La mostra doveva essere inaugurata nell’aprile del 2020. Ma la pandemia ha bloccato tutto. E Yayoi Kusama ha dovuto aspettare ancora affinché le sue opere d’arte fossero esposte al pubblico del giardino botanico della città di New York.
Dopo un anno la situazione è migliorata. I contagi e i decessi sono nuovamente in diminuzione, le vaccinazioni proseguono e il giardino ha riaperto al pubblico. Nonostante questo, i visitatori dovranno comunque rispettare le principali misure anti-Covid (ingressi frazionati, mascherina, distanziamento sociale).
L’evento tanto atteso è formato da due parti. Da una parte c’è il giardino. Dall’altra ci sono le opere dell’artista giapponese. E le due componenti sembrano essere fatte apposta per mescolarsi alla perfezione.
NYBG
Se il Central Park è il polmone di Manhattan, il New York Botanical Garden (NYBG) è il filtro dell’aria delle strade trafficate del Bronx. Il giardino si estende per 250 acri (circa 1 km2) tra Southern Boulevard e Bronx Park Road.
Nato nel 1891 con lo scopo di preservare le terre che presto sarebbero diventate parte della città di New York, oggi il NYBG rivendica nella sua mission aziendale il ruolo di “difensore del regno delle piante”. E lo fa in tre modi.
Il primo è attraverso un enorme museo fatto di 50 spazi – tra giardini e serre – che espongono più di un milione di esemplari di vegetali da tutto il mondo.
Il secondo è attraverso l’istruzione: il catalogo primavera-estate 2021 offre più di 300 corsi in materia di botanica, giardinaggio, design di esterni, terapia dell’orticultura, floricultura, e persino funghi psichedelici.
Il terzo è attraverso la ricerca: è la sede dell’erbario più ampio dell’emisfero occidentale con più di sette milioni di specie preservate tra semi di piante, funghi, alghe, licheni e felci. A partire dal 1990 ha implementato anche un erbario virtuale, un archivio telematico che oggi contiene il più vasto catalogo scientifico e fotografico di piante al mondo.
È in questo scenario che torna Yayoi.
Kusama
Zucche a puntini. Accostamenti di colori psichedelici. Accumuli e ripetizioni. Questi sono soltanto alcuni dei tratti caratteristici di Yayoi Kusama, una delle artiste viventi più quotate al mondo. Il suo dipinto Interminable Net #4, è stato venduto nel 2019 da Sotheby’s Hong Kong per 8 milioni di dollari.
Francis Morris, la direttrice del Tate – il museo di arte contemporanea di Londra – dice di lei: “Kusama è come molti altri artisti che hanno bisogno delle loro ansie ed ossessioni. E le ha maneggiate in un modo assolutamente brillante, che racconta di una personalità molto ordinata e organizzata”.
Yayoi Kusama nasce nel 1929 in Giappone, nella città di Matsumoto, Nagano, un centro con poco più di 200 mila abitanti nel bel mezzo delle alpi giapponesi. Suo padre era proprietario di un’impresa vivaio, dove si coltivavano piante, si facevano crescere fiori e si vendevano semi.
In un’intervista rilasciata nel 2015 alla Louisiana Channel, Kusama racconta di aver voluto da sempre diventare una pittrice. “I miei genitori volevano mi sposassi con un uomo dello stesso rango sociale di mio cognato. Io ero assolutamente contraria all’idea, così continuai a dipingere giorno e notte. Mia madre scaraventò la tavolozza e lanciò tutto e disse che se avessi voluto continuare a dipingere sarei dovuta andare via di casa”.
All’età di 27 anni, nel 1957, Kusama si trasferisce a New York City grazie alla sponsorizzazione di Georgia O’Keeffe, artista americana nota anche per i suoi dipinti raffiguranti sensuali composizioni floreali. Nella sua autobiografia intitolata “Infinity”, Kusama racconta di quella fase della sua vita così: “Guardando giù dal più grande grattacielo del mondo, ho sentito che mi trovavo alla soglia di tutte le ambizioni mondane, dove veramente tutto è possibile. Le mie mani sono vuote ora, ma le riempirò con tutto ciò che il mio cuore desidera, proprio qui a New York. Tale desiderio era come un fuoco ruggente dentro di me. Il mio impegno per una rivoluzione nell’arte faceva scorrere il sangue caldo nelle mie vene e mi faceva persino dimenticare la mia fame”.
