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Il MoMa di New York al bivio, sceglie di aprirsi al mondo

Non ci sarà più spazio soltanto per la propria collezione, ma si seguirà l'evoluzione delle correnti artistiche

Mauro LucentinibyMauro Lucentini
Il MoMa di New York al bivio, sceglie di aprirsi al mondo

Il giardino del MoMa di New York, che l'anno scorso ha fatto registrare 2,5 milioni di visite

Time: 3 mins read

Il MoMA, il museo cioè di arte contemporanea più famoso e emblematico del mondo, ha raggiunto una decisione: d’ora in avanti non lascerà più tanto spazio alla propria collezione e all’America, ma inseguirà senza interruzione con i suoi programmi espositivi l’evoluzione dell’arte di ogni parte del mondo e di qualunque razza e sesso, maschile, femminile o ‘intergenere’. Questo l’annuncio dato con debita risonanza dal direttore del museo, Glenn D. Lowry, in occasione del completamento di una prima parte del terzo programma di ampliamento che il Museum of Modern Art, fondato nel 1939, realizza nel corso degli ultimi cinquant’anni.

Il proposito dichiarato da Lowry vuol essere la prima risposta veramente esauriente che un museo d’arte ‘moderna’ dà all’interrogativo posto da questa parola in quanto descrizione essenziale della propria attività: la sua modernità consiste nel conservare in maniera statica i prodotti d’arte del recente passato, o nel catturare in prospettiva immediata l’emozione estetica della società in cui si trova, e nel momento stesso in cui si esprime? Finora, tutti i musei d’arte ‘moderna’ del mondo si sono regolati soprattutto nel primo modo. Il MoMa è il primo a capire che dando spazio non solo al primo proposito, ma anche al secondo, gli occorrerà un programma consapevole di questo duplice scopo, il che implica anche progetti strutturali ed espositivi di un’ampiezza particolare e progetti espositivi storicamente dinamici, non più staticamente illustrativi.

Lowry ha detto che tradotto in dollari, questo programma viene a costare 400 milioni, di cui una parte già spesa nel rinnovo e adattamento dell’edificio contiguo a quello attuale, il grosso ancora da investire sia nel nuovo edificio che in quello originale. Anche se questo Lowry non l’ha detto, la nuova espansione e i nuovi

Glenn D. Lowry, direttore del MoMa di New York dal 1995

criteri espositivi sono una risposta allo sforzo di adeguamento fatto nel decennio corrente anche da altri musei americani e segnatamente neworkesi, il primo luogo il Whitney, situato nella parte bassa di Manhattan nel nuovo edificio di Renzo Piano e che rincorre anch’esso l’obbiettivo della ‘modernità’ con una fiera biennale e affiancando ai programmi di arte visiva programmi artistici di ogni altro genere, per esempio musicali. La lista dei musei d’arte americani in via di rinnovamento è troppo lunga per poter essere riportata, ma non è possibile non menzionare il programma di sviluppo dell’imponente Metropolitan Museum of Art, situato anch’esso, come il MoMa, nella parte centrale di Manhattan, rivolto specificamente all’arte contemporanea. Anch’esso è progettato nella cifra di 400 milioni di dollari, ma proprio pochi giorni fa è stato ufficialmente rimandato di qualche tempo a causa di imprevisti economici.

Per quanto riguarda l’aggiornamento e ampliamento fisico, il MoMa ha stabilito un programma vastissimo che aumenta di ben un terzo il numero e lo spazio delle sue gallerie e le rende più flessibili rispetto agli intenti espositivi. Il museo resterà tuttavia senza interruzioni aperto. Dal lato architettonico il programma è affidato alla ditta Diller, Scofidio & Renfro, la stessa, signficativamente, che nelle vicinanze del Whitney sulla riva dell’Hudson sta completando un nuovo centro d’arte non grande ma ‘dilatabile’, di cui ho parlato in una precedente corrispondenza.  Lowry ha tuttavia sottolineato che il rinnovamento vuole essere non solo fisico ma anche filosofico, nel senso che le  gallerie rinnovate e le nuove mostre riflettano non solo un’ampiezza geografica e sociologica maggiori, ma rispondano anche il più possibile a una prospettiva storica. Ogni corrente artistica, da quando la rappresentazione imitativa e accademica della natura è stata abbandonata sarà messa in evidenza e così pure ogni nuova evoluzione dell’arte. Questo obbiettivo di storicità d’altra parte è già perseguito dai curatori e curatrici del museo nelle ultime mostre allestite dal museo, per esempio la bellissima ‘Rauschenberg and his friends’ attualmente in corso che rispecchia non solo lo sviluppo di una delle più originali voci della Pop Art, ma anche, come dice il titolo, quello del ricco ambiente artistico in cui si è manifestata.

 

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Mauro Lucentini

Mauro Lucentini

Sono nato e vissuto a Roma che però ho abbandonato più di mezzo secolo fa per fare il giornalista in varie parti del mondo. Ne ho tratto una specie di complesso di colpa nei confronti della mia città natale, complesso che ho un po’ alleviato scrivendo da lontano una Grande Guida di Roma, che si vende in diverse lingue in diversi paesi. A New York venni per rimanerci tre o quattro anni, invece ci incontrai la ragazza più carina e dolce del mondo così ci sono rimasto, mettendo su, come si suol dire, famiglia. Lei però, pur essendo tanto più giovane di me, è poi scomparsa come un fiorellino che muore. In questa lunga carriera, cominciata quasi da bambino, ho sempre scritto sia di politica che di arte e di questo non mi pento.

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