Dai fumetti abbiamo imparato che lo scienziato forense Barry Allen viene colpito da un fulmine e finisce in coma. Al risveglio, a causa forse dell’esplosione di un acceleratore di particelle che ha dato il là ad una serie di fenomeni inspiegabili, si ritrova capace di muoversi e correre ad una velocità impressionante, anche nel tempo. Deciso ad utilizzare il suo superpotere per aiutare i bisognosi, si trasforma in incognito in The Flash.
Nel film The Flash del regista Andy Muschietti, invece, ben presto Barry (Ezra Miller) si accorge di non essere l’unico meta-umano creato dall’esplosione e che non tutti stanno usando i loro nuovi poteri per far del bene – vedi il Generale Zod (Michael Shannon), tornato sulla Terra per trasformare il pianeta e renderlo un nuovo Kripton. Vista la possibilità di poter viaggiare nel tempo, Barry vuole servirsene per cercare di impedire l’omicidio della madre (Maribel Verdù), un evento che ha lasciato nel suo animo una profonda ferita, e, qualora questo non sia possibile, dimostrare almeno che il padre Henry (Ron Livingston), ritenuto colpevole, sia invece innocente, come ha sempre dichiarato.
Non tutto va però nel verso giusto: Barry si ritrova bloccato in un universo alternativo nel quale il corso temporale degli eventi è stato modificato. Per salvare il mondo dal Generale Zod e tornare al futuro che conosce, si vede allora costretto a chiedere aiuto al pensionato Batman (Michael Keaton, anziano, e Ben Affleck, giovane) e a Kara/Supergirl (la brava esordiente Sasha Calle) per ripristinare il flusso del tempo.

The Flash è uno dei migliori film della collaborazione DC Studios/Warner Bros, con tante cose positive ma anche negative. Veniamo alle prime.
I personaggi e le vicende che si susseguono con una velocità simile a quella di Barry Allen, fanno sì che il tono del film sia continuo e rapido, ma al contempo anche semplice e quindi non stancante. Con leggerezza si è immersi in un flusso piacevole di emozioni.
Considerando i tanti corsi e ricorsi nel film a diversi eroi del passato, possiamo dire che The Flash è anche un sentito e sincero “omaggio d’amore” ai film precedenti dei DC Studios.
Può considerarsi riuscito il tentativo di far convivere insieme momenti comici e avvincenti con tematiche serie, attraverso il processo di maturazione di Barry (l’ottimo Ezra Miller interpreta entrambi i ruoli): dal giovane scanzonato, donnaiolo e disimpegnato che era, capisce piano piano, confrontandosi con il fratello, quanto possa essere dannoso l’essere infantili e come non si possa sempre tornare indietro per aggiustare un “buco”.
È innegabile che la bravura del cast aiuti in modo significativo nell’apprezzamento del film.
Ben Affleck è bravo e per la prima volta è presentato come un Batman crucciato e furioso, perfetto per la versione che di lui ha voluto il regista: molto accattivante la scena in cui, sulla sua moto, la Batciclo, sfreccia per le strade di Gotham City mentre Flash si occupa dell’ospedale in rovina, con i neonati che volano.
Michael Keaton (oggi settantunenne e la cui ultima apparizione nei panni del personaggio risale a Batman: Il ritorno del 1992) e l’esordiente Sasha Calle, nei panni della Supergirl, migliorano ogni scena in cui appaiono. Il ritorno di Keaton nei panni di un vecchio Bruce Wayne è fedele al personaggio del passato ed ha una parte importante del film senza che sia il suo film. Ruba la scena, finendo talvolta per essere il più spaccone di tutti (“Vogliamo fare pazzie?… e facciamole!”), ritrovandosi ad agire in modo antiquato in un mondo modernizzato che non cammina con il passo di una volta.
Calle è così brava come Supergirl che non resta che augurarsi di rivederla quanto prima in qualche lungometraggio dei nuovi DC Studios. Grazie a The Flash possiamo conoscere meglio il passato del giovane superveloce, la sua infanzia, la sua adolescenza, e comprendere meglio ciò che ha dovuto subire e soffrire. Un plauso alle musiche di Benjamin Wallfisch, collaboratore del regista per il suo secondo IT e compositore della colonna sonora del bel Blade Runner 2049.

E veniamo agli aspetti non soddisfacenti del film.
Il film è troppo lungo (poco meno di 150 minuti), in particolare nelle interminabili sequenze finali della battaglia contro Zod. Poteva e doveva arrivare prima il cuore del film, che, pur senza avere un tono cupo, è un dramma emotivo sulla necessità di affrontare il nostro passato, su chi vorremmo essere e chi siamo invece. Peccato per questo ritardo (siamo quasi già a metà film), perché da lì in poi il tutto risulta molto più accattivante.
Le lunghe scene di combattimento scarseggiano in creatività e originalità: troppo “classiche”. Per un lungometraggio che ha richiesto due anni di lavoro, e con un budget di oltre $200 milioni, non ci si aspettavano effetti speciali così imperfetti da sembrare affrettati, nonostante tra i responsabili spicchi il nome del pluripremiato Paul Lambert, vincitore dell’Oscar per Blade Runner 2049.
Ultime note.
La prima: ora spetta al regista, sceneggiatore e produttore James Gunn, nuovissimo amministratore delegato dei DC Studios, non farci rimpiangere la storia di Barry e dei suoi compagni.
La seconda: chi non sa separare l’Ezra Miller bravo artista dall’Ezra Miller uomo discutibile – protagonista nell’ultimo anno di una serie di episodi turbolenti, tra cui molteplici arresti per aggressione e un furto con scasso in una casa del Vermont, cose di cui si è scusato – non vada a vedere il film.