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in Arte e Design
September 22, 2018
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Addio al “Gabbiano”, la galleria “comunista” di una Roma felliniana

Chiude i battenti, per ragioni economiche, l'importante galleria romana specializzata in arte americana che si autodefiniva "comunista"

Mauro LucentinibyMauro Lucentini
Addio al “Gabbiano”, la galleria “comunista” di una Roma felliniana

Sandro Manzo e Fiamma Arditi.

Time: 3 mins read

“Il Gabbiano”, importante galleria romana specializzata in arte americana, non riaprirà più i battenti. Una triste conferma ne è stata data dal suo unico proprietario, il gallerista napoletano Sandro Manzo, in una riunione alla Casa Italiana della New York University che porta il nome dello scomparso industriale italiano Guido Zerilli Marimò, situata nel West Village, il vecchio quartiere artistico di Manhattan.

La galleria romana era chiusa già da tempo, ma siccome le sue mostre erano generalmente rinnovate ogni anno trovarla chiusa poteva significare soltanto l’allestimento di una nuova esposizione. Stavolta, invece, quella che per quasi cinquant’anni era stata la principale interprete di correnti artistiche americane a Roma non potrà più far sentire la sua voce. Le ragioni sono esclusivamente di carattere economico; le entrate della galleria non sono più sufficienti a tenerla in piedi. Quando qualcuno ha chiesto al simpatico Manzo se l’attività della galleria non avrebbe potuto essere proseguita sotto forma di fondazione, questi ha risposto “di affondazione, piuttosto”, volendo dire che non esistevano più nemmeno i più elementari presupposti economici per impedire il naufragio.

Ho chiesto da parte mia a Manzo se in qualche modo la sopravvivenza della galleria sia stata ostacolata dal fatto che essa si autodefiniva una “galleria comunista” e il gallerista è sembrato cadere dalle nuvole, con gesti di totale diniego o addirittura d’indignazione. Ma quando, più tardi, gli ho chiesto quali delle grandi gallerie internazionali, oltre all’onnipresente Gagosian, rimanessero adesso a Roma, ha lui stesso ricordato che l’unica altra di quel livello, l’inglese Marlbourough, si era ritirata da Roma negli Anni Settanta “il giorno prima dell’ultima grande vittoria del partito comunista” perché “non voleva restare” in una città di colore marxista; riconoscendo con ciò, Manzo stesso, l’esistenza di un rapporto, nella comunità di Roma, tra una spesso imprecisabile fisionomia politica e ancor più imprecisabili effetti finanziari.

In che modo poi questi effetti abbiano influito sul commercio dell’arte dopo il crollo della partitocrazia, ivi incluso il partito comunista. grazie al movimento “mani pulite” determinante per le successive elezioni degli Anni Settanta, Manzo non ha potuto specificare, anche se vivissime critiche al modus operandi della burocrazia romana nei suoi rapporti con l’arte – in quello come in ogni altro periodo –  siano contenute in un suo libro-intervista presentato nella stessa occasione al pubblico newyorkese.

Motivo ufficiale della riunione era infatti la presentazione del libro “La Stanza Verde – Autobiografia di Sandro Manzo” scritto in realtà da sua moglie Fiamma Arditi, attivissima giornalista e scrittrice. In questa che è in sostanza un’intervista di duecento pagine (la “stanza verde” è la direzione del “Gabbiano”) Manzo, che è stato anche l’agente esclusivo di artisti di livello mondiale come il direttore dell’Académie Franҫaise a Roma Balthasar Balthus e il pittore colombiano Fernando Botero, dà un quadro vivacissimo e interessantissimo di una Roma sconclusionata e ingorda, non molto diverso dalla Roma del film felliniano di questo titolo, al punto che il libro sembra a volte un manuale di cucina più che una memoria di correnti estetiche. Altre volte sembra invece uno schedario della “sinistra chic” (“anche i comunisti sono sensibili a queste cose”, dice Manzo parlando dei personaggi dell’aristocrazia a Roma, da Vittorio Emanuele di Savoia in giù), nell’epoca dominata dalla mentalità che la politica francese ha immortalato con le parole: “à gauche, jamais d’ennemi”; mentre dichiara “inaccettabili” i prodotti di correnti populistiche super-figurative prevalse più tardi, come il cesso d’oro di Cattelan o le sculture di Jeff Koons. La diserzione del 77enne Sandro Manzo dal mercato dell’arte, se questa sarà la conseguenza della chiusura della sua “stanza verde,” sarà comunque lamentata da molti, inclusi i praticamente sconosciuti artisti russi dell’arte ex-sovietica nonché quelli della Russia putiniana, con cui Manzo aveva cominciato a stabilire contatti in Italia.

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Mauro Lucentini

Mauro Lucentini

Sono nato e vissuto a Roma che però ho abbandonato più di mezzo secolo fa per fare il giornalista in varie parti del mondo. Ne ho tratto una specie di complesso di colpa nei confronti della mia città natale, complesso che ho un po’ alleviato scrivendo da lontano una Grande Guida di Roma, che si vende in diverse lingue in diversi paesi. A New York venni per rimanerci tre o quattro anni, invece ci incontrai la ragazza più carina e dolce del mondo così ci sono rimasto, mettendo su, come si suol dire, famiglia. Lei però, pur essendo tanto più giovane di me, è poi scomparsa come un fiorellino che muore. In questa lunga carriera, cominciata quasi da bambino, ho sempre scritto sia di politica che di arte e di questo non mi pento.

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