Sta cambiando qualcosa nella consapevolezza degli studenti di fronte al movimento artistico e culturale del Futurismo. Lo dimostra la roundtable che ha avuto luogo il 26 febbraio all'Italian Academy (Columbia University) nel quale domande come "Il Futurismo è italiano?" o "Era una forma di Fascismo?" sono state pian piano sostituite per dare (secondo) respiro ad altre forme d'approfondimento: "E' vero che Marinetti odiava i musei?", "Vero che non fu mai particolarmente attratto da New York?". Segno che le 360 opere esposte nella spirale del museo d'arte contemporanea Guggenheim (dal 21 febbraio per più di 6 mesi) hanno lavorato più sulla curiosità che sul preconcetto di chi è attratto dalle esplosioni dell'arte d'avanguardia. A tenere vivo e attuale il dibattito all'Italian Academy, in una sala ricca di giovani ricercatori: Giovanna Ginex, Independent Art Historian; Romy Golan, Professor of Art History, CUNY Graduate Center, Fellow at the Italian Academy; Vivien Greene, Chief Curator for Futurism, 1909-1944: Reconstructing the Universe, Guggenheim Museum; Marianne Lamonaca, Associate Gallery Director and Chief Curator, Bard Graduate Center; Adrian Lyttelton, Professor of European Studies, The Paul H. Nitze School of Advanced International Studies, The Johns Hopkins University; Christine Poggi, Professor of Modern and Contemporary Art and Criticism, University of Pennsylvania; Lucia Re, Professor of Italian, University of California, Los Angeles. A moderare, l'ottimo Ernest Ialongo, Chair, Columbia University Seminar in Modern Italian Studies.
Sotto menzione di alcuni dei massimi capolavori di Boccioni, Carrà, Balla e Severini, la discussione è divenuta, praticamente da subito, una sorta di museo dinamico e 'dal basso' degli Stati Uniti, a cavallo tra il secondo dopoguerra e gli anni Cinquanta. La retrospettiva Italian Futurism, 1909-1944: Reconstructing the Universe, nelle parole della curatrice Vivien Greene, è un'esplorazione cronologica e completa del Futurismo, dalle arti visive all'architettura, e si colloca anche negli incanti della letteratura, del teatro, del design e della cucina, così come assodato dal manifesto di Balla e Depero (Ricostruzione futurista dell'universo). La discussione accademica è stata in parte un necessario follow up della mostra al Guggenheim ma anche un'indagine sulle ragioni che portano il pubblico, simpatetico, ad avvicinarsi oggi al movimento e ad alcune sue utopie. Astanti e pezzi d'arte sembrano quasi delle nicchie moderne, delle riletture coraggiose di quel che fu scritto nel 1909 da Marinetti. In un'era dominata dalle ipertecnologie e da un moto di divisionismo, pare ancora caldo uno dei temi cari al manifesto, come la luce elettrice, e a seguire, le ricerche sul fotodinamismo di Anton Giulio Bragaglia, le memorie pittoriche impresse ne La città che sale e la trilogia Gli stati d'animo di Boccioni, I funerali dell'anarchico Galli di Carrà, che poi sono prestiti concessi dal MoMA, e Mercurio transita davanti al sole di Balla. Quello di Marinetti, Cangiullo, Buzzi è stato e rimane fraseggio in libertà: una boccata d'aria per le università del mondo.
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