Ancora pochi giorni per visitare una delle mostre italiane più interessanti di questa stagione newyorchese. Alla Casa Italiana Zerilli-Marimò NYU, fino al 12 dicembre, sono esposte alcune opere mai presentate al pubblico dell’artista italiano del primo Novecento, Giulio Turcato.
Le opere scelte per questa esposizione sono tra le meno conosciute di questo vivace artista dalle accese passioni politiche. Curatrice della mostra è Isabella del Frate Rayburn che, già con la sua fondazione, dal 1985 al ’95 ha portato negli USA molti artisti del Novecento italiano, tra cui Burri, Afro, Fontana e De Dominicis. “L’obiettivo – ci spiega Isabella del Frate Rayburn – era e rimane quello di far conoscere negli Stati Uniti quegli artisti italiani che, pur importanti per l’arte del secolo scorso, non hanno avuto una grande visibilità da questa parte dell’Atlantico. Fino a vent’anni fa, l’arte contemporanea italiana non era molto conosciuta negli USA che sono rimasti per lungo tempo concentrati sull’arte americana. Ora anche gli States si stanno aprendo e stanno comprendendo le influenze che alcuni artisti italiani hanno avuto sui loro colleghi americani”.
Alle pareti della Casa Italiana Zerilli-Marimò sono esposti 43 disegni di Turcato, tutti (tranne uno preso a prestito da una collezione privata newyorchese) provenienti dall’archivio Turcato, molti mai esposti prima. “La particolarità di questa mostra – ci dice Martina Caruso, curatrice del catalogo e nipote dell’artista – è proprio quella di aver scelto i disegni che, oltre a essere meno noti, ci mostrano il lato più intimo e spontaneo di Giulio Turcato. Nei disegni appare, per esempio, un lato erotico che non c’è nei suoi quadri. Emerge anche una gran voglia di vivere che racconta quegli anni particolarissimi della Roma della Dolce Vita, della liberazione di un paese cattolico in cui all’improvviso esplose un’atmosfera in cui arte e vita diventarono un tutt’uno”.
Dei 43 disegni esposti solo sei sono precedenti al 1960 quando Turcato iniziò a prediligere la tela. Ma se nei dipinti a dominare sono gestualità e colore, nei pur coloratissimi disegni, i materiali giocano una parte altrettanto importante: nelle opere esposte alla Casa Italiana traspaiono emozioni diverse a seconda dei diversi materiali utilizzati. Il colore della carta interagisce con le linee, dai collage emerge una voce politica e realista, sulla carta di riso si esprimono la fragilità e l’effimero, mentre sul cartoncino trova spazio un’incontenibile energia.

Martina Caruso, curatrice del catalogo della mostra
Di quella vitalità, di quella fantasia, di quell’esuberanza del vivere che caratterizzò l’opera come la vita dell’artista, Martina Caruso ha un ricordo personale poiché da bambina trascorreva parecchio tempo a casa degli zii. “Ricordo, quasi come un piccolo trauma, questo particolare della panna montata di cui lui era golosissimo e ne mangiava di continuo. A noi bambini ne spettava solo un cucchiaio, mentre lui si finiva tutta la ciotola”. E poi crescere immersi in quell’energia che si trasforma in arte: “Da bambina ricordo la sensazione di vivere circondata da questi suoi coloratissimi quadri che mi affascinavano tantissimo ma che nessuno ci spiegava. E allora eravamo noi a crearci i nostri significati e le nostre storie. I bambini si relazionano diversamente all’arte, soprattutto all’arte astratta, in cui sono liberi di vedere quello che vogliono. Ricordo che a me piaceva inventare dei titoli per i suoi quadri. E potevo restare ore assorta e assorbita davanti a un solo quadro”.
Tutte cose che Martina Caruso si è portata dietro nella vita da adulta, con la sua passione per l’arte, gli studi di storia dell’arte a Londra e poi la pratica della fotografia. Ma anche l’impegno politico di Turcato, la sua convinzione che l’arte dovesse e potesse essere politica, si è tramandata alla nipote: “Certamente quella forte ideologia di sinistra mi è stata trasmessa. Ed è interessante guardare a quel periodo, al post-fascismo in cui emergevano movimenti artistici di rottura e con cui il popolo italiano sta ancora facendo i conti. Quella divisione che vediamo oggi tra l’activist art e un’arte più orientata alle gallerie e al mercato, rispecchia quello che succedeva anche in passato. Ma forse i tempi sono maturi perché l’arte trovi lo spazio per essere entrambe le cose”.

New York, Giulio Turcato, 1964. Archivio Turcato
Con un passato nella Resistenza, Giulio Turcato era un uomo di sinistra ma si trovò a scontrarsi con il partito comunista su questioni estetiche. Se per il partito, infatti, l’arte doveva essere realista (in osservanza a una funzione principalmente didattica), Turcato si dichiarava, insieme al gruppo romano Forma 1, formalista e marxista e affidava il messaggio politico soprattutto ai titoli delle sue opere che spesso inneggiavano alla rivolta o rendevano omaggio agli oppressi della classe operaia. La sua arte fu influenzata anche dal Futurismo, e Turcato non si lasciò mai ingabbiare nelle dicotomie politiche che governavano il mondo dell’arte. Come ricorda il titolo dell’intervento di Martina Caruso sul catalogo della mostra, Turcato era un “anarchico gentile” per cui l’arte esisteva in una dimensione parallela, terza rispetto alle due vie, una più filo sovietica e una occidentalizzante, proposte (e imposte) dalle divisioni politiche della Guerra fredda. Artista pluripremiato, Turcato partecipò a numerose edizioni della Biennale di Venezia e raggiunse rapidamente il successo. A New York, tuttavia, non espose mai. La visitò, però, nel 1962 e fu un’esperienza indimenticabile: “Rimase molto colpito dalla città – racconta ancora Martina Caruso – la cui estetica entrò nelle sue opere. New York gli ricordava Venezia: entrambe città d’acqua lo affascinavano molto”. In uno degli scritti dell’artista riporati sul catalogo della mostra si legge: “Per vedere il cielo a New York bisogna alzare la testa come per le calli veneziane. Le strade vanno verso l’oceano o Central Park, a Venezia verso il mare o piazza San Marco. Nella prima c’è movimento, passaggio e fretta; nella seconda tutto va a ritmo rallentato. La stessa origine commerciale: una in evoluzione, l’altra in decadenza. New York una città viva, Venezia una città morta”.
Nel 1994, pochi mesi prima della scomparsa dell’artista, alcune opere di Turcato furono incluse nella storica mostra del Guggenheim, a cura di Germano Celant, The Italian Metamorphosis: 1943-1968. Prima di allora nessuna altra istituzione americana aveva esposto le opere di Turcato. Dopo di allora, c’è la mostra della Casa Italiana Zerilli-Marimò.