Assieme al fratello Vittorio (scomparso nell’aprile del 2018), Paolo Taviani ha costituito, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, un sodalizio artistico che era un “marchio cinematografico” e faceva di loro “un unico autore”, vincitore di premi internazionali con film che trasudavano di espressione altissima della cultura e di impegno civile.
Già influenzati dal neorealismo, e in particolare da Roberto Rossellini, nel 1960 approdano al cinema come assistenti di Joris Ivens nel film tv L’Italia non è un Paese povero e nel 1962 dirigono con Valentino Orsini, ex partigiano e loro amico universitario, Un uomo da bruciare (1962, con Gian Maria Volonté, che diventerà nel tempo il loro attore preferito) e I fuorilegge del matrimonio (1963). Nel 1967, si staccano da Orsini e iniziano un’attività autonoma, dirigendo, da allora sempre insieme, I sovversivi, un film ad episodi che anticipa gli avvenimenti del ‘68.
Paolo, di due anni più giovane di Vittorio, era “la mente” della coppia, il fratello la tecnica.
Sarebbe lungo elencare titoli e pregi dei loro tanti film, ma voglio citare quelli che, senza supponenza, ritengo più significativi. A cominciare da Sotto il segno dello scorpione (1969) con Gian Maria Volontè e che decretò da subito la loro fama; San Michele aveva un gallo (1971) adattamento del racconto di Tolstoj ‘Il divino e l’umano’; La notte di San Lorenzo (1982, Gran Premio speciale della giuria a Cannes); Padre Padrone (1977) dal libro dello scrittore Gavino Ledda e vincitore della Palma d’Oro e del Premio della Critica al Festival di Cannes; Cesare deve morire, dramma ambientato nel carcere di Rebibbia con i detenuti che mettono in scena il Giulio Cesare di Shakespeare e premiato nel 2012 con l’Orso d’oro al Festival di Berlino e che è valso ai Taviani i due maggiori premi ai David di Donatello, quelli di miglior film e di migliore regista.
Nel loro costante impegno civile, Paolo e Vittorio Taviani non hanno trascurato di prestare attenzione al fenomeno storico-sociale che, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, ha visto partire dall’Italia verso l’America oltre quattro milioni di italiani. Dalla loro sensibilità sono nati – per condividere un dramma collettivo quale quello della grande migrazione e far riflettere sulla funzione sociale del cinema – L’altro figlio, primo episodio di Kaos (1984, liberamente tratto da Novelle per un anno di Pirandello, autore molto ammirato dai due fratelli) e Good morning Babilonia (1987). Come spesso accade nei film dei Taviani, i due registi non sono interessati alla semplice trasposizione cinematografica di un’opera letteraria o di un fatto storico, ma si servono di storie del passato per interrogarsi sulla storia attuale e sul futuro.
In Good morning Babilonia, mettendo in evidenza i risultati raggiunti da due artigiani toscani e dalle troupe cinematografiche dei primi anni hollywoodiani, ci spingono a riflettere sull’importanza e sulla necessità di aiutarsi a vicenda per raggiungere un obiettivo comune: un valore e un’utopia che sono validi e attuali oggi, così come lo erano agli inizi del Novecento. Nei due film non mancano momenti tristi e di sconforto, ma ad attutire la negatività è la presenza di personaggi utopici, come gli emigranti siciliani o i fratelli Bonanni, che vanno incontro al loro destino non con la rassegnazione della disperazione.
Solo poche settimane fa, Paolo Taviani aveva comunicato, durante il Festival di Berlino, il ritorno in aprile dietro alla macchina da presa, per il suo secondo lavoro senza Vittorio, per Canto delle meduse: purtroppo la sua morte ci priva di un altro suo gioiello, della sua ancora grande vivacità che lo aveva spinto due anni fa a tornare in gara a Berlino, con Leonora Addio, “perché il cinema – disse – celebra la vita”. La sceneggiatura del nuovo film prevedeva l’intreccio di quattro diverse storie sullo sfondo della pandemia del 2020, trovando però radici molto lontane.
Nel presentare il nuovo film, Paolo Taviani aveva detto: “L’idea è quella di dipingere diversi giorni durante il lockdown, che ci forzò a stare in casa come bambini in punizione e il desiderio che avevamo di uscire e camminare. Il silenzio fuori non era il silenzio dentro di me. Ero vivo e con un grande desiderio di oppormi all’ignoto con la mia unica straordinaria arma: il cinema.”
Addio caro Paolo, voce indipendente e temeraria del cinema e della cultura, e grazie per le tante emozioni e riflessioni suggeriteci. Mi dispiace che non ti sia stato possibile realizzare un tuo grande sogno: un film sul Corsaro nero.