“Per il mio ventunesimo compleanno, ricevetti in regalo una fotocamera con obiettivo fisso. Fu come un fulmine a ciel sereno, una rivelazione. Fui attraversato da una scossa elettrica, capii all’improvviso quale sarebbe stata la mia strada. Non l’ho mai più abbandonata, quella macchina”. Così Albert Watson racconta il suo incontro con la fotografia. Autore di più di cento copertine per Vogue, più oltre 40 per Rolling Stone e un’infinità di servizi per riviste di tutto il mondo, Watson è uno dei veri maestri contemporanei. Uno che lascia una traccia indelebile in circa quattro decadi di storia della fotografia, uno che è considerato tra i venti fotografi più influenti al mondo. Lui si è sempre distinto per lo stile incisivo e riconoscibile e per un grande virtuosismo tecnico.
Sia le riviste di moda europee che americane hanno ospitato gli scatti di Watson: Mademoiselle, GQ , Harper’s Bazaar (per il cui numero natalizio del 1973 ritrassein maniera provocatoria il famoso regista Alfred Hitchcock con un’anatra spennata in mano), senza contare le 250 copertine di Vogue in tutto il mondo. Tra le campagne pubblicitarie, ha lavorato a quelle per Revlon, Gap, Levi’s, Chanel. Ha girato oltre 500 spot televisivi e realizzato i poster per decine di film hollywoodiani (Kill Bill, Il codice Da Vinci, Memorie di una Geisha). Sorprende quindi che sia anche riuscito a trovare il tempo per portare avanti i suoi progetti personali che riguardano soprattutto panorami da Las Vegas al Marocco e i ritratti di alcune celebrità-icona come Mick Jagger, Keith Richards, Clint Eastwood, Cindy Crawford, Barack Obama, Kate Moss, e soprattutto Steve Jobs, il fondatore di Apple. Tra le gallerie che hanno ospitato i suoi lavori: la Kunsthaus di Vienna, il museo di arte moderna a Milano, la National Portrait Gallery a Londra, il Puskin Museum a Mosca e l’International Center of Photography a New York. Alcuni suoi scatti fanno parte della collezione permanente del MoMa. Oltre ai cataloghi delle personali, ha pubblicato quattro monografie: Cyclops (1994), Maroc (1998), Albert Watson (2007) e Shot in Vegas (2010).
Nonostante negli ultimi anni non scatti più moda o pubblicità,
Watson ha lasciato il segno in questi settori, portando avanti al contempo una visione personale dell’immagine. E’ rimasto fondamentalmente quello che era ed è sempre stato: un fotografo decisamente fantasioso, eclettico e versatile, che ha sempre preferito fotografare tutto ciò che lo ispirava in qualche modo. Oggi Watson, che vive e lavora a New York, è celebrato con una grande mostra che ripercorre la sua storia artistica, a Carpi (Modena): lui si racconta così, anche di persona (infatti è venuto apposta all’anteprima), e lo fa “fotograficamente” attraverso oltre 100 immagini in bianco e nero. Un viaggio tra ritratti, paesaggi, fotocolor che raccontano la storia artistica di uno dei fotografi più celebri del nostro tempo. Per questa mostra proprio la maison Blumarine (che a lungo si è affidata alle immagini di Watson per le sue pubblicità) ha aperto i suoi archivi per mettere a disposizione del pubblico i lavori e le sue campagne pubblicitarie: Fashion, Portraits & Landscapes, questo il titolo della mostra, ben delinea infatti il percorso stilistico di Watson e gli ambiti entro il quale la sua arte fotografica si è sviluppata dalla fine degli anni Settanta ad oggi: si va dalle copertine di Vogue ai ritratti per i servizi di moda fino ai paesaggi urbani delle principali città del mondo: Los Angeles, Londra, Napoli, senza dimenticare la sua amata Scozia. “Albert Watson, con il quale ebbi sempre piena sintonia di vedute e aperto confronto – dice oggi Anna Molinari, fondatrice e direttore creativo proprio di Blumarine – riuscì per primo, e pienamente, a definire l’identità del mio stile, dei miei abiti, nella sua essenza di romanticismo, seduzione e femminilità. In ogni suo scatto si rimane affascinati da un profondo talento estetico, colto in ogni particolare: il paesaggio e le figure ritratte paiono quasi compenetrarsi reciprocamente con armonia mentre il gioco delle luci, quasi emozionale, esalta i dettagli e le lavorazioni degli abiti, l’eleganza di una silhouette o la profondità di uno sguardo” .
Per finire, giusto una curiosità, che la dice tutta sulla volontà di ferro di Watson: sin da bambino ha sofferto una cecità congenita ad un occhio, ma proprio per combattere questo handicap si è dedicato anima e corpo alla fotografia. E oggi, a chi gli chiede come deve essere un bravo fotografo, lui risponde così: “La propria personalità è la migliore arma del fotografo e la sua l’abilità sta nel manipolare la persona da riprendere senza che si accorga di essere manipolata. Deve sentire da te una qualche forma di autorità e controllo e deve sentirsi a suo agio, come se tu la tenessi stretta di fronte a te con una mano invisibile”.