La mia prima impressione entrando nella meravigliosa retrospettiva della scultura di Picasso che si aprirà al MoMA il 14 Settembre, Picasso Sculpture, è di un’arte gioiosa, astuta, sbalorditiva, esilarante e – non mi crederete – conservatrice. È stata un’impressione inattesa anche per me che ho sempre inteso Picasso come sinonimo di rivoluzione.
Solo adesso mi sono reso però conto di quanto sia potente il legame che, per quanto contorte, distorte, capovolte, smembrate, antifigurative e anatomicamente ridicole, le creazioni di Picasso mantengono con la verità naturale. Paragoniamole a quello che è l’ottanta per cento delle acquisizioni recenti del MoMA e di tanti altri musei d’arte moderna dalla morte di Picasso nel 1973 in poi: la pop art, l’arte minimalista, i video, l’installation art, l’arte gestuale, la performance art, la appropriation art e così via; e registreremo l’abissale distacco occorso tra queste forme a quelle del sublime istrione spagnolo.
In generale, l’arte “post-moderna” si giustifica come una ricerca della realtà. Benissimo. È una ricerca che può essere anch’essa entusiasmante, ma che ha più del filosofico e persino del mistico, che di ciò che generalmente ci aspettiamo dall’arte. Per questa, e per dilettarci veramente in modo insuperabile, ritorniamo a Picasso.
Figlio di un pittore già affermato e educato a scuola di pittura, Picasso non aveva mai studiato scultura. Arrivando a Parigi nel 1904 aveva buttato giù i primi esperimenti tridimensionali più che altro come aiuto per il disegno e il dipinto, o come scherzo, o per interpretare meglio la psicologia di un ritratto.

Pablo Picasso (1881–1973); Vase: Woman Vallauris, [1948] White earthenware, painted with slips
Il primo contatto con la scultura gli era arrivato come uno scossone nel 1907 in quella che fu una delle sue esperienze formative più profonde: la visita al Museo etnografico del Trocadéro e la sua scoperta dell’arte primitiva africana e oceanica, tutta ovviamente tridimensionale e tutta appartenente nella percezione di Picasso a uno straordinario panorama umano, di popoli, di storia; insomma un panorama di vita. Da allora, l’analogia tra scultura e vita non lo abbandonerà mai. Continuerà ad agitarsi nel retro della sua psiche anche nei quattro o cinque anni successivi quando, pur senza ricorrere mai alla scultura, si addentrò in competizione con Braque sul terreno totalmente inesplorato del cubismo, anch’esso suggeritogli dai primitivi; un terreno che, per coincidenza non fortuita, avrebbe ricevuto proprio negli stessi anni incredibile luce dalla relatività, la stupefacente scoperta di Einstein sulla natura dello spazio (1905). Il certamente esistito rapporto tra la visione einsteniana e il cubismo non ha ancora ricevuto l’attenzione necessaria. Fatto sta che, infine, la ricerca cubista ha finito coll’accentuare in Picasso anche l’interesse per la scultura, tanto è vero che molte delle sue prima creazioni tridimensionali consistono nelle profonde sfaccettature, angolosità e fratture che, già tentate in pittura, egli estende ora alla ritrattistica scolpita e in genere alla creazione di oggetti fenomenalmente reinterpretati nello spazio.
Se è vero che l’arte di Picasso, in qualunque modo espressa, non si distacca mai dalla sua esperienza di vita, non possiamo non vedere rispecchiata nella scultura ogni fase della sua vita e ogni fase ne è, infatti, per la prima volta, dedicata in straordinario parallelismo ad ognuna delle sale di questa fantastica mostra.

Pablo Picasso, (1881–1973), Bull, Cannes, 1958; Blockboard (wood base panel), palm frond and various other tree branches, eyebolt, nails, and screws, with drips of alkyd and pencil markings
Così vediamo, alla fine della prima grande guerra, esplodere in Picasso l’ossessione tridimensionale dopo aver dedicato una dozzina di statue alla morte del suo grande amico il poeta Apollinaire, morto in guerra nel 1918; tutte ovviamente respinte dal comitato incaricato della commemorazione. Nell’intervallo tra le due guerre, il riscontro tra i suoi amori e i suoi ritratti in scultura è puntuale quanto inevitabile, così come scatta con oggetti di incredibile arguzia la concorrenza tra Picasso e il dada, il surrealismo e l’arte dell’object trouvé (il manubrio e il sellino di una bici diventano la testa di un toro; il bruciatore di un fornello a gas, la Vénus du Gaz).
Con l’arrivo della seconda guerra e con Picasso che non si muove da Parigi, sulla sua grande arte cala un’ombra. Infine il ritorno della pace, la festa, la quiete e, negli anni di Vallauris, sempre l’insaziabile amore per la vita e per la natura. É la più grande mostra di sculture di Picasso in America da oltre mezzo secolo, con circa 140 opere dai principali musei del mondo (50 dal recentemente riaperto Musée National Picasso di Parigi) e da collezioni private. Sarà visitabile fino al 7 febbraio 2016.