Che i talenti di casa nostra vengano capiti e abbiano successo all’estero prima di trovare riconoscimento in patria non è storia nuova. Succedeva anche negli anni ’50 e succedeva a un artista la cui fama divenne internazionale prima che l’Italia si accorgesse di lui. Afro Basaldella, noto semplicemente come Afro, è oggi considerato uno degli artisti più significativi del Dopoguerra italiano e, nella New York che diede una forte spinta alla sua carriera, i suoi lavori sono ospitati in diversi musei e gallerie, Guggenheim e MoMA compresi.
A offrire un’ulteriore, rara opportunità di vedere un gran numero delle sue opere, è la Casa Italiana Zerilli-Marimò della NYU che, fino al 29 maggio, espone pitture stampe e gioielli realizzati dall’artista udinese (romano d’adozione), dal ’54 al ’75.
A New York Afro era ed è di casa. La sua prima volta nella Grande Mela fu per la mostra Five Italian Painters, ospitata alla Catherine Viviano Gallery, nota per aver introdotto molta dell’arte italiana di quegli anni sulla scena americana. Era il 1950 e le opere di Afro, che a quel tempo si posizionavano nell’orizzonte del post-cubismo, erano esposte insieme a quelle di Corrado Cagli, Renato Guttuso, Ennio Morlotti e Armando Pizzinato. Quella mostra diede avvio a una collaborazione ventennale con la Catherine Viviano Gallery che si interruppe soltanto nel ’68 quando Viviano fu costretta a chiudere la galleria, sull’onda di una pop art che non lasciava spazio all’informale. Ma per tutti gli anni ’50 Afro frequentò New York con costanza, lasciandosi contaminare, e allo stesso tempo contaminando, l’arte americana e l’action paiting. È del 1955 la prima personale, ancora alla Viviano Gallery. Nello stesso anno le sue opere furono incluse nella storica mostra The New Decade: 22 European Painters and Sculptors che, dopo l’esordio al Museum of Modern Art di New York, girò tra varie città degli Stati Uniti.
“Il successo in America – ci ha raccontato Marco Mattioli, Segretario Generale della Fondazione Archivio Afro, in occasione dell’apertura della mostra alla Casa Italiana – fu certamente precedente al riconoscimento in Italia e in qualche modo probabilmente il primo causò il secondo. Nelle sue lettere da New York, Afro raccontava che qui era una star e lo trattavano come un idolo. Si ritrovò parte di questa scena artistica e strinse amicizie che si portò dietro nel tempo”.

Marco Mattioli, Segretario Generale della Fondazione Archivio Afro
Tornato in Italia, Afro continuò la sua carriera artistica collaborando con alcuni dei più importanti artisti del momento e stringendo un forte sodalizio umano con Alberto Burri. Ma non spezzò mai il legame con l’America. “Con de Kooning rimasero a lungo amici – ha proseguito Mattioli – C’è una lettera in cui De Kooning gli dice che stava per arrivare in Italia un poeta molto talentuoso ma molto povero, cui gli chiedeva di dare una mano. Era Gregory Corso. Afro gli prestò 1.000 dollari. Oppure Towmbly, che quando veniva a Roma si rivolgeva ad Afro per sapere cosa fare in città”.
A testimonianza della fama di cui godeva negli Stati Uniti, il catalogo della mostra alla Casa Italiana, curato da Rosemary Ramsey Stewart, riporta uno stralcio di una lettera che l’attore americano Vincent Price scrisse all’artista, dopo aver acquistato un suo quadro, per esprimergli ammirazione e gratitudine: “Non so da dove iniziare per dirti che immensa gioia ci dà il nostro Cronica Nerra [Cronaca Nera, il quadro che l’attore e la moglie avevano acquistato nel 1952, nda]. Entrambi sentiamo che questo quadro e gli altri Afro che abbiamo visto siano lavori molto importanti e vitali e che il tuo contributo all’arte dei nostri tempi sia di grande importanza”.
Le opere esposte alla Casa Italiana raccontano le evoluzioni del lavoro dell’artista, mostrando il passaggio da un’arte più figurativa alla lirica astrattista che lo ha reso famoso. Chicca della mostra, curata da Isabella Del Frate Rayburn, sono le creazioni di gioielleria che Afro realizzò nel corso di tutta la sua carriera artistica, passando, anche qui, dalla figurazione al disegno geometrico. Nei suoi estrosi gioielli, pieni di riferimenti alla mitologia, la ricchezza delle forme e del disegno rivela le sue radici nell’arte decorativa, da cui venivano sia il padre che lo zio dell’artista. In mostra anche alcuni dei bozzetti preparatori dei gioielli, dai quali appaiono evidenti la cura e la creatività artigiane del lavoro di Afro.
In un momento in cui l’arte italiana contemporanea è sempre più protagonista nella scena artistica della Grande Mela, l’evento alla Casa Italiana conferma l’attenzione di questa importante istituzione culturale newyorchese per la produzione artistica nostrana del Novecento, il cui significato all’interno del panorama mondiale non può essere sottovalutato.