Si apre al Jewish Museum di New York una delle mostre sicuramente più affascinanti della attuale stagione artistica newyorkese. Intitolata “After The Wild”, e realizzata grazie a una donazione della Barnett and Annalee Newman Foundation, l’esposizione racconta una storia stimolante dell’arte contemporanea internazionale, e insieme, quella tutta americana di un artista innovativo e straordinariamente generoso.
Le 47 opere esposte in tre sale del museo, infatti, sono state tutte realizzate tra il 1963 e il 2022 in stili spesso diversi tra di loro, ma uniti da un comune desiderio di esplorare senza timidezze i limiti delle proprie idee e della propria ispirazione. Alle imponenti ‘Figure’ in alluminio realizzate da Lynda Benglis, una scultrice americana nata nel 1946, si accostano e contrappongono i disegni su carta fatta a mano di Richard Serra, anche lui americano, ma anche le opere su legno del sudafricano Serge Alain Nitegeka, nato nel 1983 e l’acrilico di Julie Mehretu, nata in Etiopia nel 1970. A ispirare il commovente video sul volo ad alta quota realizzato con immagini disegnate e computerizzate da Luca Buvoli, un artista italiano nato nel 1963, e’ una riflessione sull’esperienza dei suoi genitori durante gli anni bui della Seconda Guerra mondiale.

Il vero filo conduttore che unisce idealmente tutta la mostra del Jewish Museum, tuttavia, e’ un altro. Tutti i 47 artisti esposti, infatti, hanno ricevuto il Barnett and Annalee Newman Foundation Award e sono stati finanziariamente aiutati dalla fondazione agli inizi della loro carriera artistica.
Nello scegliere il titolo dell’esposizione, i curatori Kelly Taxter e Shira Backer, si sono ispirati a una delle opere più significative di Barnett Newman, “The Wild”, completata nel 1950 e nella quale, con uno dei suoi ormai famosi lunghi ‘zip’ colorati, l’artista ha espresso tutta la sua energia creativa.
Nel mondo dell’arte americana, Newman e’ oggi un nome conosciuto e rispettato. Il suo ”Black Fine”, per fare un esempio, e’ stato venduto a un’asta di Christie’s per la cifra record di 84 milioni di dollari nel 2014. Ma la sua vicenda artistica e personale è stata complessa.
Nato nel 1905 in una famiglia di poveri immigrati ebrei polacchi, il giovane Barnett era destinato a seguire le orme del padre in una piccola azienda di confezioni. Quando, dopo una laurea in filosofia, all’inizio degli anni ’30, aveva cominciato a dedicarsi dapprima all’insegnamento e alla scrittura e poi alla pittura, i suoi primi passi erano stati rallentati da mille ostacoli. Dopo aver incontrato e poi sposato nel 1934 Annalee Greenhouse, insegnante come lui in un liceo, Newman aveva continuato a dipingere, malgrado l’indifferenza dei critici e dei galleristi nei suoi confronti. Aveva continuato a battersi per un’arte nuova che facesse, secondo le sue parole, ‘il mondo a nostra immagine’.
Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, Barnett Newman non era solo. I molti artisti che stavano arrivando dall’Europa per sfuggire al nazifascismo con l’aiuto di Peggy Guggenheim avevano cominciato a rivitalizzare un mondo artistico che era stato fino a quel momento abbastanza povero e desiderava esplorare strade nuove . E Newman non aveva perso tempo a entrare a far parte del gruppo. ”Sentiamo la crisi morale in un modo in rovina…non possiamo più dipingere come facevamo, i fiori, i nudi reclinati, la gente che suona il violoncello”, scriveva in una lettera.
Dopo la fine del conflitto, questa esigenza di rinnovamento e di guardare all’arte dall’interno del proprio io aprirà la strada alla nascita dell’espressionismo astratto, il primo vero movimento artistico americano celebrato a livello internazionale. E Newman ne diventerà uno degli esponenti di punta, finalmente riconosciuto prima della sua morte nel 1970 anche da chi lo aveva a lungo ignorato.
Memore delle esperienze del passato pero’, il pittore aveva fatto del suoi aiuto ai giovani colleghi un’autentica missione, sempre pronto all’incoraggiamento e al consiglio. Alla sua morte, quella missione di aiuto e di supporto finanziario e’ stata continuata da sua moglie, che nel 1979 ha creato la Barnett and Annalee Newman Foundation.
Adesso, per raccontare la storia di quel povero immigrato polacco che tanto ha contribuito a reinventare l’arte americana bastano quelle 47 diverse opere d’arte, provenienti da tutto il mondo e tutte a modo loro rivoluzionarie, che il museo newyorchese mostrerà ai suoi visitatori fino a settembre.
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