Se dovessi riassumere in una parola sola l’arte di Giorgio Morandi, quella parola non sarebbe “bottiglie”. Sarebbe bottiglie se si trattasse delle opere di alcuni dei suoi grandi maestri, come Cézanne, Dérain, Braque e perfino Matisse e Picasso, i quali tutti si erano impegnati a dare vita agli oggetti, anche i più umili, che si trovano intorno a noi. Ma in Morandi, volontariamente o no, ciò che viene evocato non sono le bottiglie in se stesse, ma gli spazi che le attorniano e i sentimenti fugaci, inafferrabili che la loro evocazione suscita in noi, e che, se faccio il grande sforzo di riassumerli in una sola parola, arrivo da parte mia a questa: “nostalgia”.
Uno dei biografi di Giorgio Morandi ha usato un’altra sintesi: “l’arte del silenzio”. Sì, certo, all’origine di tutto nelle bellissime nature morte di Morandi c’è un grande silenzio, e Morandi può essere considerato uno dei principali predecessori del minimalismo. Però quel silenzio, nella varietà, nella sottigliezza degli accostamenti cromatici e nella disarmante semplicità delle forme genera in noi, attraverso chissà quale alchimia psichica, anche qualche cosa di malinconico e di nobile.

Giorgio Morandi in mostra al CIMA
Questi ragionamenti mi vengono in mente nel vedere due grandi mostre che prese insieme formano in questo momento la più grande delle tre retrospettive dell’arte di Morandi (1890-1964) mai avutesi a New York. La prima di queste nuove mostre ha luogo per iniziativa di una istituzione relativamente nuova, il Center for Italian Modern Art (CIMA) (che ne La VOCE firma la rubrica SLOW ART), situata al quarto piano di uno stabile in quella zona mezzo industriale e mezzo bohème che si chiama SoHo, poco a Sud del centro di Manhattan. Il CIMA ha inaugurato il suo terzo anno di attività mettendo insieme una quarantina di opere del pittore bolognese, sotto il semplice titolo Giorgio Morandi, e concentrandosi sul periodo degli anni Trenta, in cui il pittore raggiungeva la sua maturità e il suo particolarissimo linguaggio. Beh, a quel tempo in Italia c’era il fascismo, bene o anche benissimo accetto alla maggioranza, sopportato con pazienza da una minoranza e più o meno vivacemente contestato da alcuni. A quale di queste categorie appartenesse Morandi non si è mai ben saputo, ma la sua storia, quella di cui è rimasta memoria, è quella di un uomo introverso, rinchiuso per tutta la vita tra un appartamento con tre sorelle nubili e un piccolo studio di pittore e, in certi periodi, al lavoro tra una scuola d’arte dove insegnava incisione e una scuola elementare dove insegnava arte ai bambini.

Giorgio Morandi in mostra alla David Zwirner Gallery
Il rifugio di Morandi evidentemente era nel suo lavoro, nelle trasognate nature morte fatte di vasi e bottiglie su cui concentrava un’indagine affettuosa, tra luci e ombre che gli provenivano dalle più lontane fonti della sua educazione, come Giotto, Piero della Francesca, Chardin. La mostra, tratta da collezioni private e pubbliche, comprende, oltre agli oli, disegni delicatissimi e stampe monocromatiche che rientrano con particolare naturalezza nel suo severo linguaggio.
La seconda mostra, anch’essa intitolata semplicemente al pittore, avrà una vita molto più breve della prima. Si svolge in una delle grandi gallerie di David Zwirner, quella sulla Ventesima Strada, cioè a Chelsea, il quartiere di artisti e del più recente mercato d’arte nella parte bassa di Manhattan. Contiene opere di tutti i periodi dell’artista, ma in particolare quelle successive alla guerra, in cui l’ascetismo di Morandi raggiunse la sua più completa espressione e che in una lettera del 1957 egli esprimeva in queste parole: “Il solo interesse che il mondo visibile risveglia in me concerne lo spazio, la luce, il colore e la forma.” Sono ventidue pezzi in tecniche diverse, tutti appartenenti a collezioni private e di cui alcuni in vendita, con prezzi che vanno dai 300.000 dollari al milione e mezzo. Anche quella è una misura – ingiusta, a mio giudizio, se si fanno certi confronti – della fama raggiunta in America da uno dei più seri e sinceri grandi artisti italiani.
La mostra al CIMA chiude il 16 giugno 2016; quella alla David Zwirner Gallery, il 19 dicembre.