Nel 1967 Kusama gira un cortometraggio dal titolo “L’auto distruzione di Kusama”. È un viaggio di vita psichedelico e spirituale. Una pioggia di puntini – talvolta monocromatici altre volte variopinti – disegnano geometrie caleidoscopiche. Come le immagini, allo stesso modo anche i suoni di sovrappongono e si mischiano: al canto tribale di sottofondo, ogni tanto si aggiungono i clacson di New York o i suoni della chitarra elettrica in stile jam session.
Il 25 novembre 1968 – prima ancora che le rivolte di Stonewall diano inizio al movimento di liberazione omosessuale – Kusama celebra quello che alcuni considerano il primo matrimonio gay (il primo paese a legalizzare le unioni omosessuali fu la Danimarca nel 1989). Kusama disegna i consumi per l’occasione e rilascia un comunicato stampa dell’evento che dice così: “Sia lo sposo che la sposa indosseranno un fantastico abito da sposa ‘da orgia’, progettato per due invece che per uno. I vestiti dovrebbero unire le persone, non separarle.” E per spiegare le ragioni che l’hanno spinta a celebrarlo dice: “Lo scopo di questo matrimonio è di portare allo scoperto ciò che è stato finora nascosto. L’amore ora può essere libero, ma per renderlo completamente libero, deve essere liberato da tutte le frustrazioni sessuali imposte dalla società. L’omosessualità è una normale reazione fisica e psicologica, che non va né esaltata né decantata”.
A New York Kusama cerca il successo, viene rifiutata da diversi espositori d’arte che prediligono artisti maschi anziché donne immigrate. Cade ancora più profondamente in depressione, al punto tale da tentare il suicidio. Ritorna in Giappone, ospite di un centro di cura che usa l’arte come forma terapeutica e dove ininterrottamente crea le sue opere d’arte.
La descrizione della esibizione permanente di Kusama al Museo della Città di Matsumoto, descrive lo stile di Kusama così: “I suoi sentimenti interiori hanno trovato espressione nei pois e nei dipinti a rete. Oltre ai dipinti, ha lavorato su sculture, performance art, video e installazioni, continuando la sua prolifica produzione dopo il suo trasferimento a Tokyo nel 1973. Kusama non ha mai lasciato che le lodi la rendessero inattiva, incanalando invece il plauso nelle sue nuove opere. Per tutta la sua vita è sempre stata “all’avanguardia” e non ha mai rallentato”.
“Se lo spettatore potesse vedere il mio approccio alla vita – dice Kusama – e il desiderio di amore e pace dietro queste opere, sarei così felice e nulla potrebbe essere paragonato a questa gioia”.
Natura Cosmica
L’esibizione al New York Botanical Garden indaga il rapporto dell’artista con la natura. Non è una mostra unica, singola, statica, ferma. Ma saranno almeno tre, in base al susseguirsi delle stagioni. Come il cosmo e la natura, la mostra sarà in ciclica evoluzione. Tulipani e iris in primavera, dalie e cicerchie odorose in estate, zucche e crisantemi in autunno.
La mostra includerà opere di tutta la prolifica carriera dell’artista, tra cui installazioni, sculture monumentali di flora, forme organiche a pois e gli ipnotici dipinti di piante e fiori. Sarà anche mostrato materiale d’archivio che non è mai stato presentato al pubblico, e altre opere che saranno esposte per la prima volta negli Stati Uniti.
Per New York, la celebrazione di Kusama è anche la celebrazione dello spirito della città: il coraggio di aprirsi alle novità, la fatica per il successo, la bellezza delle diversità.
Io mi sono innamorato di Kusama guardandola mentre dipinge, con lentezza. Mi correggo: con lenta costanza. I video che la riprendono e le testimonianze di persone che la conoscono confermano che quando Kusama inizia un’opera, inizia e – costantemente e lentamente – dipinge con lo stesso movimento lo stesso motivo ripetutamente, e non si ferma.
Se vuoi approfondire chi è Kusama, guarda il documentario Kusama – Infinity”, diretto da Heather Lenz e disponibile a noleggio in inglese su Youtube. Il film è stato nominato nella categoria “Best First-Time Director” nel 3° Critics’ Choice Documentary Awards al BRIC Arts Media e ha partecipato al Sundance Film Festival 2018 e al San Diego Asian Film Festival.