New York celebra l’inizio della primavera con alcune mostre d’arte di grande originalità. La più ambiziosa è certamente quella del Met Breuer – cioè della collezione di arte moderna installata dal Museo Metropolitan nello storico edificio museale dell’ architetto Marcel Breuer al centro di Manhattan – i cui curatori si sono accorti che una calda ventata d’arte riflettente ansie di natura politica, sociale e insomma umana ha travolto e dunque accomuna a cominciare dai primi decenni del secolo scorso, quasi a contorno di due o più massacri mondiali, artisti di ogni latitudine – dunque non soltanto quelli delle nazioni occidentali – nonché di ambedue i sessi senza prevalenza di quello maschile.
La mostra già nel titolo – “Home is a foreign place”, traducibile in “Il nostro Paese ha altri confini” – esprime un senso di scoperta coraggiosamente giustificato dall’eposizione di una serie di artisti inediti o poco conosciuti e delle più esotiche nazionalità accanto a quelli di cui ben conosciamo la patria e il nome. La validità del gesto dei conservatori del Metropolian, quasi tutti di nuova generazione, è confermata dal fatto straordinario che contemporaneamente anche il museo Whitney, quello che si proclama “museo di arte americana”, ha aperto una mostra dal titolo “Where we are” (“a che punto siamo”) su una tematica molto simile, che scrivendone più ampiamente in precedenza ho definito “multi-rivoluzionaria” e di un cosmopolitismo totale, anche se messo a fuoco da artisti incontratisi tutti negli Stati Uniti.
Ma la mostra più commovente di questo momento è rivolta non al futuro ma a una grande perdita del passato: “Tiepolo in Milan; the lost frescoes of Palazzo Archinto”. È la prima commemorazione di una preziosa opera d’arte scomparsa e anche il tentativo di recuperare se non la materia, almeno lo spirito. Non siamo più in molti, milanesi e non (tra cui chi scrive) a ricordare quella tragica notte in cui le “Superfortezze” sciamarono su Milano illuminandola di devastazione. Fu allora che l’unica opera creata a Milano dal più splendido narratore e poeta della pittura veneziana del Settecento, Giambattista Tiepolo, andò in frantumi insieme al palazzo per cui era stata creata, e da allora anche il compianto è finito nella generale dimenticanza. La mostra organizzata presso la collezione Frick, partendo da un bozzetto su tela preparatorio degli affreschi perduti acquistato già nel 1916 dall’industriale Henry Clay Frick per la sua raccolta, ha messo insieme più di cinquanta opere provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti, tra cui quasi tutti i numerosi bozzetti a olio e i disegni rimasti, riproduzioni d’epoca degli affreschi e fotografie che ne erano state fatte prima del 1940 (una di esse mostra una profonda crepa già esistente in uno dei cieli tiepoleschi).
Questa secolarmente tardiva rievocazione è dovuta al curatore principale del Frick di relativamente recente nomina, Xavier Solomon, un uomo di educazione e cultura profondamente italianeggianti e di vasta visione umana, che per spiegare la sua iniziativa ha detto: “In un momento della storia in cui le guerre continuano a distruggere arte e cultura in tante parti del mondo vale la pena di fermarsi a riflettere, attraverso un’esposizione come questa, sui tragici, irreparabili effetti causati dalla violenza attraverso i secoli sulle grandi opere della creatività umana.” La consolazione che questa mostra offre per la perdita degli affreschi, esemplari vivissimi dello stile sontuosamente pacato, dei contrasti di colore quasi musicali, di uno specialista dello stucco e dell’affresco quale fu Tiepolo, non è minima, considerando che gli abbozzi iniziali, in questo caso anche a olio su tele sia pure di piccole proporzioni, spesso hanno un’immediatezza che spesso si attenua attraverso le ripetizioni nella versione finale. Qui le storie narrate da Tiepolo – soprattutto l’affresco principale che illustrava il salone del piano nobile del palazzo, il “Trionfo delle arti e delle scienze” – con la dozzina di figure allegoriche, dalla Pittura alla Musica e dalla Scultura alla Matematica, riunite sotto l’egida di Apollo e di Minerva (c’è perfino la Nobiltà; ma manca più di mezzo secolo all’89 e l’affresco doveva anche celebrare le nozze del giovane conte Archinto con una contessa Borromeo) ci permettono di ritrovare momenti dello spirito che nessuna bomba ha potuto annientare. E’necessario aggiungere che la mostra completa tutto un anno in cui la Frick, ad opera di Salomon, ha dedicato una serie di esposizioni inaspettate e di grande intelligenza all’eredità culturale italiana.
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