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Le Watts Towers e l’italiano che ispirò la rivolta

Come un immigrato analfabeta di Avellino finì sulla copertina di Sgt. Pepper's dei Beatles

Daniela Tanzj e Andrea BentivegnabyDaniela Tanzj e Andrea Bentivegna
watts towers

Foto: Javier Ramiro

Time: 6 mins read

Nel 1967 uscì nei negozi di dischi di tutto il mondo un LP che avrebbe fatto la storia. Erano anni d’oro per la musica, anni in cui si sperimentava creando dei veri e propri capolavori e in effetti quell’album era uno di quelli che avrebbero alzato l’asticella di un bel po’. Si trattava infatti di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band uno dei più grandi capolavori dei Beatles. Tutto in quell’album era rivoluzionario a cominciare dalla copertina in cui i Fab Four erano immortalati con attorno una folla variopinta di personaggi tra i più illustri di ogni epoca.

Osservando quell’immagine, nell’angolo in alto a destra, in ultima fila, proprio accanto a Bob Dylan fa capolino il profilo di un uomo, uno sconosciuto che non si capisce bene perché sia lì; Ii suo volto non più giovanissimo è segnato da rughe profonde. Quell’uomo è un italiano, anzi l’unico italiano che compare in quella copertina-icona. Sabato era il suo nome e la storia della sua vita merita di essere raccontata.

Nacque a Ribottoli, un paesello in provincia di Avellino, nel lontano 1879 in un’epoca in cui tutta la neonata Italia era ancora poverissima e quella zona in particolare sembrava non essere ancora a conoscenza della nascente epoca industriale che stava rivoluzionando il resto del mondo occidentale. Appena quindicenne, il giovane Sabato Rodia in compagnia del fratello maggiore salì su una nave che dal porto di Napoli lo avrebbe portato dall’altra parte dell’Oceano.

Il suo destino all’arrivo fu quello comune a milioni di altri immigrati e cioè la quarantena di Ellis Island e un nome “americanizzato” dai pigri funzionari dell’ufficio immigrazione che trasformarono Sabato in Simon.

watts towersI primi anni trascorsero per i giovani fratelli tra grandi sacrifici ed innumerevoli impieghi, prima a New York e poi nelle miniere della Pennsylvania. Fu qui però che Simon vide, impotente, morire il fratello in un incidente di lavoro. Da allora il suo carattere cambiò, divenne una persona solitaria chiudendosi in quello che per tutti sembrava un sincero disprezzo per il resto del mondo.

Fu proprio a questo punto che la vicenda di un immigrato come tanti altri cambiò trasformandosi in qualcosa di straordinario. Simon si trasferì sull’altra costa costruendosi un piccolo bungalow di legno tra le poverissime baracche di Watts, una delle periferie più povere di Los Angeles. Fu qui, in questa specie di ghetto afro-ispanico, che quest’uomo scontroso e solitario decise di dedicare tutta la sua vita alla costruzione delle sue Towers.

Non rivelò mai cosa lo spingesse a farlo né tantomeno fu in grado di spiegarne il significato, eppure Rodia lavorò da solo, ogni giorno della sua vita per oltre trent’anni, alla costruzione di un’opera che è difficile anche solo da spiegare.

Immaginate il Gaudì più visionario e simbolico, pensate poi alle opere di Jean Tinguely o alle sculture di Giacometti, agitate e versate il tutto in quel luogo straordinario che è Los Angeles e avrete solo una vaghissima idea di quanto insolite possano sembrare le torri. Aggiungete a questo un paio di particolari e cioè che Rodia era analfabeta quindi non conosceva la storia dell’arte e che ha costruito il tutto da solo praticamente a mani nude.

watts towers

Stiamo parlando, per capirci, di un intreccio di diciassette diverse strutture, la più alta delle quali supera i trenta metri, ottenute assemblando assieme materiali di scarto che lui stesso andava recuperando: pezzi di ferro intrecciati e decorati con cemento, cocci, ceramiche, conchiglie e persino pannocchie, bottiglie o teiere. Una sorta di funambolica Sagrada Familia ottenuta non con la pietra ma con un groviglio di acciaio; un’opera non solo senza precedenti ma assolutamente impossibile da decifrare a metà strada tra land art, architettura e scultura.

Non è improbabile che queste slanciate guglie fossero ispirate dai Gigli di Nola, delle strutture simili portate in processione durante la festa patronale che ogni anno si tiene nella cittadina campana non lontana dal luogo di origine dello stesso Rodia. Sono però solo supposizioni dal momento che non sappiamo nulla di più a riguardo.

In molti negli anni gli hanno domandato cosa stesse costruendo nel suo giardino ma lui non sapeva dare una risposta precisa. Non seguiva nemmeno un progetto ma inseguiva piuttosto con ostinazione una visione che lo tormentava e alla realizzazione della quale dedicò tutta la sua vita.

Dell’uomo Rodia sappiamo solo che ebbe due mogli e che entrambe lo abbandonarono per i suoi modi violenti e il carattere burbero, persino i figli decisero di disconoscerlo e così, le Towers divennero inevitabilmente il suo unico interesse; Nuestro Pueblo le chiamava ed erano l’unica cosa che desse un senso alla sua esistenza; passava lì le giornate arrampicato su quelle guglie che divenivano ogni giorno più alte tanto da destare i sospetti dei vicini.

watts towersIn un’epoca in cui la gente di colore era guardata con diffidenza persino i vicini, i neri emarginati dei sobborghi più poveri di Los Angeles, si tenevano alla larga da Simon Rodia.
La sua diversità e quell’incomprensibile opera che andava innalzando lo resero oggetto di scherno e di dicerie che talvolta sfociarono in accuse vere e proprie, come quando, negli anni Quaranta, nel pieno cioè della guerra, alcuni sospettarono che le strane costruzioni fossero in realtà antenne spia usate dai nemici giapponesi per preparare un attacco alla costa orientale. Lui però non si curò di nulla proseguendo instancabile nei lavori che si conclusero nel 1954, a quel punto, incredibilmente, vedendo finalmente realizzato il suo sogno, le abbandonò. Lasciò Los Angeles e si trasferì nei dintorni di San Francisco quasi come se quelle costruzioni, le sue figlie, fossero ormai pronte a vivere da sole la loro vita. Morì, quasi novantenne, una decina di anni più tardi, senza mai aver fatto ritorno a Watts.

