Mauro Porcini è un sognatore che non si è mai arreso. Da Varese a New York, negli ultimi vent’anni, ha unito concretezza, entusiasmo, creatività e tanta voglia di mettersi in gioco.
Oggi ricopre il ruolo di Senior Vice President & Chief Design Officer in PepsiCo.
Nato a Gallarate nel 1974, è approdato a New York nel 2012 e negli anni ha raccolto riconoscimenti di grande prestigio: Fortune Magazine lo ha riconosciuto tra i “40 under 40”, unico designer nella lista, mentre Ad Age lo ha annoverato nella sua “Creativity 50”, la lista delle personalità più influenti al mondo, Fast Company lo ha riconosciuto come uno dei 50 più influenti designer in America e design master dell’anno; l’Hr Word Business forum in Mumbai lo ha premiato invece per la capacità di leadership e di innovazione.
I segreti del suo successo li ha raccolti in “L’età dell’eccellenza – Innovazione e creatività per costruire un mondo migliore”, il suo libro uscito poche settimane fa per Il Saggiatore.
Lo abbiamo intervistato con una videochiamata dal suo appartamento a New York. Ci accoglie con un sorriso abbagliante.
Raccontaci come è iniziata la tua avventura americana.
“Fu grazie a 3M Italia che mi assunse quando avevo 27 anni per cercare di cambiare la cultura all’interno dell’azienda, nella sede di Minneapolis. Fu una mossa un po’ azzardata, e forse non ci credevano più di tanto. Il ruolo che ha nella società il designer è diverso rispetto a quello che ricopriva 20 anni fa quando ho iniziato il mio percorso professionale. Il mio ruolo è cambiato perché sono cambiati i livelli delle produzioni, sono stato uno dei primi nel mondo del design a migrare verso il business. L’impatto con la cultura americana non è stato semplice, c’è molta competizione e Minneapolis, rispetto a New York è un altro mondo.
Entrando in Pepsico ho scoperto davvero qualcosa di diverso, una città multi sfaccettata, intrigante, complessa ma con stimoli inesauribili. Non sono arrivato a New York in questo modo, non sono uno di quelli che amava NYC: ho solo seguito un sogno. Il sogno di essere un designer e di creare soluzioni, oggetti e brand che potessero in qualche modo avere un impatto nella società”.
L’America quindi ha scelto te?
“Molti pensano che io sia fuggito dall’Italia come tanti altri cervelli in fuga, come tante altre persone che non volevano stare in Italia e volevano invece fare un’esperienza fuori dai nostri confini. Io no. E questa opportunità me l’hanno data delle multinazionali che, solo per caso, erano americane; 3M prima, PepsiCo poi. Ancora una volta, però, la ricerca costante di tutta la mia vita è trovare uno spazio che non sia solo fisico ma che sia anche spirituale ed intellettuale dove poter avere l’opportunità incredibile di sognare e trasformare questi sogni in qualcosa di concreto che sia fruibile da me e poi dalle persone che hanno la possibilità di interagire con quelle idee e soluzioni”.
Cosa ti ha dato e ti dà questa città?
“Io la chiamo la capitale delle capitali. È un posto dove in un modo o nell’altro persone da tutto il mondo, con dei background completamente diversi, si ritrova. Non esiste altra città al mondo con questa poliedricità. Una delle magie di New York è questa densità di persone con idee e talenti straordinari che collide con altrettante persone con risorse, ovvero in grado di finanziare quelle idee o quei talenti oppure “connetterli” ad altre. Persone con dei sogni incontrano persone che possono finanziare quei sogni e trasformarli in realtà. È la città in cui si avverano i desideri, un posto veramente magico”.
Parlaci della tua avventura editoriale.
“Ho sempre avuto il sogno fin da bambino, di fare lo scrittore. Sotto consiglio dei miei genitori, però, ho deciso di seguire un’altra mia grande aspirazione, quella di fare il designer. Così mi sono iscritto alla facoltà di architettura al Politecnico di Milano, scegliendo il ramo del design industriale. Non ho mai perso l’abitudine di prendere appunti. Durante il lavoro, i viaggi, i momenti di relax. Ho sempre pensato che in qualche modo mi sarebbero tornati utili e nel 2018, l’editor in chief de Il Saggiatore mi scrisse una mail molto bella e sentita, in cui mi proponeva di realizzare qualcosa per la loro casa editrice. Così, visto che i miei scritti erano in inglese, ho cominciato a tradurli in italiano e ho approfittato del periodo della pandemia per concludere il lavoro.
Era il momento giusto: siamo nell’età dell’eccellenza perché oggi chiunque può inventarsi un prodotto, un servizio, la soluzione ad un bisogno umano, e competere con le multinazionali. Le barriere erette a protezione delle grandi aziende iniziano a sgretolarsi, sotto la forza di una serie di tendenze come globalizzazione, nuove tecnologie, e-commerce, social media. L’accesso ai capitali è più facile grazie al crowdfunding, i costi della produzione si abbassano, la grande distribuzione può essere aggirata, e i social favoriscono la comunicazione. Oggi o crei qualcosa di straordinario e metti l’essere umano al centro di tutto, o prima o poi lo farà qualcun altro al posto tuo”.
Cosa consigli ad un giovane che vorrebbe crearsi una carriera oltreoceano?
“Essere curiosi in primis. Viaggiare, leggere, ascoltare con una mente aperta guardare il mondo con la meraviglia di un bambino, insomma!
Fondamentale è anche Identificare un mentor: qualcuno che ammiri e rispetti, che puoi seguire online, attraverso conferenze, interviste, attraverso i post sui social media, i libri, oppure un amico, una persona cara. Nella mia vita, quando ho avuto una decisione critica di prendere mi sono chiesto “cosa farebbe questa persona se lui/lei fosse nei miei panni, in questa situazione? E poi, fondamentale per realizzarsi è sognare e pensare in grande!
I valori dell’Italia che porti sempre con te?
“La bellezza a 360° gradi: dall’architettura, alla natura, alla moda, al design, all’arte, del cibo! Sono nato in una famiglia umile ma che metteva sempre al primo posto la cultura. I miei non davano particolare importanza al denaro. Anzi. Mia madre, cattolicissima, lo ha sempre visto come qualcosa che potesse traviare lo spirito. I valori che mi hanno trasmesso sono stati fondamentali nella mia vita, specie in una città come New York dove “perdersi” è facilissimo”.
E quali valori americani hai acquisito?
“Sicuramente la voglia di rinnovarsi e innovarsi sempre. Lo dimostra questo difficile momento di pandemia che ci stiamo lasciando alle spalle: gli americani si sono dimostrati pragmatici e rispettosi delle regole imposte dall’emergenza sanitaria, sia nell’ambito medico che personale. Con la campagna vaccinale efficace prima, e con la straordinaria capacità di risorgere dalle proprie ceneri, New York in particolare, ora risplende di una forza vitale e creativa mai vista. Mi aspettavo una reazione del genere, dopo un periodo di buio, ma non così abbagliante! Ora c’è ancora più fermento, voglia di crescere, di fare e di reinventarsi!