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March 29, 2018
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Artemide, dea della luce lunare e icona femminile moderna

Le creazioni del marchio omonimo, riferimento nell'illuminazione high quality, si trovano nei più prestigiosi musei: ma chi era la divinità cui si ispirano?

Laura BenattibyLaura Benatti
Artemide, dea della luce lunare e icona femminile moderna
Time: 6 mins read

Il brand Artemide rappresenta oggi il migliore e il massimo riferimento mondiale nel settore dell’illuminazione high quality. Le creazioni Artemide, sinonimo di eleganza e di grande tecnologia, sono vere e proprie icone del design contemporaneo tanto che trovano la loro collocazione nei più prestigiosi musei di arte moderna e nelle collezioni di design di tutto il mondo: il MoMa di New York, il Metropolitan Museum of Art ancora di New York, il Victoria and Albert Museum di Londra, il Centre Georges Pompidou di Parigi. Le creazioni Artemide si possono ammirare anche in Italia, ad esempio, presso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica di Milano e la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Presso Artemide prestano la loro opera i più famosi designers internazionali e vengono anche promossi nuovi talenti in collaborazione con importanti scuole… ma chi era Artemide?

Artemide, che i Romani chiamavano “Diana”, era divinità protettrice della caccia e uno tra i simboli più ricorrenti della Luna. Artemide era infatti conosciuta come dea lunare (terrestre) insieme a Selene (celeste) ed Ecate (sotterranea). Era figlia di Zeus e di Latona e trascorreva la sua vita nei boschi in compagnia delle Ninfe a lei devote. La sua immagine più ricorrente era caratterizzata da un arco d’argento (che rimanda spontaneamente alla mezza luna o falce lunare),da una faretra colma di frecce (come il fratello Apollo) e da un seguito di cani fedeli.

Spesso aveva il capo circondato dalla luna e dalle stelle, in mano portava una torcia (in quanto divinità lunare) e alcuni animali erano a lei sacri, come l’orsa che presenta due caratteri opposti: la dolcezza protettiva verso i suoi cuccioli e la ferocia cruenta verso chi le si oppone; la leonessa, maestosa, affascinante e abilissima nell’arte della caccia; il daino e la lepre, per loro natura creature fuggitive ed inclini ad un’esistenza appartata e schiva.

Artemide, sorella gemella di Apollo, dio del sole, era figlia di Latona e di Zeus. Sua madre, anche lei divinità della natura, aveva trovato un’acerrima nemica in Era, legittima moglie di Zeus, nota per la sua terribile e vendicativa gelosia. Quando arrivò il momento di partorire i due gemelli, Latona non sapeva proprio dove andare: tutti si rifiutavano di darle ospitalità poiché temevano l’ira di Era. Latona trovò finalmente rifugio sull’isola di Delo dove diede alla luce Artemide e quest’ultima la aiutò a partorire il gemello Apollo. Per questo la dea Artemide veniva anche chiamata in soccorso delle partorienti. Quando Latona presentò Artemide a Zeus per la prima volta, egli si compiacque a tal punto della grazia della figlia che promise che Artemide avrebbe potuto chiedere sempre ogni cosa avesse desiderato.

Artemide, dea della caccia, della luna e della natura selvaggia

Ella così domandò: arco, frecce, faretra, cani con cui andare a caccia, una veste corta per non essere intralciata nella corsa, boschi selvatici e terre aspre e inospitali, Ninfe a lei devote, ma soprattutto la possibilità di operare le proprie scelte senza doversi mai rivolgere supplice al padre Zeus. Tale episodio di Artemide bambina che chiede i doni al padre Zeus, è cantato magnificamente nei versi del poeta ellenistico Callimaco (310 a.C/235 a.C.) nell’omonimo “Inno ad Artemide”( una curiosità: il brand ”Artemide” ha creato una lampada che si chiama proprio “Callimaco”!) E così avvenne.