La storia tuttavia non si concluse con la costruzione delle torri, anzi fu questo solo l’inizio di un nuovo capitolo. Poco dopo le costruzioni vennero prese di mira dalla legge, questa volta era la Contea che voleva abbatterle non ritenendole antisismiche. Artisti, architetti, intellettuali ma anche gli abitanti stessi del quartiere, ormai affezionati a quei pinnacoli di  metallo divenuti per loro un simbolo, si opposero con veemenza alla proposta; in loro aiutò giunse anche un ingegnere aerospaziale di nome Bud Goldstone che studiò le strutture calcolandone la resistenza e dimostrando che avrebbero potuto resistere ad un terremoto anche di forte intensità. Nonostante ciò, le autorità non si convinsero così Goldstone organizzò un test che potesse provare, nella realtà, la solidità della costruzione. Il 14 luglio 1959, davanti ad una piccola folla di curiosi, un cavo di acciaio venne ancorato alla sommità della torre maggiore e quindi messo in tensione con un carro attrezzi: non solo questa non subì alcun danno ma fu piuttosto il carro attrezzi a ribaltarsi.

watts towersRodia, un semplice muratore senza nessuna conoscenza teorica, pur costruendo una fondazione profonda appena una quarantina di centimetri, era riuscito ad innalzare un edificio sorprendentemente resistente. Di fronte ad una tale dimostrazione l’amministrazione cittadina decise dunque di risparmiare le torri e Bud Goldenstone venne considerato — a diritto — il loro “salvatore”.

Da allora Watts, che fino a quel momento era probabilmente l’ultimo luogo sulla terra in cui qualcuno si sarebbe mai aspettato di trovare un edificio straordinario, divenne popolarissimo iniziando ad attirare persino dei visitatori. Di lì a poco quel sobborgo derelitto, fatto di baracche nel mezzo del quale svettavano le torri, stava per essere teatro di un evento che avrebbe cambiato la storia americana. L’11 agosto 1965, dopo l’arresto da parte della polizia di un ragazzo di colore, gli abitanti esasperati dagli episodi di razzismo, insorsero contro gli agenti. Nei successivi sei giorni Watts venne infiammata da una violenza senza precedenti che si lasciò alle spalle trentaquattro morti e oltre un migliaio di feriti.

Dopo quella sommossa la lotta per i diritti civili che fino a quel punto punto si era combattuta con le azioni non-violente di Martin Luther King Jr. lasciò il posto ad una protesta arrabbiata e talvolta cruenta. Malcom X e le Black Panthers, nate proprio all’indomani dei fatti di Watts, avrebbero guidato da lì in poi la ribellione dei popoli neri. Il quartiere stesso divenne un simbolo di questa lotta e le Towers di Rodia divennero così l’emblema degli invisibili che pretendevano una nuova dignità.

Fu dunque per tutto questo che i Beatles inserirono il volto di quell’immigrato italiano nella loro copertina, un’immagine simbolo di quel decennio che verrà anche premiata con un Grammy Awards, in cui un analfabeta nullatenente compare al fianco di gente come Albert Einstein, Marlon Brando o Karl Marx. Un uomo follemente straordinario, capace di creare inconsapevolmente uno dei simboli del Novecento americano mettendo per la prima volta sulla mappa un luogo fino ad allora invisibile come Watts.

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Daniela Tanzj e Andrea Bentivegna

Daniela Tanzj e Andrea Bentivegna

Daniela Tanzj: architetto, mi sono formata in Italia, ma vivo a New York dal 2009. Da allora ho avuto l’opportunità di collaborare con prestigiosi studi di architettura e di conoscere da vicino il mondo dell’accademia americana con un master in Advanced Architectural Design alla Columbia University. Amo cucinare e inventare ogni volta nuove ricette, quasi sempre con risultati interessanti. Andrea Bentivegna: vivo a Roma dove mi occupo di ricerca storica dopo essermi laureato con una tesi sull’architettura del novecento a Bogotà, città nella quale ho studiato per alcuni mesi. In passato ho organizzato workshop e mostre a livello internazionale e ora gestisco un blog in cui racconto le vicende architettoniche di Roma e New York. Ma ciò che mi è valso più popolarità è stato indubbiamente il cosplay di Ghostbuster, film che adoro. Daniela Tanzj: Italian architect living in New York City. Since I moved in2009 I have had the opportunity to collaborate with prestigious architectural firms and to study in one if the Ivy league of the United States with a Master of Science in Advanced Architectural Design at Columbia University. I love to cook, experimenting new receipt every time, often (but not always) with interesting results. Andrea Bentivegna: I live in Rome working as critic and investigator in the history if architecture. I graduated from La Sapienza University of Rome with a dissertation on modern architecture in Bogota, city where I studied for several months. I curated international workshops and exhibitions and I currently manage a blog where I explore architectural events based in Rome and in New York. What really made me popular is undoubtedly the cosplay of Ghostbuster, one if my favorite movies.

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