Primavera a New York significa una proliferazione incontenibile di manifestazioni d’arte: una sfilza di fiere antiquarie nella cornice dell’Armory della 69th Street e Park Avenue, una delle armerie o casermone della milizia volontaria americana, la National Guard, come quella che nel 1913 presentò per la prima volta agli occhi stupefatti della popolazione newyorchese i voli di fantasia dell’avanguardia europea; le vendite d’asta per centinaia di milioni e incassi di miliardi; le anticipazioni di mostre collettive, americane come quella in corso al nuovo Whitney (America, Hard to See) o internazionali come la versione di Art Basel che si aprirà poi in Florida; le seduzioni cooperative come le visite alle botteghe d’arte di Madison Avenue organizzate in collana dai mercanti con accoglienza a base di tazze di caffè e bicchieri di vino.
Qui smetto, ma nel chiudere non posso ovviamente omettere le innumerevoli mostre personali degli artisti che si aprono nella Manhattan bassa (Chelsea), media (le gallerie più antiche, negli storici palazzi di 57th Street e vicinanze) e alta (le gallerie estetico-finanziarie come Gagosian, assiepate sin dall’epoca di Leo Castelli nel quartiere chic).
Il New York Times, all’inizio di maggio, ha dedicato quasi l’intero suo supplemento d’arte al resoconto individuale di 50 mostre individuali inaugurate quasi contemporaneamente: e si trattava soltanto di una selezione.
Sulla base dei miei vagabondaggi vorrei fare altrettanto, ma con lo spazio ristretto a mia disposizione devo limitarmi a due mostre che mi hanno colpito in modo speciale. Come criterio di scelta avevo posto la novità del messaggio dell’artista, espressa anche attraverso la novità del medium, ossia del veicolo materiale.

“Stanton”, Charles Hinman 2008
Andando per ordine discendente lungo l’isola di Manhattan ecco dunque, per prima, la mostra di Charles Hinman alla Washburn Gallery di 20 West 57th Street, intitolata Space Windows. I pezzi esposti sono il prodotto di una ricerca che Hinman conduce dal 1964 e che gli ha procurato una fama particolarissima di esploratore di superfici monocromatiche sculturali in armonia o in urto tra loro, che arrivano come una promessa di rivelazione di dimensioni ulteriori, recondite, forzate dalla forma, dalla luce e dal colore vivissimo quasi sempre primario a raggiungere da prospettive diverse, in ore diverse della giornata, l’occhio dell’osservatore. Qualche critico ha parlato di prismi ottici della realtà che fanno a meno del cristallo. In quest’ultima delle molte esposizioni allestite con i reperti di Hinman nella presente fase di una lunga carriera, i materiali giustapposti sono quattro e di una palpabilità intrinsecamente contrastante, per cui il pigmento densissimo del colore acrilico è applicato su legno e questo su strati di fibra vegetale non tessuta, separati da un piano lucido di plexiglas. L’unicità di questa specie di piccola ingegneria mentale perseguita da Hinman è riconosciuta da decenni, e esemplari dell’opera di questo artista fanno parte a New York delle raccolte permanenti del Moma e del Whitney Museum, nonchè, dentro e fuori New York, di numerose collezioni private.

“Piazza di Venezia”, Rafael Ferran
Totalmente opposta è la mostra di Rafael Ferran, un esordiente finora pochissimo noto, in cui soggetti per nulla astratti, ma ossessivamente figurativi, galleggiano sulle superfici dense e traslucide create dalla cera fusa. È la tecnica dell’encausto, usata abbastanza raramente nella storia dell’arte, che consente effetti evanescenti, come, ad esempio, quelli legati non alla realtà presente ma al ricordo, all’impronta lasciata dall’esperienza reale. In America esiste un vistoso esemplare di questa tecnica negli affreschi tardo-ottocenteschi di soggetto storico che ornano l’interno della cupola del Congresso a Washington, creati dall’artista romano Costantino Brumidi; un artista emigrato in America dopo che in Italia aveva incontrato scarso interesse per il suo lavoro. Adesso le immagini fantastiche di Ferran, allineate in questa mostra dal titolo Visions of the Romantic alla Adelante Gallery di 25 West 31st Street (e purtroppo già chiusa) sono state un invito a dischiudere un’altra porta verso la verità inafferrabile del mondo esterno, le cui tracce sono rimaste imprigionate in noi.