Hanno dovuto rimandare la festa dei settant’anni, che era l’anno scorso. Come è successo per l’Expo di Dubai e le Olimpiadi. Ma questo brutto periodo della pandemia non ha impedito a Emiliana Martinelli di continuare a ricercare e mettere in catalogo le novità, a guardare avanti con l’ottimismo e la tenacia che le ha insegnato il padre Elio.

É incredibile come lei abbia conservato lo sguardo luccicante della bambina di fronte alla magia della luce, e sappia tradurlo in prodotti da lanciare sui mercati internazionali grazie al figlio Marco, amministratore delegato dell’azienda. Martinelli Luce, fondata a Lucca nel 1950 in un “laboratorio” – di fatto un sottoscala, ma ricco di ambizioni – ha sempre puntato sull’innovazione e sul design. Un binomio che scorrendo il catalogo delle opere appare evidente, tanti pezzi che sono la storia del design mondiale. Icone si dice oggi quasi sempre a sproposito. Qui la parola si può usare a ragion veduta.

L’ostinata ricerca per il nuovo è forse la caratteristica che colpisce di più. Il cuore di un’azienda non milanese, non lombarda, e per questo costretta a proporre l’inedito per riuscire a farsi notare nel panorama di marchi più forti e blasonati. C’è riuscito il padre Elio, nato come artista, pittore e scenografo, che caricava in macchina la moglie Anna e Emiliana e via verso Milano a capire che succedeva lì, a portare le prime lampade per farsi conoscere alla Fiera di Milano. C’è riuscita lei, che oggi quando si presenta dice: “Mi chiamo Emiliana Martinelli e mi occupo dell’azienda da tanti anni. Da quando mio padre mi ha carpita quel giorno della laurea in architettura a Firenze dicendomi: vieni, vieni con me… mi portò in azienda e da quel giorno non ne sono più uscita”.

Un aneddoto. Ricordo che quando l’ho intervistata qualche tempo fa, Emiliana mi aveva raccontato di come, in un attimo, aveva scorto con la coda dell’occhio qualcosa che ad altri era sfuggita. Era al Fuorisalone 2018, nella calca del SuperStudio, e cercava di guardare i prototipi di lampade esposti sollevandosi sulla punta dei piedi per andare oltre il muro di gente. Cercava come sempre qualcosa, e le persone che stavano con lei erano stanche e avevano fretta di andare. Lei all’improvviso si ferma e torna indietro. Li chiama, tutto il gruppo torna indietro perché quello è il segnale. Fermi tutti, Emiliana ha visto qualcosa.

“Da tempo avevamo tentato di mettere a punto una lampada tessile terra-cielo. Avevamo rocchetti di elastici per bretelle usati per il prototipo terra-cielo e pensando a come sfruttarne le proprietà meccaniche abbiamo pensato che l’elasticità potesse diventare una metafora dell’intensità per una innovativa esperienza di modulazione della luminosità”, spiega oggi sul sito. Ma in quel momento lei è lì di fronte a questa bretella elastica luminosa, la tocca, parla con i due designer dello Studio Habits che hanno avuto l’idea, li ascolta curiosa mentre spiegano quel progetto di illuminazione legato a una banda elastica che parte dal soffitto e arriva a terra. Si tira la banda e la striscia luminosa si accende, una prima sciabolata di luce sulla parete. Si tira ancora e l’intensità aumenta. Si tira la terza volta e la luce si spegne. Emiliana li guarda in faccia e dice: “questa lampada la faccio io”. Loro felici e confusi. Lei sorride e ripete sorridendo: “Lo faccio io, avete capito?”. Poi se ne va perché quella frase vale come una firma sul contratto. Tanto che l’anno dopo la lampada “Elastica”, questo il nome scelto, viene presentata a Euroluce, la parte del Salone del Mobile che si occupa di illuminazione e diventa una delle novità più viste su siti di arredamento e magazine.

Quest’anno ricorre l’anniversario di una lampada particolare, disegnata da Elio Martinelli nel 1961. Non ha vinto premi ma è un progetto che racconta una particolare logica costruttiva. “Poliedro” è una lampada da soffitto composta di tanti pezzettini di plastica uniti insieme a formare uno di quei solidi geometrici che sembrano usciti da un disegno di Luca Pacioli, il frate toscano, matematico raffinato, che codificava i teoremi dipinti da Piero della Francesca. Era una lampada che andava montata, 60 triangoli a formare una sfera, e non era una passeggiata. “Quante volte ho messo insieme gli uni agli altri i vari triangoli per comporre la lampada nei giorni antecedenti all’apertura delle esposizioni in fiera per esporla – spiega Emiliana – . Una volta venne anche la tv a fare una ripresa mentre facevamo vedere il montaggio, fu un piacevole evento”.

Elio negli anni ha disegnato lampade che ancora oggi sono in catalogo e potete vederle sulle pagine pubblicitarie di altre aziende, a corredo di divani e mobili. Perché hanno quel tocco glamour che solo il made in Italy sa dare. Lui le chiama con nomi cattivi, “Cobra”, “Serpente”, ma sono compagne affettuose di chi le ha in casa. Oppure si diverte a sfidare la legge di gravità con la “Flex”, che va dove vuoi e resta ferma con il suo stelo leggero.

Nel 1965 è l’arrivo di Gae Aulenti che dà il colpo d’ala. Mette in produzione “Pipistrello” e due anni dopo “Ruspa”, entrambe vengono esposte nel 1972 al MoMA di New York alla mostra “Italy: the New Domestic Landscape”, quella che consacra il design italiano. E c’è anche la “Profiterolle” di Sergio Asti, un altro capolavoro una torta di bigné luminosi.

Elio Martinelli, insieme alla giovane figlia, ha imboccato la strada del design, Gio Ponti lo invita alla sua Eurodomus, la consacrazione tra i grandi, e poi anche Euroluce. Emiliana nel frattempo si laurea, siamo nel 1976, e segue le orme del padre. Hanno due caratteri forti, il rapporto è a tratti burrascoso. Ma quando si tratta di partire per l’Europa, a scoprire cose nuove, sono tutti e tre d’accordo. La madre Anna guida la Porsche verde che Elio ha scovato in un fienile e ha fatto restaurare per lei, che ama guidarla e tagliare l’aria con la sua linea filante. Una volta vanno fino in Bretagna a vedere una sagra di aquiloni. L’ispirazione, la serendipity, la curiosità.

Elio Martinelli se n’è andato nel 2004 e non ha fatto in tempo ad avere la soddisfazione di veder premiata una sua lampada con il Compasso d’Oro. Succede nel 2011, dieci anni fa, con la lampada “Elica” di Brian Sironi. Un giovane scoperto da Emiliana che ha un guizzo che sbanca. E anche oggi i giovani che escono dalle scuole di design o dalle facoltà sanno che se hanno un’idea possono scrivere direttamente a lei, a Emiliana. E sanno che se lei ci vede qualcosa in quel progetto, magari appena abbozzato, li chiama a Lucca, ne discutono, quell’idea diventa prodotto. E finisce nelle case di sa riconoscere innovazione e qualità.
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