Capelli bianchi, figura slanciata ed elegante, maglia rigorosamente nera e il sorriso rassicurante di chi sa tante cose. Anche nell’aspetto Massimo Vignelli era IL designer. L’architetto italiano, 83 anni, è morto martedì mattina nella sua casa di Manhattan. Lascia la moglie Lella (Elena) Valle, compagna di una vita anche nella professione, e un grande vuoto nella comunità italiana newyorchese, in cui Vignelli era un’istituzione. Ogni volta che lo si incontrava ai tanti eventi culturali cui partecipava, era sempre gentile, disponibile a raccontarsi e a raccontare del suo lavoro e del suo impegno per i giovani. Era l’architetto-intellettuale per antonomasia, nel suo lavoro rigoroso ed informato, nella sua voglia di innovare anche a 80 anni, nel suo desiderio di supportare le nuove creatività, e perfino nel look.
Nato a Milano nel 1931, Massimo Vignelli aveva studiato prima al politecnico del capoluogo lombardo poi a Venezia dove aveva anche lavorato per la vetreria Venini di Murano. Negli USA era arrivato una prima volta da giovanissimo, con una fellowship. Poi l’esperienza a Chicago dove nel 1965 aveva fondato, insieme a Ralph Eckerstrom, Bob Noorda, James Fogelman, Wally Gutches, and Larry Klein, la Unimark International che nel giro di pochissimi anni era diventata una delle firme di design più affermate a livello internazionale. Cinque anni dopo, lasciata la Unimark, con la moglie si spostò a New York dove nel 1971 fondarono la Vignelli Associates, poi diventata Vignelli Designs. ù
A New York Vignelli ha lasciato il segno, letteralmente. E se a Rochester c’è un intero edificio dedicato a preservarne l’eredità e diffonderne il rigoroso approccio al design, è in città che il suo lavoro ha ottenuto più visibilità. Portano la firma dei Vignelli gli interni della modernissima St. Peter’s Church su Lexington, con l’imponente e allo stesso tempo etereo organo visibile dalla strada.
Ma soprattutto, a New York, il suo nome è legato alla subway di cui ha disegnato la segnaletica e definito colorimetria e lettering. Sua anche la mappa della rete metropolitana cittadina che tuttavia, dopo diverse polemiche e lamentele dei cittadini, venne sostituita. Vignelli aveva infatti scelto una rappresentazione astratta della città, molto poco fedele alla realtà per dimensioni, disposizione degli spazi e colori. Il concetto era quello di rappresentare le diverse linee della metropolitana come lunghi spaghetti che, incuranti della reale geografia della città, si muovevano da un punto all’altro. Per quanto per molti si trattasse di una vera e propria opera d’arte (tanto da aver guadagnato un posto al Museum of Modern Art), nel 1979 la mappa fu sostituita da una rappresentazione geograficamente più fedele, e tuttavia alcuni dei concetti di base usati nel design di Vignelli furono conservati. Ai newyorchesi, troppo abituati alla facile misurabilità della regolare griglia metropolitana, la non corrispondenza tra le distanze reali e la loro rappresentazione, non piaceva. Eppure Vignelli aveva interpretato l’incarico con americano senso pratico: “Certo che so che Central Park è rettangolare e non quadrato e che il parco è verde e non grigio. Ma chi se ne importa? Quello che vuoi è andare dal punto A al punto B, tutto qui. L’unica cosa che ti interessa sono gli spaghetti” aveva dichiarato in un’intervista al New York Times. Nel 2008, l’introduzione della versione attualmente in uso della cartina della MTA recupera l’astrazione di Vignelli ed è di fatto il risultato di una revisione da parte dell’architetto, che ha sempre difeso la sua interpretazione della rete della metropolitana, del progetto originale. Oggi, poi, un’altra versione recentemente rivista dall’architetto molto simile alla prima mappa è utilizzata sul sito internet della MTA nella pagina The Weekender, su cui vengono indicate le modifiche ai percorsi ordinari durante i fine settimana.
Vignelli credeva fermamente in una bellezza funzionale e nella capacità del designer di interpretare e risolverei problemi con una mentalità pratica ed estetica allo stesso tempo che, secondo l’architetto, poteva essere applicata ugualmente ad ogni campo del design. Nel corso della sua carriera Vignelli, sempre insieme alla moglie Lella, ha progettato mobili, bottiglie, libri, riviste, interni, utensili, bigiotteria, confezioni, immagini aziendali, grafiche per edifici. I suoi lavori sono entrati a far parte delle collezioni permanenti del MoMA, del Metropolitan Museum of Art, del Cooper-Hewitt National Design Museum, oltre che di tante altre istituzioni tra Europa e Nord America. “Mi piace che il design sia semanticamente corretto, sintatticamente coerente e pragmaticamente comprensibile. Mi piace che sia visivamente potente, intellettualmente elegante, e soprattutto senza tempo” queste le parole che appaiono quando si apre il sito Internet di Vignelli Designs. Parole che raccontano il suo modo di intendere il design, la creatività e, forse, la vita stessa.