Cinquecento scienziati delle più prestigiose università del mondo hanno preso carta e penna per scrivere al Presidente Usa Joe Biden, e alla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, chiedendo di non concedere più sussidi e incentivi per la combustione del legno nelle centrali a biomasse.
Lette queste prime righe vi starete chiedendo: che storia noiosa è questa? E, soprattutto, cosa c’entra con il design? Ora cerco di incuriosirvi raccontandovi l’altra faccia della medaglia, così sarà chiaro come questa partita sia fondamentale per lo sviluppo di un design sostenibile e come la politica di bruciare legna per produrre energia metta a rischio posti di lavoro e fatturati di grandi aziende.
Partiamo da una pagina pubblicitaria a pagamento pubblicata qualche settimana fa su Il Sole -24 Ore, quotidiano economico, organo di Confindustria. Una pagina intera, pagata da Federlegno Arredo, la branca dell’organizzazione che dà lavoro a 350mila addetti e genera un fatturato pari a 37 miliardi di euro, con un titolo a caratteri cubitali: 500 NO! “Non bruciamo il Made in Italy”. Uno a uno, sullo sfondo, 500 nomi e cognomi di docenti di atenei sparsi in tutto il mondo, i firmatari dell’appello.
Come? Bruciare il “made in Italy”? Ora, sì ora, mentre state leggendo, alzate lo sguardo dal pc o dallo smartphone e guardatevi attorno. Se incrociate con lo sguardo un armadio o una credenza, una libreria in truciolato, i pensili della cucina, la scarpiera, la mensola del bagno o qualsiasi altra cosa fatta di tavole di legno compresso, sappiate che dentro quell’oggetto ci sono in realtà centinaia di microparti di centinaia di altri mobili, oggetti, tavole, comodini della nonna, pallet, vecchie ante di armadi, cassette della frutta che sono serviti per dare sostanza, peso e la forma piatta che ora ha. Ricordate la canzone? Per fare un tavolo ci vuole il legno, per fare il legno ci vuole l’albero… Beh, forse sarebbe meglio dire che per fare il tavolo ci vuole il pannello.

La poesia è scomparsa, la sostanza no. Il pannello è un elemento poco nobile forse, poco considerato, fondamentale per il design di cucine, bagni, camerette per ragazzi, armadi, librerie. Tutto quello che non è legno massello è pannello, ovvero due strati di finitura con dentro una macinatura, a grana più o meno sottile, impastata con colla, di legni della natura più varia.
Quando un oggetto di legno si rompe, o conclude il suo ciclo di vita, se viene portato a un centro di recupero rinasce come pannello. Se invece va a finire in una centrale a biomasse, serve a produrre energia e a inquinare l’aria, magari meno di una volta. E addio “Made in Italy”. La filiera ecosostenibile brucia sul nascere e si perde valore e know how, perché quella del riciclo è una capacità in cui l’Italia eccelle, con aziende che hanno fatturati davvero importanti. Ma ci arriviamo.

Prima sono andato a riprendere i dati dell’ultimo rapporto “GreenItaly” della Fondazione Symbola, del novembre scorso. C’è scritto che “per il 95% il legno viene riciclato per produrre pannelli per l’arredo, senza bisogno di consumare legno vergine che l’Italia comprerebbe viceversa dall’estero. In termini ambientali, ciò consente un risparmio nel consumo di CO₂ pari a quasi due milioni di tonnellate. Questo sistema circolare ha creato una vera e propria nuova economia nel rispetto per l’uomo e per l’ambiente. Complessivamente, l’impatto economico sulla produzione nazionale delle attività della filiera del recupero e riciclo del legno post consumo è di circa 2 miliardi di euro, con oltre 11.000 posti di lavoro in Italia, come stimato dal Politecnico di Milano”.
L’industria del pannello in truciolare, del legno come materia seconda (ovvero di recupero, da non confondere con la materia prima, in questo caso alberi) in Italia è partita nei primi anni ’60 ed attinge oggi in particolare da Rilegno, sistema che nel 2019 ha consentito di raccogliere e avviare a riciclo circa due milioni di tonnellate di legno e di rigenerare oltre 800mila tonnellate di imballaggi.

Due anni fa sono andato a Caorso, in provincia di Piacenza, a visitare uno dei cinque colossi del settore, la Saib. Un viaggio estremamente formativo che ha cambiato in me la percezione del mondo design. E mi ha definitivamente condotto sulla strada della sostenibilità.
Saib è attiva da 60 anni e si sviluppa vicino al Po nello spazio di 90 campi di calcio. Ogni giorno 150 Tir scaricano qui legno di tutti i tipi, dalle casseforme dell’edilizia, quelle tavole gialle incrostate di cemento, a vecchi letti, travi tarlati. Arrivano dall’Italia ma anche da Francia e Svizzera. Un gigantesco lunapark di salite e discese serve a separare il legno dal ferro, dal vetro, dal cemento. Basti pensare che solo i materiali estranei al legno sono una voce di bilancio a parte, in un anno si raccolgono qui a Caorso 8.500 tonnellate di ferro, 16.000 di ghiaietto e inerti, 900 di alluminio. Il tutto rivenduto a chi lavora nei diversi settori, compresi plastica e vetro.

Ogni anno arrivano qui 500mila tonnellate di legno di recupero che ogni giorno si trasformano in 2000 metri cubi di pannelli. Tutti acquistano qui diverse tipologie di pannelli, in truciolare o Mdf, che poi prendono la strada delle grandi fabbriche del “made in Italy” e diventano cucine, armadi, camere da letto. E Saib, che nel frattempo ha investito in tecnologia e macchinari sempre più sofisticati ed ecocompatibili, fattura più di 150 milioni di euro. Avanzi tuoi, trionfi miei.