Per fortuna che la mostra s’intitola “Veniamo in spirito di pace”, altrimenti ci sarebbe da prendersi un colpo nell’arrivare nei prossimi giorni sulla terrazza del Metropolitan Museum of Art e scorgerci l’enorme, minaccioso pupazzo che ci è stato eretto dalla scultrice pakistano-americana Huma Bhaba. Le parole del titolo sono ovviamente un riferimento a quelle sussurrate da un umanoide a un essere umano nel film del 1951 “The Day the Earth Stood Still”, ma rassicurano solo in parte . Alto quattro metri, dritto su due piedi e stagliato sul panorama generalmente tranquillo della città di New York, il mostro seminudo ha un sogghigno così feroce che sembrerebbe pronto a scatenare sulla città un’ impresa terroristica ancora più catastrofica di quella famosa di alcuni anni fa.

La sensazione di orrore è accresciuta dalla presenza di un altro pupazzo gigantesco, prosternato a terra davanti al primo. Di questo non si vedono altro che le mani e una orribile coda, a meno che non si tratti di una lunga defecazione generata da terrore. In corpo di questa salvo le mani è nascosto da un tendone di plastica, interpretabile anche come una specie di ‘burqa’ islamica, possibilità che aggiunge al tutto una connotazione politica su cui, data anche l’etnia della scultrice, si è incominciati subito a farneticare. Il New York Times è arrivato – ci credereste? – ad evocare Antonio Gramsci.
Dal lato semplicemente artistico, l’installazione è indubbiamente efficace perchè l’ibridazione tra il mostro fantascientifico sbarcato chi sa da quale parte dell’universo e un aspetto fisico quasi umano è molto vivida. Per ottenere una maggior aderenza all’ immagine biomorfica il mostro era stato creato originariamente in sughero e vernici colorate. Poi la scultrice ha deciso che per lasciarlo all’aperto per sei mesi – durata della mostra – bisognava tradurlo in metallo. e allora lo ha rifatto in bronzo e patinato con colori giallastri. L’arte della signora Bhaba esibisce una certa somiglianza con quella comico-vomitevole del pittore Philip Guston, ma andando più indietro nel tempo il precedente più calzante si trova nell’opera del pittore scozzese Sir Eduard Paolozzi (1924-2005), considerato il padre della Pop Art britannica. In Italia la Bhaba, una signora d’aspetto mite sulla cinquantina, è conosciuta perchè già rappresentata alla biennale di Venezia del 2015.

Se il rapporto tra i due mostri extra-spaziali in questa opera della Bhaba è effettivamente di carattere politico – il richiamo all’urto con l’Islam, o accenni al colonialismo, all’imperialismo o perfino allo stato subalterno della donna – a me non interessa approfondirlo perchè, come diceva Benedetto Croce, le due categorie, di arte e politica, non sono fungibili. A chi invece è avido di questo tipo di connessioni suggerisco la mostra in corso al MoMA di una pittrice di Los Angeles, Adrian Piper, che dagli Anni Sessanta in poi non ha mai mancato di immedesimarsi nella lotta politica del giorno, in una serie tanto lunga che non mi è possible scendere in particolari. La mostra è intitolata “Adrian Piper: a Synthesis of Intuitions, 1965-2016” e i quadri hanno un certo interesse soprattutto quando l’artista è sotto l’influenza del LSD; nell’insieme tuttavia l’opera è sotto il profilo artistico piuttosto modesta.