Una macchina fotografica avuta da un soldato tedesco in cambio di un pacchetto di sigarette. È cominciata così l'avventura fotografica di Alfonso Carrara, giovanissimo studente di design e architettura di Chicago, arruolato nell'esercito americano e sbarcato vicino a Salerno nel 1943. Happenchance: World War II Photographs, Italian Campaign 1942 – 1945, la bella mostra fotografica inaugurata il primo settembre 2015 all'Istituto Italiano di Cultura di New York, racconta la campagna in Italia dell'esercito americano vista attraverso gli occhi e l'obiettivo di Alfonso Carrara, soldato italoamericano che ha testimoniato con le immagini, ma anche con poesie, scritti e disegni, la guerra da lui incontrata ogni giorno nei paesi e nelle campagne italiane, la guerra dei luoghi e delle persone, raccontata qui da fotografie spesse di luci, ombre e umanità, fotografie sviluppate con mezzi di fortuna durante l'avanzata dell'esercito statunitense, stampate in fretta e “appese ad asciugare ai rami degli ulivi”, come testimoniano i segni di pinze e graffette impressi ai bordi delle immagini: un ulteriore segno di verità, quella verità dolorosamente testimoniata dal giovane soldato e artista americano.
La mostra è stata fortemente voluta e organizzata insieme da tre Istituti Italiani di Cultura negli Stati Uniti: quello di San Francisco, dove è stata allestita lo scorso maggio, quello di New York dove rimarrà aperta fino al 29 settembre 2015, e quello di Chicago, dove approderà in novembre. La curatrice di Happenchance è Gillion Carrara, vedova di Alfonso, che ricorda il marito (scomparso nel 2012) come un artista e un intellettuale meraviglioso, che non smetteva mai di chiacchierare, discutere, intrattenersi con ospiti e amici in lunghi e appassionanti argomenti, come amava chiamarli. Un uomo che ha scritto e disegnato fino all'ultimo giorno, “un uomo che è stato curioso per tutta la sua vita”, commenta, è questo che ha sempre spinto Carrara a raccontare, attraverso diverse forme d'arte e di espressione (prima di tutto l'architettura, forma d'arte a lui più affine e che è sempre stata la sua professione), la società in cui viveva, quello che vedeva e che gli accadeva intorno.

All’inaugurazione della mostra hanno partecipato anche il Presidente della Camera Laura Boldrini e il Presidente del Senato Pietro Grasso. Qui con il Direttore dell’IIC di New York Giorgio van Straten
Ed è proprio l'accadimento – come suggerisce il titolo della mostra – la cifra dei suoi inizi come fotografo, l'aver scambiato quasi per caso quel pacchetto di sigarette con una macchina fotografica, e poi l'aver trovato per caso, procedendo nella sua campagna militare, una vecchia Olivetti, che lo ha portato ad annotare quel che incontrava in quella guerra, i migliaia rimasti senza casa che incontrava lungo strada, a raccontare la paura sua e dei suoi commilitoni durante i combattimenti, la violenza cieca e assurda di una guerra che aveva devastato l'arte, la storia, il suo paese d'origine.

Gillion Carrara durante l’opening della mostra newyorchese
Mentre la US Fifth Army risaliva l'Italia, Carrara fotografava quel che restava di un paese bombardato, spaventato, distrutto, infine liberato. Giorno dopo giorno, immortalava sulla pellicola la guerra impressa nei volti e nelle case, in particolare il suo occhio architettonico inquadrava dettagli di chiese, rotaie, palazzi bombardati, quel che restava delle strutture architettoniche, di travi, soffitti, finestre, campanili, nelle città e nei paesi che via via attraversava, fino ad arrivare a Milano, in tempo per fotografare le crude immagini dei cadaveri martoriati di Benito Mussolini, Achille Starace e Claretta Petacci.
Ma l'occhio di Carrara non indulge sull'orrore dei corpi dilaniati quanto piuttosto si sofferma empatico sulla brutalità della guerra sul paesaggio, sulla vita di città e paesi, sulla storia, in un paese da lui tanto amato benché conosciuto sin da piccolo solo attraverso i ricordi e il dialetto dei genitori, immigrati in America dalla provincia di Lucca ai primi del Novecento.

Una immagine dell’artista Alfonso Carrara
Gillion Carrara racconta di come Alfonso, una volta arruolato, avesse scelto di andare in Italia, pur potendosi rifiutare in quanto di origine italiana (secondo una legge in vigore all'epoca negli Stati Uniti). Sentiva forte il richiamo delle radici, e si era messo in testa di voler ritrovare uno zio di cui aveva sempre sentito parlare. Lo zio non l'ha mai ritrovato, ma ha trovato un paese a cui aveva sempre sentito di appartenere, e in cui poi è tornato spesso, per tutta la sua vita. Alfonso Carrara raccontava che, appena arrivati a Massa Marittima, c'erano dei bambini che giovano a pallone per strada e parlavano in dialetto toscano. Il suo primo pensiero è stato. “Ora finalmente sono a casa”.