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September 4, 2015
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Il Cristo Deposto di Bodrun, le verità della politica e Ponzio Pilato

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
La drammatica immagine del poliziotto turco nella spiaggia di Bodrun con tra le braccia il corpo del piccolo profugo siriano (Foto Ap)

La drammatica immagine del poliziotto turco nella spiaggia di Bodrun con tra le braccia il corpo del piccolo profugo siriano (Foto Ap)

Time: 3 mins read

Un uomo robusto, chino, sembra distogliere lo sguardo dalle sue stesse braccia; a pochi passi il mare, una spiaggia scura che s’incurva e pare deserta, dal tono invernale; potrebbero anche essere le ombre passeggere di un crepuscolo e quella sabbia presto tornare ad ospitare palette, castelli e fantasie estive. Ma da quelle braccia pendono due piccoli piedi, due piccole gambe, si scorge una mano e un braccino composti su un lembo di pelle chiara, appena scoperto da un tessuto rosso –una maglietta? Una canottiera? Non se ne scorge il volto, ma quella foto, tutti l’abbiamo vista, è il volto dell’innocenza: in quella compostezza così limpida, neanche sfiorata da rigidità mortali,  c’è tutta la solennità e semplicità di un Cristo Deposto. Perciò, è comunque gelo plumbeo. 

L’uomo, un giusto, non stava distogliendo lo sguardo da sè, nè dalla morte, dal momento che stava soccorrendo tenere spoglie; più semplicemente stava lasciando a quel viso di bambino, sia pure per un istante, sia pure per naturale accoratezza più che per sorvegliato proposito, uno spazio proprio: stava facendo spazio ad una nicchia di riserbo colma di rispetto, perchè colma di dolore. E’ noto che si dice proteggere dagli sguardi, perchè anche gli sguardi possono trafiggere, come i chiodi.

Sicchè, sommessamente, credo che l’alternativa fra pubblicare o meno quella fotografia sia mal posta. Giacchè è un dilemma che rimane fisso sul quadro. E, in ciascuno dei due corni, chi guarda postulerebbe la sua inerzia, la sua passività. Il sì e il no sarebbero per l’osservatore comunque un fatto compiuto, e su cui magari esercitare la sua libera critica, perchè pornografico, il sì, censorio, il no. Temo che l’alternativa non dipenda da altri, ma proprio da chi guarda, e che sia quella fra la visione del dolore e il suo nascondimento. Fra occhi che inchiodano e occhi che carezzano.

La visione del dolore non è oculare. Per questo quell’uomo ‘vedeva’ il dolore mentre volgeva gli occhi altrove, quasi socchiudendoli, come volesse fermarli su uno degli infinitesimi granelli di sabbia ai suoi piedi. E poichè non è oculare, la visione del dolore non è nemmeno spaziale. E se non è spaziale, non è nemmeno temporale. La visione del dolore è infinita ed eterna.

Così noi, dovunque ci troviamo e quando che sia, non siamo esonerati dalla sue percussioni. Ma siamo disposti all’umiltà di vedere oltre gli occhi, per meglio vivere il dolore, per meglio capirlo, per accoglierne le percussioni, come ha fatto quel soldato? Non si può dire. 

Se quel bimbo innocente è Cristo Deposto, se così ce lo mostrano gli occhi, l’interna visione del dolore ci percuote, chiedendoci: e chi è Anna? E chi, Caifa? Chi, il Sinedrio? Chi, Ponzio Pilato?

Molti e qualificati osservatori hanno proposto svariate soluzioni. Tutte presentano un elemento comune: sono gli Altri.  Ponzio Pilato fuggì dalla verità con una domanda, “Che cos’è la verità?”, che postulava l’impossibilità di una riposta. Ma ciò che egli implicava era la neutralità politica sua e dell’Impero, declassando il problema-Cristo mediante la sua apparente sublimazione: da questione politica, governabile, a questione teologica, ineffabile.

Più o meno è ciò che accade oggi. Invocare lo slancio umanitario come ‘la’ soluzione di una vasta questione geopolitica, uno sterminio migratorio frutto delle fibrillazioni magrebine e mediorientali alimentate dalla nota e rinnovata linfa religiosa; seguitare ad ignorare che, se ci sono perseguitati, ci devono essere di necessità persecutori; chiamare soluzione politica questa deliberata ignoranza, non è chiaro quanto strategica (nuovi equilibri nucleari), quanto tattica (consolidati equilibri petroliferi), o quanto semplicemente miope; esibire coscienze tormentate, essendo generosamente disposti a sfinirsi di tweet e di post, senza nemmeno alludere al vi vim repellere licet (è lecito reprimere la forza con la forza), per coerenza di cattedra o di talk show; ecco, fare tutto questo significa fuggire la verità; che, più spesso di quanto si voglia, è dolorosa e rischiosa.

Non agire sui persecutori, lungo la collaudata linea di interventi via via crescenti per coazione e capacità d’impatto economico, politico e militare, peraltro, come ogni giorno di più non si finisce di constatare, sterilizza il già velleitario apparato ricettivo fin qui predisposto; velleitario perchè se non si agisce alla fonte, sarà una caldaia a cui non mancherà mai la legna. L’Ungheria e il Regno Unito in qualche modo lo stanno dicendo. E anche l’Italia, per tutta una prima fase in solitaria, onestamente non è stata granchè considerata.

Fermarsi all’effimero trabocco emotivo dello sguardo oculare significa profanare con la viltà dell’inerzia contorta, l’inerzia di Pilato, il Cristo Deposto sulla spiaggia di Bodrun. 

      

   

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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