All’età di 14 anni, un suo disegno ha vinto il Premio Culturale Panta Rei del Comune di Bologna. Ha tenuto la sua prima mostra collettiva a Modena, in Italia, nel 1992 e negli Stati Uniti nel 2001. Da allora, la sua arte è stata esposta a livello nazionale e internazionale in musei come la Permanente di Milano, la Galleria Forni di Bologna, il Museo Nazionale José Malhoa in Portogallo, la Denise Bibro Fine Arts e lo Staten Island Museum di New York. Ha vinto vari premi, tra cui il Primo Premio alla mostra Annuale di Sylvia Glesmann e il Jane Peterson Memorial Award al Salmagundi Club di New York e ha ricevuto il Canson Paper Award for Excellence e l’Award for Exceptional Merit dalla Colored Pencil Society of America. Alcune sue opere, infine, fanno parte della collezione permanente dell’ Hunt Institute, della Carnegie Mellon University di Pittsburgh e del Queens Botanical Garden di New York. Questa lunga lista di nomi e riconoscimenti appartiene a Laura Fantini, un’artista che parla attraverso i movimenti precisi e infiniti delle sue matite. Questo suo modo di esprimersi è arrivato ora all’Harvard University, nella prestigiosa sede dell’Arnold Arboretum dove è possibile vedere la sua personale “Seeds for Tomorrow: Woody Plants of the Arnold Arboretum” fino al 30 maggio.

Come nasce questa ultima mostra?
“Seeds for Tomorrow: Woody Plants of the Arnold Arboretum” è una mostra ispirata a semi presenti nell’Arnold Arboretum di Harvard University a Boston. Ho visitato l’arboreto per la prima volta nel 2016. Quando ho iniziato il mio progetto sui semi, era un luogo perfetto per osservare e trovare nuovi soggetti. “Hope” (speranza in Italiano) è il titolo della serie che rappresento in ogni seme che disegno. Negli anni successivi ed in particolare nel 2019 ci sono ritornata più volte per raccogliere nuovi semi. Mi perdevo per ore osservando ogni singolo piccolo dettaglio che incontravo e ogni volta scoprivo sempre qualcosa di unico, affascinante e stimolante da collezionare e disegnare. Luoghi come l’Arnold Arboretum sono veri e propri musei a cielo aperto. Avevo in programma la mia personale per il 2022, un anno importante per il parco museo che celebra i suoi 150 anni, ma quando è scoppiata la pandemia nel 2020 mi è stato impossibile recarmi di persona per trovare nuovi soggetti, così grazie al personale ho potuto ricevere altri semi, compresi alcuni speciali provenienti da Dana Greenhouses, un’importante struttura per la produzione e la propagazione delle piante, che si trova all’interno dell’Arboretum.
Quale è il tuo percorso creativo?
Sono nata a Bologna, in Italia, e mi sono diplomata al Liceo Artistico e all’Accademia di Belle Arti della mia città natale. Disegno fin da quando ero bambina e la tecnica che utilizzo è quella della matita colorata su cartoncino. Sono sempre stata affascinata dalle matite colorate, dalla natura e dai fiori, ma crescendo ho sviluppato modi di comunicare ed esprimermi attraverso la mia arte, che mi ha permesso di evadere dalla quotidianità ed è diventata una parte fondamentale di ciò che sono.

Dai tuoi inizi ad oggi com’è cambiato il modo in cui crei le tue opere?
Sono cambiate molte cose, sia nel mio modo di lavorare che nella mia poetica. Mentre all’inizio mi piaceva sperimentare con diverse tecniche e soggetti, negli ultimi anni la mia ricerca artistica si è focalizzata esclusivamente sulla matita colorata e sulla natura, come pretesto per rappresentare i miei stati d’animo. Prendo ispirazione in semplici ed isolati elementi trovati nell’ambiente che mi circonda, che da soli sono in grado di creare una composizione completa.
La tecnica che utilizzo mi permette di essere esasperatamente precisa. A prima vista si può ottenere un effetto quasi fotografico, tuttavia, uno sguardo più attento rivela dettagli ancora più intricati e precisi. Inoltre questa tecnica mi consente di sviluppare un rapporto intimo e profondo con i soggetti e con la superficie delle opere. Un rapporto mano-materia paragonabile quasi al rapporto che la mano dello scultore ha con la creta che modella.

I miei fiori, semi o foglie, sono più di semplici soggetti. La loro meticolosa rappresentazione prende sempre forma su di uno sfondo simbolico. Infatti, le mie opere non rappresentano solo la realtà di ciò che raffiguro, ma sono soprattutto l’interpretazione dei miei stati d’animo e delle mie esperienze, oltre al fatto che c’è sempre un significato metaforico che va al di là della semplice rappresentazione. Come in “Hope”, la mia serie sui semi, dove i semi rappresentano metafora di speranza e nuovo inizio. Pur essendo piccoli, sono complicati e misteriosi e il loro ruolo è importantissimo. Senza l’operato dei semi, infatti, la vita sarebbe minacciata da esseri umani, piante e animali. I semi rappresentano dunque una speranza per la generazione futura.
A cosa stai lavorando adesso e quali sono le mostre future?
In questo momento sto continuando a lavorare sul progetto dei semi, anche perché sia grazie all’Arnold Arboretum di Harvard University e ad una residenza per artisti che ho concluso da poco con i Denver Botanic Gardens in Colorado, ho collezionato una grande quantità di bellissimi nuovi semi. Al tempo stesso però sarò dal 5 al 26 agosto a Cape Cod, in Massachusetts, con una nuova personale alla Miller White Fine Arts, nella quale mi piacerebbe includere anche nuovi soggetti.