Sono quattrocento anni dalla morte di Domenikos Theotokopoulos detto El Greco (1541-1614), e la ricorrenza viene celebrata dai musei di tutto mondo, dalla Francia alla Spagna e dall’Inghilterra agli Stati Uniti. Questi ultimi possiedono il maggior numero di sue opere fuori della Spagna, perchè i mecenate della cosiddetta Gilded Age del capitalismo americano furono tra i primi ad intuirne sul giro dell’Ottocento l'immensa influenza sulla nuova arte, da Cézanne a Degas e da Manet a Picasso, e dagli espressionisti tedeschi in poi su tutta la pittura moderna.

El Greco, Portrait of an Old Man. Purchase, Joseph Pulitzer Bequest, 1924
A New York le esposizioni commemorative sono non una, ma due, la prima in quella che fu la residenza stessa dell’industriale che le raccolse, la Frick Collection, la seconda nel Metropolitan Museum. Quest’ultimo ha riunito i suoi dieci El Greco – più di ogni altro museo al mondo eccetto il Prado – con i sei in possesso di una Hispanic Society of America costituita a Manhattan un secolo fa, ciò che ha permesso una vera mini-retrospettiva dell’arstista, dal titolo El Greco in New York. Essa dimostra come il pittore, attraverso una tecnica di sconcertante originalità, una pennellata nevrotica, spazi appiattiti o ridotti in frammenti, sia stato capace di trasformare il mondo delle apparenze in una visione di profonda spiritualità.
Ma il museo ha avuto anche un’idea inedita. A questa mostra ne ha aggiunto un’altra che ne fa una specie di controcanto, Bartholomeus Spranger – Splendor and eroticism in imperial Prague dedicata a un pittore che, fiorito negli stessi anni del Greco (1546-1611), ne è quasi totalmente l’antitesi. Tanto El Greco è mistico e angoscioso, tanto lo Spranger è sensuale e gioioso; tanto il primo sembra voler ripudiare la natura, tanto il secondo ci si tiene avvinto. Però avviene un fatto curioso. Attraverso il vuoto che li separa, i due sembrano tendersi la mano. Dalle tortuosità del Greco, dai suoi colori stridenti, dalle sue composizioni angolose sembrano levarsi spesso insieme ai lamenti, invocazioni di speranza. Le figure di Spranger, generalmente vanagloriose e sicure di sè, tutte superfici compatte e lucenti e cromatismi armoniosi, appaiono a volte impietrite in una segreta ansia, che è forse ansia di quiete e di salvezza. Allora gli estremi dei due manierismi si toccano; e nella lezione lasciata dai due c’è un’allegoria dell’arte, del percorso intero che sta all’arte di esplorare.

Spranger, Jupiter and Antiope, Vienna
È un fatto singolare che i due artisti quasi coetanei abbiano avuto una evoluzione formale simile. El Greco, nato ed educato a Creta, poi trasferitosi a Venezia, si perfezionò a Roma alla scuola del più grande miniaturista del tardo Rinascimento, Giulio Clovio. Lo Spranger, nato ed educato ad Anversa, si trasferì a Roma entrando anche lui nel giro del Clovio. Dopo di che sia l’uno che l’altro andarono ad esprimere la loro matura personalità ai due poli opposti della monarchia asburgica danubiana: El Greco a Madrid e poi nella capitale religiosa della Spagna, Toledo; Spranger prima a Vienna e poi a Praga. I curatori del Met non stabiliscono nessuna corrispondenza esplicita tra i due, perchè la loro antifonia è tanto discreta e di sfondo da non poter essere non dico illustrata, ma nemmeno additata. Tuttavia un’allusione a sorgenti comuni dello spirito emerge da un’altra singolarità: la mostra di Spranger è inserita nella ricostruzione – mai fatta prima – di una Kunstcammer, uno dei “gabinetti di curiosità” che all’epoca presentavano insieme a oggetti mirabili dell’arte anche reperti soprendenti di scienza naturale. Le due mostre, apertesi nello stesso giorno, si chiuderanno anche nello stesso giorno, alla metà dell’inverno. Fino ad allora durerà anche la speciale mostra El Greco at the Frick Collection che espone per la prima volta in una stessa sala le tre opere dell’artista, tutte di eccezionale importanza, di proprietà della galleria.