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in Arte e Design
April 19, 2017
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April 19, 2017
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La paura della Fearless Girl e il rispetto per l’arte di quel toro

Se i simboli sono più forti della realtà

Francesco TaddeuccibyFrancesco Taddeucci
Fearless Girl Toro di Wall Street

La "Fearless Girl" di Kristen Visbal che sfida a Wall Street il "Charging Bull" di Arturo Di Modica (Foto Flickr/ Anthony Quintano)

Time: 3 mins read

Come molti sanno il 7 marzo scorso – il giorno prima dell‘International Women’s Day – una statua di bronzo raffigurante una ragazzina fiera e senza paura veniva collocata davanti al toro – sempre di bronzo – che dal 1989 scalpita davanti a Wall Street. Un’immagine forte, simbolica, che da lontano può addirittura ricordare l’anonimo ragazzo di Tienanmen che ostacolava l’avanzata del carrarmato cinese.

Da allora, in nemmeno due mesi, la “Fearless Girl” è diventata un’attrazione della città, o forse addirittura un simbolo, o in ogni caso un monito al mondo maschile che ancora governa un’economia totalmente sbilanciata a suo favore.

Raccontata così, sembrerebbe una storia senza nemmeno troppe possibilità di interpretazione. Ma qualche giorno fa l’artista autore del toro scatenato ha fatto sentire la sua voce protestando per la lettura “distorta” di tutta la faccenda.

I fatti sarebbero questi, e vale forse la pena raccontarli.

La prima pagina del New York Post sulla rimozione del toro di Arturo Di Modica da Wall Street

La statua del toro venne realizzata nel 1989 subito dopo uno dei più rovinosi crolli delle borse. La realizzò un immigrato siciliano di nome Arturo Di Modica, interamente a sue spese, e la fece scaricare proprio in quel punto, illegalmente, in tutte le sue 3,2 tonnellate. Nei suoi intenti, il toro avrebbe rappresentato “la forza del popolo americano” che avrebbe saputo risollevarsi da quella caduta. Non era una statua “di” Wall St., era una statua del popolo. Anzi a Wall St. inizialmente non gradirono, e la statua venne rimossa. Solo dopo le proteste dei cittadini, che invece a quella statua si erano affezionati, il toro tornò al suo posto in un immaginiamo curioso via vai di camion e argani. Negli anni, quasi inevitabilmente, è diventata il simbolo della borsa di New York. Di fatto, resta forse l’unico esempio di guerrilla più o meno capitalista esistente al mondo.

Arturo Di Modica
L’artista Arturo Di Modica accanto alla sua opera (Foto da chargingbull.com)

La statua della ragazzina, ha invece una storia diversa. Paradossalmente molto più ricca e certamente più “capitalista” come origini rispetto al toro. Tanto per cominciare, a idearla è stata un’agenzia multinazionale, la McCann di NY, per celebrare il primo anno di vita di un fondo (quindi: dollari) peraltro animato da nobili intenti: lo State Street Global’s Gender Diversity Index fund. Il fondo ha infatti come missione secondaria quella di ridistribuire una piccola parte degli utili in attività atte a promuovere l’affermazione delle donne in un mercato largamente dominato dagli uomini. Ma è pur sempre un fondo del NASDAQ, e la sua mission principale è ovviamente il guadagno.  La ragazzina di bronzo è solo un bellissimo pezzo di advertising creato per sostenerlo. Commissionato a un’artista di nome Kristen Visbal  nota prima di allora per delle statue di allenatori di football. Un efficace pezzo di guerrilla anche questo, ma che sostanzialmente ha cambiato il senso del Toro di Di Modica: da simbolo della “forza e del potere del popolo americano” il toro, sotto lo sguardo fiero della ragazzina, è diventato un aggressore minaccioso e certamente patriarcale. Da qui le proteste di Di Modica, che potrebbe anche decidere di riportarsi via la statua, e magari collocarla nel suo giardino di casa al posto di qualche centinaio di puffi.

Resta il fatto che l’operazione ideata da McCann, altamente simbolica, va ben oltre la storia di queste due sculture: anzi, funziona nonostante questa. Definisce in modo  molto forte il gap esistente tra uomini e donne nel mercato del lavoro americano (e non solo in quello). Ma l’ipotesi che presto possa sparire dalla vista del toro non è da escludere. Passata l’euforia per il potere simbolico dell’operazone, in molti hanno iniziato a storcere il naso. In questi giorni anche il New York Times ha ammonito in un articolo schietto e abbastanza duro di stare attenti al falso femminismo, e concentrarsi su diritti della donne non tanto nelle potenti sale delle Corporations americane, ma in tutte le altre parti d’America e del mondo.

Bisognerà vedere se la spunterà la forza del simbolo (e del brand), o quella tutta muscoli e corna del vecchio Toro dell’artista siciliano.

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Francesco Taddeucci

Francesco Taddeucci

Francesco Taddeucci, detto Ted. Cittadino onorario di New York dal 1981, ma lo so solo io. Mi occupo di pubblicità, e sono partner e direttore creativo di un’agenzia di comunicazione indipendente che si chiama SuperHumans. Ho scritto e condotto vari programmi per Radio2, e insegno Creative writing all'università Luiss. E naturalmente sono anche qui: a Roma, New York.

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