Fu molto accurata la scelta dei doni da parte della giovane dea: preferì le Ninfe più graziose, che avrebbero costituito il suo seguito; poi si fece costruire direttamente dai Ciclopi, figli di Poseidone, una faretra e delle frecce assolutamente straordinarie e a Pan, (Fauno nella mitologia romana), divinità non olimpica dall’aspetto di un satiro legata alle selve e alla natura, chiese i cani più fedeli che la potessero accompagnare. La dea amava infatti cacciare di notte alla luce della sola torcia e in modo furtivo e rapido.

Artemide come dea della caccia e della Luna era la personificazione dello spirito femminile indipendente e guerriero. Lei era immune dall’innamoramento e non fu mai moglie o amante, anzi, quando stava per presentarsi tale rischio, intervenivano Apollo e Zeus, poiché doveva restare modello indiscusso di integrità e di indipendenza. Una visione della figura femminile, non c’è che dire, molto attuale! La stessa caccia con l’arco rappresenta simbolicamente la volontà e la capacità di concentrarsi su di un fine, la determinazione, la certezza di riuscire a colpirlo. Maggiori difficoltà avesse incontrato sul proprio percorso, più grande sarebbe stata la brama di proseguire, senza lasciarsi mai fuorviare da nulla e da nessuno. Un vero modello di forza psicologica per le donne greche che vivevano nella totale obbedienza e sottomissione ai loro padri, mariti, fratelli e figli, un’autentica rivoluzione e un radicale abbattimento dei canoni tradizionali della figura femminile greca!

Statua di Artemide con un capriolo, copia romana di originale ellenistico, Museo del Louvre

Artemide è una divinità amata infinitamente dai suoi genitori, vezzeggiata dalla madre e appoggiata in tutto e per tutto dal padre, che la considera la figlia prediletta. A sua volta Artemide viene considerata la dea più legata alla madre e sempre pronta a soccorrerla, probabilmente perché ben consapevole delle difficoltà che Latona aveva affrontato prima di partorirla.

Ricordiamo l’episodio di Niobe (figlia del re della Lidia Tantalo) che era entrata sfacciatamente in competizione con Latona, affermando con orgoglio che i suoi figli erano più belli e più numerosi (sei maschi e sei femmine) rispetto a quelli partoriti da Latona: Artemide fece pagare duramente l’ oltraggio inflitto a sua madre uccidendo crudelmente tutte le creature di Niobe (in particolare Artemide eliminò le femmine, Apollo i maschi) e trasformando la donna stessa in una cascata (una rupe da cui sarebbero sgorgate lacrime abbondantemente e in eterno).

Artemide era comunque molto sensibile alla richiesta d’aiuto anche da parte delle altre donne: celeberrimo l’episodio della ninfa dei boschi Aretusa che, per sfuggire alle insistenti profferte amorose di Alfeo, dio del fiume nelle cui acque era scesa a rinfrescarsi, venne soccorsa da Artemide che la nascose nella nebbia e poi la trasformò in una fonte d’acqua cristallina. Ma accanto a questa disponibilità a correre in soccorso di chi la invocava, Artemide aveva anche la “dote” di essere terribilmente crudele contro chi le mancava di rispetto: come nel caso del cacciatore Atteone che, per averla inavvertitamente vista nuda mentre faceva il bagno, venne trasformato in cervo e sbranato dai cani che lo accompagnavano.

Ugualmente noto l’episodio di Orione e Artemide legato alla nascita dell’omonima costellazione: poiché il cacciatore Orione aveva avuto numerose avventure tra le dee (tra cui Eos protettrice dell’isola di Delo), Apollo temendo che questi potesse inseguire anche sua sorella, un giorno mentre il cacciatore faceva il bagno, tenendo fuori dall’acqua soltanto la testa, venne colpito inavvertitamente da una freccia di Artemide che era stata sfidata a gara dal fratello. Apollo aveva infatti invitato Artemide a colpire un oggetto che avesse visto in lontananza e che altri non sarebbe stato se non lo sventurato. Quando Artemide si accorse dell’errore, era troppo tardi, corse da Asclepio, figlio di Apollo, supplicandolo di ridonare la vita ad Orione, ma Zeus non lo permise e colpì la divinità con un fulmine. A questo punto Artemide non potè fare altro che trasformare Orione nell’omonima costellazione rendendolo immortale agli occhi degli uomini e regalandogli il cane Sirio, la stella principale della costellazione.

