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May 12, 2013
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May 12, 2013
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Il senso dei newyorchesi per la metro

Maurita CardonebyMaurita Cardone
Time: 3 mins read

Il rapporto dei newyorchesi con la subway non ha nulla del rapporto tra l'essere umano e un mezzo di trasporto. È più una relazione, una di quelle fatte di alti e bassi, di grandi momenti di trasporto e di periodi di insofferenza, ma soprattutto fatta di conoscenza reciproca e di conseguenti strategie di adattamento.

I newyorchesi autentici li riconosci da come si muovono nella subway. Come animali nella giungla, i newyorchesi hanno un istinto naturale per districarsi nel labirinto della metropolitana. Mai disorientati, si muovono tra tunnel, scale e binari, senza un attimo di esitazione. Hanno delle abilità al limite del soprannaturale: dalla corrente d'aria che si crea nei tunnel quando il treno sta per arrivare o dal rumore della frenata, sono in grado di riconoscere se si tratta dell'espresso o del locale, se è quello diretto uptown o downtown. Loro sanno, per istinto. Viaggiano su quei treni ogni giorno della loro vita, fin da piccolissimi, con le mamme che abilmente li trasportano in carrozzini al bisogno utilizzati come testa d'ariete per tenere aperte le porte, o con gli insegnanti che, via subway, portano in giro per la città intere classi di minuscoli newyorchesi in fila per due.

Gli abitanti di questa città hanno un rapporto talmente intimo con la metropolitana che ad alcune linee hanno dato degli scherzosi nomignoli: la N e la R sono conosciute come The Never and The Rarely, per la loro incostanza (c'è da dire però che sono molto migliorate ultimamente), la linea F è conosciuta come Forever perché quella è la percezione del tempo d'attesa medio. La peggiore reputazione ce l'ha la linea G che si è guadagnata l'appellativo di The Gross Train, in aperta competizione con un'altra famigerata linea, la L, nota agli habitué come The Hell Train.

Ma queste non sono che affettuose prese in giro che non scalfiscono l'amore per la metropolitana e non scoraggiano i newyorchesi che, per passione o per sfida, utilizzano la subway per qualsiasi spostamento. Al contrario di quello che si vede nei film, i newyorchesi veri usano poco i taxi e preferiscono invece sfoggiare una perfetta conoscenza della mappa della metropolitana e l'abilità di arrivare dovunque con la loro metro card. Con ostentata indifferenza, affrontano anche le più irritanti difficoltà. Non si scompongono davanti alle interruzioni e ai continui cambiamenti di tragitto dovuti ai perenni lavori in corso. E anche quando la voce del capotreno annuncia – spesso con puntuale sadismo proprio mentre le porte si stanno inesorabilmente chiudendo — in un incomprensibile mormorio che da quel momento in poi il treno viaggerà su tutt'altra linea, nessuno si fa prendere dal panico, sbraita o si lamenta. Di solito sono io l'unica a esplodere in un'imprecazione, mettendomi le mani nei capelli, all'idea di ritrovarmi dall'altra parte della città o dover fare dieci cambi prima di riuscire a rimettermi sulla direzione giusta. Ma in fondo so che è colpa mia: non ho consultato il piano dei lavori sul sito dell'MTA, ho ignorato i cartelli affissi all'interno della stazione, non ho verificato che il treno locale stesse effettivamente viaggiando sul binario locale e non su quello espresso.

Per noi che non siamo nati sulla metro, ci vuole un po' ad acquisire quell'istinto di sopravvivenza tipico dell'Homo New Yorker New Yorker. Ma prima o poi ce la facciamo anche noi. Il giorno in cui scenderai da un treno e salirai su un altro senza pensarci, senza leggere i cartelli, senza chiedere informazioni e ti ritroverai ad essere sul treno giusto, nella direzione giusta, saprai che è successo: la trasformazione è avvenuta. Sei diventato un newyorchese.

 

 

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Maurita Cardone

Maurita Cardone

Giornalista freelance, abruzzese di nascita e di carattere, eterna esploratrice, scrivo per passione e compulsione da quando ho memoria di me. Ho lavorato per Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia, QualEnergia, L'Indro, senza che mai mi sia capitato di incappare in un contratto stabile. Nel 2011 la vita da precaria mi ha aperto una porta, quella di New York: una città che nutre senza sosta la mia curiosità. Appassionata di temi ambientali e sociali, faccio questo mestiere perché penso che il mondo sia pieno di storie che meritano di essere raccontate e di lettori che meritano buone storie. Ma non ditelo ai venditori di notizie.

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