbe occuparsi del loro ritorno in patria offrendogli opportunità migliori. Proprio come Roma chiede di fare a Tunisi e Rabat per porre fine alla corsa di tunisini e marocchini verso le coste del nostro Paese».
Qual è il valore aggiunto che questi italiani a New York possono dare al nostro Paese?
«I valori aggiunti di cui sono portatori sono due, creatività e capacità di lavorare duro».