Diane auprès du cadavre d’Orion (Diana nei pressi del cadavere di Orione), 1685, Daniel Seiter, olio su tela, Museo del Louvre

E un’ulteriore prova della natura vendicativa di Demetra è offerta questa volta dalla letteratura, in particolare dall’”Ifigenia in Aulide” di Euripide (485 a.C./407-6 a.C.). Pare che l’indovino Calcante avesse sentenziato che le navi greche del re Agamennone sarebbero rimaste bloccate nel porto di Aulide e non avrebbero potuto prendere il largo alla volta di Troia, fino a quando lo stesso capo non fosse riuscito a placare l’ira di Artemide sacrificando la sua adorata figlia Ifigenia. Lo sdegno della dea era stata generata da un atto di “hybris” o “empietà”: Agamennone si sarebbe infatti vantato di saper usare l’arco meglio della stessa dea della caccia. Altri sostengono che egli avrebbe ucciso una capra sacra ad Artemide; altri ancora dicono che, in realtà, il re aveva fatto voto di sacrificare alla dea la più bella delle creature nate nell’anno e che questa fosse proprio Ifigenia; un’altra versione scarica la responsabilità su Atreo, padre di Agamennone, il quale non le aveva voluto sacrificare un agnello dal vello d’oro a lei dovuto. La stessa Artemide poi si sarebbe opposta alla tragica morte di Ifigenia e avrebbe all’ultimo momento sostituito la fanciulla sull’altare con una cerbiatta o con un’orsa o con una donna anziana.

Ma anche nel caso di Artemide non manca la feroce gelosia nei suoi confronti da parte di altre dee: nell’omonima tragedia di Euripide, Ippolito, figlio di Teseo, re di Atene, e della regina delle Amazzoni, è un giovane che si dedica esclusivamente alla caccia e al culto di Artemide, trascurando completamente tutto ciò che riguarda la vita comunitaria, andando orgoglioso della propria purezza. Per tale motivo Afrodite decide di punirlo suscitando in Fedra (seconda moglie di Teseo e quindi matrigna di Ippolito) una insana passione per il giovane che condurrà il fanciullo alla morte e tutta la sua famiglia alla rovina…

E così quando acquisteremo una lampada Artemide per il nostro arredamento o per la nostra professione, probabilmente rifletteremo sulla luce che si irradia da un mondo così distante ed enigmatico com’era quello del mito, ma anche così attuale: sì perché anche oggi in ogni Paese, in ogni contesto, esiste la volontà di protagonismo, di competizione, di sopraffazione, ma chissà perché, anche i comportamenti più brutti, se calati nella dimensione del mito, assumono caratteri irresistibilmente affascinanti che inesorabilmente ci catturano.

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Laura Benatti

Laura Benatti

Dopo essermi laureata in Lettere Classiche all’Università Cattolica di Milano, ho iniziato subito ad insegnare lingua e civiltà latina e greca al Liceo Classico e vi assicuro che in 30 anni di esperienza (arricchita da continui aggiornamenti e concorsi) si è rafforzata sempre più in me l’idea che la vera bellezza non è quella che al momento toglie il respiro, che abbaglia, ma quella che non riesce ad essere scalfita minimamente dall’implacabile trascorrere del tempo. Ed è questo che cerco di trasmettere quotidianamente ai miei studenti e che proverò a raccontare con la mia rubrica “Brand e Mito” ai miei lettori internazionali. A proposito, cari lettori, scrivetemi tutte le vostre domande e curiosità: vi risponderò sicuramente e con grande gioia! sturmunddrangbenatti@gmail.com

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