Basterebbe lo splendido tondo di Riccardo Licata, quei segni arcani di chissà quale mitologico alfabeto, a spingere qualsiasi appassionato di arte del secondo Novecento alla GR Gallery, su Bowery. Se a quello aggiungete le tele di Gino Morandis, Valerio Guidi, Ennio Finzi e, dulcis in fundo, del Maestro Emilio Vedova, è probabile che l’appassionato torni e ritorni più volte a vedere The Great Beauty of Venice, la mostra inaugurata venerdì 18 novembre e aperta fino al 5 febbraio 2017.
Filiale americana dello Studio D’Arte GR ― veneziano d’origine e sacilese di ricollocazione ― la GR Gallery è presente a New York da un anno, e celebra, con questa mostra, il sodalizio con il gruppo di artisti dello Spazialismo italiano.

Propaggine artistica dell’Arte Informale, il Movimento Spazialista rifiuta l’immagine naturalistica e indaga la relazione tra l’uomo e lo spazio che lo circonda, ergendo quest’ultimo a vero e proprio luogo della creazione artistica. Allo Spazialismo, che ebbe in Lucio Fontana il suo fondatore e teorico, aderirono pittori come Gino Morandis e Virgilio Guidi, mentre Ennio Finzi, Riccardo Licata e Carmelo Zotti rimasero ufficialmente slegati dalla corrente, ma ufficiosamente molto vicini allo stile adottato.

Emilio Vedova, dal canto suo, si muove sempre nel mare magnum dell’Arte Informale, nell’area del segnico, pur nutrendo un grande interesse verso il ruolo esercitato dallo spazio nell’opera ― ricordiamo i suoi famosi Plurimi, opere in cui l’artista stacca il quadro dalla parete e lo installa nello spazio facendolo diventare una creazione ibrida fra pittura, scultura e architettura.
È un piacere quasi fisico, scivolare fuori dal caos della città ed entrare in un luogo dove le pareti parlano la lingua familiare di un artista come Vedova: le pennellate convulse, nere e grigie scure, tra le quali affiora una presenza gialla, oppure una serie di sprazzi rossi, dove domina la forza emotiva, quasi primitiva, del segno.
Alberto Pasini, direttore della Galleria, ci racconta di come Giovanni Granzotto, il fondatore storico dello Studio D’Arte GR, sia stato grande amico e sostenitore di tutti questi artisti gravitanti attorno alla città di Venezia, e di come si sia sempre speso, dagli anni ’70 fino a oggi, per portare in auge lo Spazialismo veneziano, facendolo uscire dall’ombra di quello milanese.
“Ci sarebbe piaciuto aggiungere anche qualche opera di Bacci, DeLuigi e Vianello, ma non volevamo allargare troppo la mostra né svelare tutto subito…”, aggiunge il Direttore, alludendo al fondo di opere a cui GR Gallery può attingere e facendomi pregustare future mostre. Il direttore ci confessa che esporre Vedova in America, oltre ad essere un onore, dato il rapporto di stima e amicizia che legava l’artista allo Studio D’Arte, significa molto, in modo particolare quest’anno, in cui il decennale dalla sua morte potrebbe riavviare il mercato, dopo un momento non facile attraversato dalla Fondazione Vedova.

La mostra contempla anche alcune tele di Massimo d’Orta, un artista che, per nascita ― Napoli ― ed età è successivo rispetto agli Spazialisti presenti nella mostra, nonché vivente: sembrerebbe una presenza decontestualizzata. Quando chiedo al Direttore quale rapporto leghi il pittore partenopeo alle opere degli Spazialisti, la risposta mi soddisfa, e mi rivela anche una scelta di strategia logistica della Galleria: “Ci siamo ritagliati una piccola stanzetta all’interno della Galleria come una specie di divertissement, un piccolo spazio in cui ospitiamo opere di mostre precedenti, anticipazioni di mostre future, piccole personali, eccetera. Abbiamo trovato che Massimo d’Orta, che conosco personalmente e apprezzo molto, avesse una certa assonanza dal punto di vista stilistico e gestuale con lo Spazialismo, e abbiamo deciso di inserirlo, con una sua piccola personale, all’interno della collettiva”.
La grande bellezza del titolo della mostra rinvia a quella immortalata da Paolo Sorrentino nell’omonimo film del 2013. “Volevamo un titolo accattivante, riconoscibile, che riconducesse al nostro passato, al nostro heritage, e abbiamo sostituito a Roma Venezia, dacché tutti gli artisti presenti nella galleria, per nascita (Vedova, Morandis) o adozione (Licata, Zoppi, Guidi), hanno orbitato attorno alla città lagunare”.

Guardando all’istintività delle tele di Vedova, ai simboli misteriosi di Licata ― caratteri geroglifici? Rune depositarie di memorie antiche? ― alle composizioni astratte, cromaticamente luminose, di Morandis, o alle figure mitiche, tra l’umano e l’animale, di Carmelo Zotti, credo che la riconoscibilità di questi artisti non potrebbe essere mai messa in discussione, neppure volendolo.